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Per Ferraraitalia sono tornato al Festivaletteratura di Mantova. Mi è stata lasciata piena libertà redazionale, per cui nell’ affollatissimo programma di quella giornata (il 9 settembre) ho scelto l’ incontro con uno scrittore che continuo a seguire dalla sua prima opera (circostanza per me singolare): Giuseppe Culicchia, che scoprii leggendo nel 1994 Tutti giù per terra, la sua opera prima – una di quelle opere d’arte seminali, prive di virtuosismi e di maniera e quindi tali da spingere all’emulazione, anzichè alla semplice ammirazione. Un po’ come fece il punk, o certa pop art.

Nell’iniziativa di Mantova l’occasione era rappresentata dalla pubblicazione del suo recente Il tempo di vivere con te (Mondadori, 2021), in cui Culicchia trova finalmente, dopo più di quarant’anni, le parole per raccontare il rapporto tra se stesso bambino e suo cugino Walter, più vecchio di nove anni, di Sesto San Giovanni, una figura mitica della sua infanzia.
Un ragazzo adorabile, pieno di vita, un fratello maggiore, un modello, la persona di cui aspettava impaziente le visite estive a Grosso Canavese. Giuseppe Culicchia, come tutti (tranne la madre di Walter, che custodiva il segreto), venne a sapere che Walter Alasia, il suo amato cugino, era un brigatista rosso la notte in cui la Polizia venne a cercarlo a casa, lui aprì la porta della camera da letto sparando ai poliziotti, venne ferito a sua volta e poi finito nel giardino di casa, mentre cercava di fuggire. Era il 15 dicembre 1976.
Walter Alasia aveva vent’anni, Giuseppe Culicchia undici.
Uno dei due poliziotti morti nello scontro a fuoco con Walter Alasia era Sergio Bazzega, maresciallo in forza all’Antiterrorismo.

Ebbene, a Mantova, seduti allo stesso tavolo a parlare di Walter e degli anni di piombo, c’erano Giuseppe Culicchia, cugino di Walter Alasia, e Giorgio Bazzega, figlio del maresciallo ucciso da Walter. All’epoca dei fatti, Giorgio Bazzega aveva due anni.

Giorgio ha ricordato il padre come un figlio che non lo ha potuto conoscere in vita: attraverso una ostinata, rabbiosa a tratti, opera di ricostruzione retrospettiva della sua figura. Così abbiamo saputo da Giorgio che Sergio era uno di quei poliziotti che si batteva per la democratizzazione del corpo di Polizia, tanto da aver scritto per l’Unità un articolo su questo tema il giorno prima di venire ucciso; tanto da essere soprannominato ‘il comunista’ in caserma.
Giorgio ha poi parlato del suo percorso di ragazzo con simpatie di destra, pieno di rabbia, che avrebbe voluto ammazzare i brigatisti uno per uno.

Poi un giorno incontra Manlio Milani, presidente dell’associazione vittime della strage di Piazza della Loggia, che gli fa cambiare il punto di vista sulle cose. Come solo può riuscire a fare chi attraversa il dolore dilaniante della perdita della compagna per un’esplosione, a tre metri da te, appena dopo averci parlato. Come solo può riuscire a fare chi attraversa il senso di colpa assurdo di non averla protetta abbastanza.
Manlio Milani ha cambiato la vita di Giorgio Bazzega, avviandolo a quel percorso di ‘giustizia riparativa’ che lo ha fatto uscire dal ruolo di vittima votata alla vendetta. Percorso durante il quale ha conosciuto anche ex terroristi – perché il fine del percorso è quello di unire i lembi di un’umanità lacerata (carnefici, vittime e rispettivi parenti) – e ha scoperto che sono persone, non mostri; e ha cercato di comprendere, non di giustificare, le ragioni che li hanno condotti a compiere certi atti.

Non sto divagando: la figura centrale dell’incontro di Mantova non è stata Giuseppe Culicchia, nonostante sia stato lui a scrivere il libro. La figura centrale è stata quella di Giorgio Bazzega, che ha confessato candidamente di avere incontrato lo scrittore ad un certo punto del suo percorso, già costellato di altre conoscenze anche più ‘pesanti’.
Viceversa, Culicchia ha evidenziato che la cosa più bella che gli ha portato il libro è stata proprio la possibilità di conoscere Giorgio, e di portare in giro il libro assieme a lui. E’ parsa evidente la sommissione dello scrittore all’ esperienza raccontata con trasporto da Giorgio Bazzega: una sorta di rispetto, un passo indietro che ha sgombrato il campo da ogni possibile personalismo legato alla sua veste di narratore. Raramente mi è capitato di vedere uno scrittore di successo spogliarsi così istintivamente della propria componente narcisistica, lasciando il proscenio non a Walter, suo amato cugino, ma alle sue vittime.

Culicchia ha infine ripreso una vecchia polemica tra Italo Calvino e Pier Paolo Pasolini, quando il secondo rimproverava al primo di rifiutare il confronto coi fascisti. E in un’epoca caratterizzata da persone che urlano la propria verità e rifiutano, denigrano, odiano la verità degli altri, mi hanno particolarmente colpito le parole finali di Giorgio Bazzega, quando ha detto che “le prime persone da incontrare sono quelle che non vorresti incontrare”.

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Nicola Cavallini

E’ avvocato, ma ha fatto il bancario per avere uno stipendio. Fa il sindacalista per colpa di Lama, Trentin e Berlinguer. Scrive romanzi sui rapporti umani per vedere se dal letame nascono i fiori.

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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