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29 Novembre 2020

Guenda

Tempo di lettura: 6 minuti


Io sono Guenda. Sono la sorella più grande di Ines e Bella, le due sorelle biondissime che gestiscono il bar Ghepardi a Cremantello. I miei genitori, Giovanni e Ester Ghepardi, sono molto conosciuti a Cremantello perché hanno sempre abitato là, per un periodo nella vecchia casa di campagna della nonna Adelina e, più tardi, in una casa ristrutturata in centro al Pase.
Io non abito a Cremantello, come il resto della mia famiglia, ma abito in un convento a Carpino Solano, un piccolo borgo sulle colline Toscane.
Sono una suora Carlottina scalza. Suor Guenda. Le monache Carlottine scalze sono suore di clausura che hanno fatto voto solenne e costituiscono il second’ordine dei frati Carlottini scalzi. Si dedicano principalmente alla preghiera contemplativa, vivono sempre in convento e i contatti con le persone esterne sono rari e mai improvvisati.

L’ordine delle Carlottine scalze ha una lunga storia.
Nel clima di generale riforma  del mondo Cattolico sancito dal concilio di Trento (1515-1582) le monache Carlottine del monastero di San Ramondo diedero inizio ad una attività riformatrice tesa a restaurare il rigore della primitiva regola dell’ordine. Nel 1570 un gruppo di monache riunite a San Ramondo, ispirandosi alla riforma scalza introdotta da Pietro Talamone dell’ordine Ottoniano, decise di fondare un nuovo monastero di tipo eremitico.
Il ‘breve’ che autorizzò la fondazione fu firmato a Roma il 12 Febbraio del 1572 ed il convento, intitolato a San Leopoldo venne eretto a Carpino Solano il 26 Luglio dello stesso anno.

Arrivando ai nostri tempi nel 2010 le Carlottine scalze erano presenti in 78 nazioni. I monasteri dell’ordine erano 786. Le religiose erano complessivamente 10.679.
Io sono una Carlottina scalza che ha fatto i voti perenni da 15 anni. Porto sempre una lunga veste nera.  Anche il velo è nero, mentre il soggolo e il frontino sono bianchi candidi.  Passo le mie giornate in preghiere, partecipo alle funzioni religiose e vivo momenti di meditazione individuale nella mia cella. Oltre a questo io e le mie consorelle ci occupiamo del nostro convento, del giardino, dell’orto e lavoriamo alla preparazione di icone sacre che vendiamo e il cui ricavato serve per il sostentamento del convento e per opere di beneficienza.

Ricordo sempre i miei parenti nella preghiera: Mamma e papà Ghepardi, le mie sorelle Ines e Bella, le mie cugine Del Re e anche Albertino e Gina Canali, i bambini che abitavano in via Santoni Rosa a Pontalba, di fronte alla casa delle mie cugine.
Ogni tanto qualcuno di loro mi scrive perché vuole il parere di una suora su qualche questione che riguarda la sua vita, oppure per raccomandare le mie preghiere  per qualche buona causa di loro interesse, per la salute di qualche persona a loro cara. Qualche volta mi è anche capitato che qualcuno mi abbia scritto per chiedere una grazia di tipo più generale come la pace nel modo, la fine di qualche guerra o l’abolizione della pena di morte (devo dire che queste ultime richieste sono molto rare anche se molto gradite).

L’ultima lettera a cui ho risposto è stata quella di Gina Canali. Così mi ha scritto Gina.
Cara Suor Guenda, spero tu stia bene. Raccomando le tue preghiere per i miei cari e per la mia salute che non è delle migliori. Ti ricordo sempre nella preghiera e spero che la tua vocazione non incontri mai alcun momento di offuscamento. Ti scrivo perché ultimamente ho una pena nel cuore. Ho conosciuto un collega di Albertino che si chiama Luigi. Lui mi piace molto, ma io sono vecchia, ho cinquantasei anni e un figlio grande che però abita ancora con me. Luigi mi ha chiesto di uscire una sera con lui a mangiare una pizza. Ma io non ho accettato. Non si sa mai cosa può succedere dopo e io non ho ancora deciso se posso lascare che lui mi piaccia oppure no. Inoltre, come tu ricordi bene,  io vivo a Pontalba, un paese di duemilacinquecento abitanti  in cui tutti sanno ‘tutto di tutti’, questo sarebbe per me un’ulteriore problema. Finirei sulla bocca di molti pontalbesi per almeno qualche settimana. Le male-lingue del paese arricchirebbero quell’uscita in pizzeria di non so quali stranezze e misteri e, alla fine, io rischierei di trovarmi in uno stato di apprensione che rovinerebbe subito tutto. Ti prego quindi di darmi il tuo parere su cosa fare con Luigi, prometto che ascolterò i tuoi consigli e che mi comporterò di conseguenza”.

Beh, ho sorriso. Il problema di una cena con pizza è molto lontano dalla quotidianità di una suora di clausura. Eppure non è la prima volta che mi arrivano lettere di questo tipo. Mi torna in mente quando ero piccola. D’estate andavo a Pontalba con Bella e Ines. Stavamo a casa della zia Anna e giocavamo tutto il giorno con Costanza, Rachele e Cecilia. Eravamo una banda di sei bambine: tre bionde, due more e una rossa. Non passavamo inosservate. Oltre a noi sei, in via Santoni c’erano molti altri bambini: Tiberio, Camilla e Carlo Ragni. Alessandro, Libero, Giovanni, Vittoria ed Enrica Bartone. Gina, Albertino e Sergio Canali. Con tutti questi bambini giocavamo la sera a palla bollata, rialzo, nascondino, campana e a qualche altro gioco bizzarro inventato al momento.
Era bellissimo.
Via Santoni è una via in pendenza con delle rientranze e anche un vicolo che da lei diparte. C’erano molti posti in cui nascondersi, in cui aspettare la penombra per poi uscire improvvisamente dal rifugio temporaneo, correre alla tana, picchiare contro il muro e gridare a squarciagola: “Liberi tutti!”. Ora mi ha scritto Costanza che i bambini di via Santoni sono molti meno, stanno tutti su un carretto che Albertino ha ereditato da un suo amico. Li porta in giro per farli divertire. Alla sera nessuno esce nella via a giocare. Non si sentono più voci di bambini che gridano: “Rialzo!” “Tana libera per me!” “Tana libera per tutti” “Arimo” oppure le famose conte fatte per scegliere il malcapitato che poi doveva contare fino a cento prima di cercare tutti. “Pomodoro, larincia, larancia, quanti giorni me ne conta, me ne conta solo tre. Tocca tocca proprio a te!”. I pochi bambini che abitano adesso in via Santoni Rosa, stanno sempre in casa. I genitori non li fanno uscire di sera. Hanno paura che succeda loro qualcosa. Sono cambiate le regole di convivenza, non è più previsto che i bambini possano giocare da soli per strada, men che meno di sera. I genitori considerano questa modo di giocare che per noi era normale, pericoloso, “non si sa mai quel che può succedere a dei bambini che giocano per strada …

Torno al presente, alla mia cella e alla lettera di Gina. Prendo un foglio di carta e una penna nera. Mi metto a scrivere.
Cara Gina. Sono contenta di aver ricevuto la tua lettera. Prego sempre per te, per la tua salute e per la tua serenità. Io sono una suora e non posso uscire a mangiare la pizza con nessuno. Ma tu non sei una suora! Una pizza è una pizza, che male vuoi che faccia? Non ti devi preoccupare di quello che dicono i pettegoli. Anzi fai così: a chiunque si permetta di dirti qualcosa rispondi “Ho ascoltato un consiglio di Suor Guenda, è stata lei a scrivermi di andare ogni tanto a mangiare una pizza. Ve la ricordate la ragazzina bionda cugina delle Del Re? Ora è una suora di clausura, ma noi ogni tanto ci sentiamo.” Che divertimento! la prossima volta che mi scrivi mi devi descrivere che faccia hanno fatto i pettegoli di turno. Ti saluto cara Gina, ti auguro ogni bene e prego sempre per te, perché quando sarà il tuo momento il Signore ti possa accogliere nel più alto dei cieli. Amen.”

Piego a metà il foglio, lo metto nella busta e mi fermo un attimo a ripensare a Via Santoni. Ai bambini che siamo stati, alle diverse strade che abbiamo intrapreso. Poi mi avvio verso la cappella del convento per le preghiere comunitarie. Ritrovo subito la luce e di questa mi compiaccio.

 

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Costanza Del Re

E’ una scrittrice lombarda che racconta della vita della sua famiglia e della gente del suo paese, facendo viaggi avanti e indietro nel tempo. Con la Costanza piccola e lei stessa novantenne, si vive la storia di un’epoca con le sue infinite contraddizioni, i suoi drammi ma anche con le sue gioie e straordinarie scoperte.

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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