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di Roberta Trucco

 

Il 10 luglio su Repubblica è apparso un articolo di Vittorio Zucconi dal titolo ‘L’estate Terribile dei Bambini’. In quell’articolo Zucconi tracciava un filo rosso che unisce vicende apparentemente lontane che hanno come comune denominatore la sofferenza, la vulnerabilità e a volte la morte dei bambini e cita fatti che sono assurti alla cronaca proprio per la loro drammaticità: i bambini annegati nel mediterraneo con le magliette rosse, unico segno visibile per i soccorritori, i bambini messicani strappati violentemente dai loro genitori a causa delle scellerate politiche estere dell’amministrazione Trump, i bambini thailandesi, guidati incautamente da un allenatore, un irresponsabile, a suo dire, “salvati come piccoli Lazzari dalla spelonca”. La tesi di fondo del suo articolo era che quando i bambini diventano protagonisti della cronaca è un brutto segno, segno che invece di correre felici e spensierati durante le vacanze estive, in modo anonimo, sono invece ostaggi di scelte scellerate di chi ha potere su di loro. E in parte ha ragione, ma solo in parte perché il punto è che i bambini sono, in realtà, ostaggi di una cultura che li ha confinati ovunque nel mondo, in particolare e grazie alle “illuminate” democrazie occidentali, in recinti dove correre felici e spensierati non è più lecito, a meno di non fargli correre qualche rischio come nel caso, un po’ estremo, ma del tutto naturale (nel senso che li abbiamo sfiorati tutti quei rischi) dell’allenatore di calcio thailandese. In quel correre felici, nelle avventure, ci sta tutta la palestra che fa dei bambini dei futuri adulti abili a rispondere alle difficoltà. Ma questo non si può più fare, nelle città, nelle stazioni balneari, nelle campagne. Per noi adulti oggi, ogni spazio libero, ogni prato, ogni marciapiede è popolato di mostri dai quali difenderli (i mostri li abbiamo creati noi e sono i nostri privilegi) e non li mandiamo in giro in modo autonomo a meno di non avere altra scelta, come nel caso delle madri/donne disperate che per sfuggire alla morte li imbarcano su bagnarole vestiti di rosso. Io, al contrario di Zucconi invece, credo che sia un bene se i bambini tornano ad essere i protagonisti delle cronache, se occupano spazio nelle prime pagine, anche se alcune loro storie sono drammatiche, perché abbiamo l’occasione di tornare a ripensare le nostre attitudini nei loro confronti, a ripensarci come loro guide. E credo che i buoni giornalisti dovrebbero interessarsi di più alle loro storie, raccontarle, approfondire le straordinarie risposte abili (etimologicamente responsabili) di cui sono capaci (penso al ragazzino thailandese che per primo ha risposto in inglese al soccorritore) se sono bene guidati ma non controllati. Sarebbe bene renderli dei veri protagonisti invece che riservare pagine e pagine a “semidei” (così lo definiscono per lo più i maschi) a un campione di calcio che oltre a far rotolare bene una palla in un recinto sicuro e a guadagnare una cifra spropositata e non eticamente accettabile, non sembra sappia fare molto di più. Penso alle scelte redazionali della maggior parte dei giornali in cui la figura di Ronaldo, che compare sempre in prima pagina, diventa, grazie e solo al dissertare degli adulti su di lui, una figura da emulare quando in realtà è uno sciagurato, molto di più del giovane allenatore thailandese. Perché Ronaldo non ha molto da insegnare ai nostri figli anche perché dei bambini non ha alcuna considerazione se non quella di acquistarli come fossero oggetti: li ha infatti commissionati a una madre surrogata, contribuendo ad arricchire il mondo d’affari che gira intorno a questa pratica aberrante (la surrogazione di maternità fa delle donne e dei bambini merce di scambio ed è un business in continua crescita). O alle prime/seconde pagine, di questi giorni in cui campeggia un Salvini sorridente con un fucile in mano, e che di certo è tutto tranne che educativa. Credo che i giornalisti in primis dovrebbero promuovere nuovi modelli, non piegarsi al potere della propaganda e del soldo, mettersi stampato sulla scrivania quanto diceva Maria Montessori “il bambino non è debole e povero; il bambino è il padre dell’umanità e della civilizzazione, è il nostro maestro anche nei riguardi della sua educazione. Questa non è un’esaltazione fuori misura dell’infanzia, è una grande verità” e coraggiosamente provare a ripartire da lì per costruire nuovi immaginari e nuovi simboli.

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Redazione di Periscopio


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Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

Periscopio è quindi un giornale popolare, non nazionalpopolare. Un quotidiano “generalista”,  scritto per essere letto da tutti (“quelli che hanno letto milioni di libri o che non sanno nemmeno parlare” F. De Gregori), da tutti quelli che coltivano la curiosità, e non dalle elites, dai circoli degli addetti ai lavori, dagli intellettuali del vuoto e della chiacchiera.

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