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Si è riacceso il dibattito sul futuro del sistema bibliotecario comunale.
Giusto un anno fa, su iniziativa dell’assemblea delle bibliotecarie dei bibliotecari comunali, sostenuti da CGIL-CISL-UIL di categoria, veniva depositata in Comune una petizione, sottoscritta da più di 2000 cittadini, che sostanzialmente avanzava 3 questioni di fondo: l’impegno a realizzare una nuova e importante struttura bibliotecaria nell’area Sud della città, dopo che l’Amministrazione Comunale, insediata da poco, aveva rinunciato a costruirla presso le Corti di Medoro; la sostituzione del personale pensionato o in procinto di esserlo, che, se non attuta, metteva a repentaglio la tenuta del sistema e dei servizi offerti; l’apertura di una discussione sul modello bibliotecario della città e sul suo futuro, per adeguarlo alle nuove esigenze e alla domanda di partecipazione della cittadinanza.
A fronte di quest’iniziativa, si tenne una riunione tra i primi firmatari della petizione e l’Amministrazione Comunale, rappresentata in primis dal sindaco Fabbri e dall’assessore alla cultura Gulinelli, che dava ampie rassicurazioni sui punti sopraddetti.

E’ passato un anno nel quale si sono svolti confronti di carattere sindacale del tutto inconcludenti, a causa dell’atteggiamento evasivo da parte dell’Amministrazione e, soprattutto, si è andati in direzione del tutto contraria rispetto agli impegni presi. I lavoratori e le lavoratrici pensionate nel 2019-2020 non sono state del tutto rimpiazzate, tant’è che oggi mancano 6-7 persone in organico su circa 50 complessive, l’apertura delle biblioteche, prima delle ultime restrizioni introdotte con il Dpcm di mercoledì, viaggiavano a ritmo ridotto, in particolare per le biblioteche Rodari, Porotto e S.Giorgio,  che ospitavano gli utenti solo un giorno alla settimana, le “promesse” sull’avvio di una nuova importante biblioteca nell’area Sud, nonostante una recente intervista del sindaco che ne riconferma la scelta, rimangono tali, visto che del Tavolo di progettazione congiunto, con rappresentanti sindacali e dei cittadini che doveva essere predisposto in proposito, non si vede neanche l’ombra.
Figuriamoci di una discussione seria sul modello delle biblioteche per gli anni a venire, tema decisamente troppo ostico per chi, in realtà, punta semplicemente a ridimensionare e stravolgere il servizio bibliotecario.
Infatti, nelle ultime settimane, si è appreso che le intenzioni dell’Amministrazione  sono quelle di esternalizzare le biblioteche Rodari, di Porotto e S.Giorgio (e probabilmente anche la videoteca Vigor, struttura che svolge un servizio significativo, troppo spesso dimenticata), mentre ci è toccato pure assistere al triste e squallido spettacolo del consigliere leghista Mosso, che ha invocato il controllo, cioè la censura, dei libri acquistati nelle biblioteche comunali.

Sulla scelta di esternalizzare 

Vale la penna soffermarsi un attimo su questo tema delle esternalizzazioni, cioè delle privatizzazioni, delle “piccole” biblioteche decentrate. Ora, a parte che nessuno ha avuto finora modo di potersi confrontare con quest’ipotesi, avanzata peraltro in modo inusuale, e cioè in sede prefettizia a fronte della proclamazione dello stato di agitazione delle bibliotecarie e bibliotecari alla fine del mese di settembre e poi sulla stampa, non sfugge che l’idea di affidare a soggetti privati parti del sistema bibliotecario presenta due forti controindicazioni.
La prima è che andare in questa direzione significa produrre la scelta di favorire il lavoro povero e precario: infatti, un lavoratore di cooperativa sociale, a cui solitamente vanno gli appalti del settore culturale, ha un salario contrattuale inferiore del 15-20% in meno rispetto agli stipendi, non certo lauti, di un bibliotecario comunale. Parliamo di circa 1100 € mensili, a cui si aggiunge il peso della precarietà, visto che, di norma, gli appalti durano 4-5 anni per poi essere rinnovati, senza garanzie forti per la continuità occupazionale dei lavoratori. Non è un problema che riguarda solo quei lavoratori, ma esso investe l’idea di modello sociale e di tutela del lavoro cui guarda l’attuale Amministrazione. Anzichè assumere l’orientamento di costruire occupazione stabile e di qualità, si preferisce continuare  e aggravare la condizione di bassi salari e precarietà che sta condannando le generazioni giovani a non poter progettare il proprio futuro. Tale scelta è ancora più grave se si considera che l’Amministrazione Comunale, nel corso del 2020, ha ancora la possibilità di spendere più di un 1milione 400mila € per sostituire le uscite di personale dal Comune, mentre a tutt’oggi si sono realizzate una trentina di assunzioni totali a fronte di circa 70 pensionamenti.
La seconda ragione per cui è sbagliata l’esternalizzazione deriva dal fatto che, così facendo, si spezza l’unitarietà del sistema bibliotecario comunale. In quest’ipotesi solo l’Ariostea, Casa Niccolini e la Bassani rimarrebbero a gestione diretta comunale, con la conseguenza che acquisti, iniziative culturali, modelli gestionali farebbero capo a soggetti diversi, con buona pace della possibilità di una progettazione di politiche culturali capace di avere uno sguardo d’insieme e non frammentato, di cui, invece, la città ha grande necessità. Con l’ulteriore effetto che le biblioteche Rodari, di Porotto e S.Giorgio sarebbero inevitabilmente considerate secondarie e relegate ad un ruolo marginale, smentendo tutta la retorica sull’importanza delle “periferie”.

Per il rilancio del sistema bibliotecario

Per fortuna, si sentono voci e si vedono iniziative che intendono contrastare la deriva di disimpegno e disinvestimento che l’Amministrazione attuale sta producendo sulle biblioteche e, più in generale, sulle politiche culturali nella città.
Gruppi di cittadini e utenti si sono mobilitati in queste settimane per il rilancio del sistema bibliotecario, con manifestazioni significative davanti alla Rodari, alla Luppi di Porotto, alla Tebaldi di S.Giorgio e alla Bassani.
Lo stesso sciopero generale di tutti i lavoratori del Comune del 6 novembre promosso da CGIL-CISL-UIL di categoria va in questa direzione, nel momento in cui mette al centro non solo la giusta rivendicazione di assunzioni in grado di sostituire le uscite di personale di questi anni, ma soprattutto la difesa e il rilancio di servizi pubblici fondamentali per la cittadinanza, dai servizi educativi e scolastici alle biblioteche e altri ancora.
L’importanza di tutte queste iniziative che, a mio parere, dovranno ulteriormente rafforzarsi, non sta solo nel provare a mettere un argine alle politiche regressive dell’Amministrazione Comunale. In realtà, questa crescita di partecipazione attorno a queste problematiche è una risorsa decisiva per il futuro: non si dà difesa e rilancio dei beni comuni, come sono le biblioteche, senza un coinvolgimento consapevole e diffuso di chi produce e usufruisce di quei servizi.
E’ qui la chiave di volta anche per pensare ad un nuovo modello per le biblioteche del futuro, luoghi di aggregazione sociale e promozione culturale nel territorio. Qui sta anche un’idea di ricostruzione di legami sociali e del ruolo che l’intervento pubblico ha in essa, legami sociali che si sono andati sempre più affievolendo, lasciando spazio al prevalere di pensieri e pratiche individualiste e competitive, il contrario su cui si costruisce una società coesa e solidale. Ma forse pretendere da quest’Amministrazione una riflessione in proposito è decisamente troppo: però, perlomeno, allora, si fermi e provi a confrontarsi con i tanti che in questi giorni stanno indicando prospettive e ipotesi differenti da quelle che la stessa sembra intenzionata a percorrere.

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Corrado Oddi

Attivista sociale. Si occupa in particolare di beni comuni, vocazione maturata anche in una lunga esperienza sindacale a tempo pieno, dal 1982 al 2014, ricoprendo diversi incarichi a Bologna e a livello nazionale nella CGIL. E’ stato tra i fondatori del Forum Italiano dei Movimenti per l’Acqua nel 2006 e tra i promotori dei referendum sull’acqua pubblica nel 2011, tema cui rimane particolarmente legato. Che, peraltro, non gli impedisce di interessarsi e scrivere sugli altri beni comuni, dall’ambiente all’energia, dal ciclo dei rifiuti alla conoscenza. E anche di economia politica, suo primo amore e oggetto di studio.

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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