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Il direttore di ferraraitalia mi chiama in causa per aver fatto da megafono a un’idea tanto elementare quanto difficile da fare intendere. Sulla ‘Città della Conoscenza’ si è accumulata a livello mondiale una vasta letteratura a disposizione di chi, dagli amministratori ai politici, avesse voluto, come è accaduto in tante parti del mondo, affrontare più preparato le conseguenze di una crisi che nel passaggio epocale ha scardinato modelli economici e riferimenti  sociali senza risparmiare nessuno.

Europa 2000: un appuntamento mancato con la storia

Occorreva apprestarsi al cambiamento attrezzati con nuovi strumenti culturali, ma le agenzie a cui abbiamo fatto riferimento per decenni e le prassi  consolidate non hanno retto all’urto con la storia.
Non a caso l’Europa nel 2000 a Lisbona proclama il nuovo millennio come il millennio della Conoscenza. Una conoscenza da ricercare, costruire, valutare e rigenerare in modo diffuso, continuativo e permanente.

Fare della conoscenza e del capitale umano, non un modo per accrescere lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo, ma la risorsa più importante per fornire a ciascuno, nessuno escluso, gli strumenti necessari ad affrontare la complessità, le contraddizioni e i conflitti che ogni turning point della storia comporta. Dall’autonomia personale in una società sempre più prevaricante alla difesa delle conquiste democratiche, dal combattere le crescenti diseguaglianze fino alle ingiustizie sociali e allo stravolgimento ambientale.

Alle forze democratiche e progressiste spettava il compito di mettersi a capo della sfida del nuovo millennio, facendosi portatrici di un nuovo umanesimo che ricollocasse ogni donna e ogni uomo al centro della storia, come risorsa da coltivare e far crescere per il bene comune, per sottrarci alle nuove forme assunte dallo  sfruttamento e dalla manipolazione dei poteri forti, per essere padroni di noi stessi e delle nostre vite.
La conseguenza di questo mancato appuntamento con la storia ha portato all’immiserimento delle democrazie liberali fino alla loro crisi, l’ignorantocrazia, l’incompetenza, il movimentismo e il populismo. Non si è compreso che  la difesa delle conquiste democratiche, la lotta contro le ingiustizie, contro i muri da abbattere non si giocano solo nei parlamenti e nelle cabine elettorali, ma anche nei neuroni e nelle sinapsi del cervello delle persone.
Non c’era più spazio per le identità statiche del passato, ormai era giunto il  tempo delle identità dinamiche. E invece le identità di ieri hanno continuato a resistere come amebe incapaci di afferrare il timone del cambiamento. Per cui non poteva che accadere che mentre a Roma si discuteva prima o poi Sagunto fosse espugnata.

Ferrara: il fallimento della sinistra 

Ferrara non è che una didascalia della storia, come tante altre città, basti pensare a Pisa che dopo anni di una più o meno gloriosa amministrazione ha visto i suoi cittadini voltare le spalle a quella esperienza.
Possiamo esercitarci nelle analisi sociopolitiche sul presente e il passato, fino ai passati più lontani, ma il nodo è uno solo: è mancata una sinistra capace di essere portatrice di una nuova cultura e senza cultura non c’è identità, non ci può essere  riconoscimento e, dunque, non c’è neppure futuro.

Al feuilleton di pancia della Destra e della Lega occorreva contrapporre una narrazione capace di parlare alla testa dei singoli, era necessario ritornare ad essere popolari, proporre soluzioni ai bisogni delle persone, anziché rintanarsi negli angusti confini del proprio cortile, prefigurare un nuovo protagonismo per costruire un progetto di futuro comune.

Ora è indispensabile che Sinistra e forze democratiche della città pongano fine ai loro particolarismi, alla frantumazione dei propri orti, come è accaduto in occasione della tornata elettorale, per prospettare alla città un futuro più forte e convincente del presente. Questa è la carne della politica: la lotta tra culture opposte. La cultura della Destra è fin troppo chiara, perché la destra da sempre ha dalla sua il passato. A non essere altrettanto chiara è quella della Sinistra, attualmente è come la Primula rossa, la cercan qua la cercan là ma dove sia nessun lo sa.

Si mettano a lavorare insieme, da subito, accogliendo la proposta intelligente della Fenice di Mario Zamorani, incominciando col mutare i paradigmi finora usati, facendo della città non una comunità di amministrati, ma una comunità di cittadini.

Con La Città della Conoscenza e il suo manifesto, non pensavamo certo di risolvere i problemi della città, ma abbiamo tentato in questi anni di stimolare una idea nuova di città a partire dalla “conoscenza” come linfa vitale di ogni abitare e senza la quale nessuno può essere autore della propria esistenza. E siccome si è cittadini del mondo a partire dai luoghi che si abitano, sono questi luoghi che devono divenire il cuore pulsante della conoscenza e dell’apprendimento permanente: ‘città che apprendono’ è la rete mondiale che ha costituito l’Unesco.

Il governo della città richiede uno sguardo nuovo. Un occhio che si sforzi di vedere lontano e di proporre ai cittadini un’idea rinnovata di cittadinanza. Una nuova agorà, in cui ciascuno è accolto come attore ricercato per il governo della città, perché la città è dei cittadini e per i cittadini.  Con nuove forme di partecipazione pubblica in grado di andare oltre a quelle fin qui sperimentate, organizzate attraverso il sistema dei partiti.  Dando visibilità e un forte impulso al sistema dei forum, in altre parti del mondo sperimentato con successo, a luoghi in cui i cittadini possano prendere parte “in carne e voce”, come direbbe Bauman, al processo decisionale.

Una città capace di mobilitare creativamente tutte le sue risorse per sviluppare il potenziale umano dei suoi cittadini, una città che riconosce e comprende il ruolo chiave dell’apprendimento e delle conoscenze nell’affrontare le nuove sfide di un mondo che si fa sempre più liquido, nello sviluppo della prosperità, della stabilità e della realizzazione personale.
Un luogo di coinvolgimento e di partecipazione, di risorse da valorizzare a partire dai suoi giovani, dalla loro responsabilizzazione nella gestione della cittadinanza, chiedendo il protagonismo dell’università, delle scuole, delle istituzioni culturali. Occorre che i cittadini anziché essere gli uni contro agli altri, come sta operando questa amministrazione a partire dal suo vicesindaco divisivo, tornino a stare l’uno a fianco dell’altro nei quartieri per  dialogare,  confrontarsi e rispondere ai nuovi bisogni.

C’è una scuola di cittadinanza da aprire, come impegno di tutti, dove apprendere ad esercitare la cittadinanza attiva, per imparare a pensare in termini condivisi la politica della città, la sua abitabilità, l’economia, la demografia, l’ecologia, la salvaguardia dei suoi tesori di natura e di cultura.

La gara elettorale alla poltrona di sindaco da questo punto di vista ha denunciato tutta la sua angustia e afasia, lo sguardo corto e miope di una partita a scacchi per occupare la casella del re.
La città è la nostra comunità di destini, parte di quella più complessa che lega insieme le sorti dell’intera comunità umana del pianeta. Questo è il significato del vivere oggi, quello che dovremmo far apprendere a partire dai nostri giovani, uscendo dagli spazi angusti delle nostre visioni e dei nostri particolarismi.

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Giovanni Fioravanti

Docente, formatore, dirigente scolastico a riposo è esperto di istruzione e formazione. Ha ricoperto diversi incarichi nel mondo della scuola a livello provinciale, regionale e nazionale. Suoi scritti sono pubblicati in diverse riviste specializzate del settore. Ha pubblicato “La città della conoscenza” (2016) e “Scuola e apprendimento nell’epoca della conoscenza” (2020). Gestisce il blog Istruire il Futuro.

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno. L’artista polesano Piermaria Romani si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE
di Piermaria Romani


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