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Ferrara film corto festival

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La fine dell’innocenza dei social network, potrebbe essere definito lo scandalo scoppiato nei giorni scorsi sui legami tra Facebook e la società di analisi dei dati Cambridge Analytica. La vicenda, come è noto, riguarda la cessione da parte del più frequentato social network del mondo di dettagli personali su oltre 50 milioni di utenti, che sarebbero stati sfruttati per la campagna elettorale alle ultime presidenziali americane di Donald Trump. Cambridge Analytica si dichiara indignata e ha sospeso il potente amministratore delegato Alexander Nix.
Ora i responsabili di questa imponente macchina dei social network si dichiarano tutti indignati.

Della questione sollevata dallo scandalo in realtà si parlava da tempo sui giornali americani, per esempio era noto il ruolo di Steve Bannon, ex stratega di Donal Trump, e l’ambizioso programma di costruire profili dettagliati di milioni di elettori americani su cui testare l’efficacia di molti dei messaggi populisti alla base della campagna elettorale.
Sappiamo, peraltro, che il modo in cui il sistema funziona, dai like alle fan page sino alla geolocalizzazione è globale, è lo stesso in tutti i paesi, non vi è un approccio nazionale nella strategia di Facebook, non vi è quindi ragione per credere che l’uso dei nostri profili e dei nostri commenti in Italia abbia utilizzi diversi da quelli che vengono fatti in altri paesi.
Sapevamo che gli algoritmi hanno il compito di tracciare profili psicologici. Ogni volta che consentivamo il trattamento dei nostri dati personali questi servivano a costruire profili. La conoscenza dei nostri comportamenti privati permetteva di suggerirci prodotti e servizi e anche di plasmare i nostri modi di vedere il mondo, rafforzando i messaggi che potevano essere in sintonia con le nostre conversazioni. In questo ultimo anno numerosi contributi hanno sottolineato il funzionamento e gli effetti dei big data sulle nostre decisioni.

Sapevamo da tempo che le immagini dei tramonti, i ricordi delle le feste di compleanno, i commenti sui locali frequentati, tutto questo e molto altro, andava a comporre profili che ci consentivano (si fa per dire) di ricevere pubblicità in linea con le nostre preferenze e i nostri stili di vita. Alcuni di noi queste tecniche le spiegavano nei numerosi corsi sul marketing digitale.
I social hanno progressivamente costruito un mondo fatto di luoghi comuni, di consolanti affinità e di stereotipate sintonie, di illusioni di condivisione. Nei social si è costruito buona parte di quel sentimento populista che parte dalla distinzione tra un ‘noi’ e un ‘loro’ e che ben prima che una scelta di voto è una cultura diffusa.
Sapevamo anche che il nostro confronto quotidiano si svolgeva all’interno di piazze virtuali che tendevano a separare in modo radicale posizioni e sensibilità, sapevamo che le appassionate discussioni che impegnavano alcuni restavano un esercizio totalmente sterile.
Sapevamo che i social erano testimoni di numerosi episodi di violenza becera. Un recente esempio è accaduto su Snapchat: il social network ha pubblicato un annuncio per un gioco che incitava a schiaffeggiare Rihanna, la cantante che è stata vittima di un episodio di violenza subita dalla cantante dal suo ex compagno, il cantante Chris Brown, alcuni anni fa. Snapchat ha cancellato la pubblicità e ha chiesto scusa agli utenti e ha dichiarando di voler indagare su come sia potuto accadere. Intanto ha perso in borsa più del 4% del suo valore. Resta sconcertante che qualcuno abbia trovato divertente il gioco. Ma non è che un esempio che indica le dinamiche psicologiche che influenzano i comportamenti nelle reti. I social per loro natura tendono a mettere in campo le emozioni più viscerali con tutto il carico di aggressività che alle emozioni è correlato.
Vi è ormai molta letteratura che sottolinea come nei social vincano dinamiche polarizzanti. In sostanza nei social si creano delle “camere eco” in cui le persone ricevono conferma delle proprie opinioni e non si confrontano mai con quelle con cui sarebbero in potenziale dissenso.

E ora che tutto ciò che già sapevamo ci viene confermato da questa drammatica notizia sui rischi che i social network diano vita ad una società sorvegliata, cosa cambierà nella nostra consapevolezza circa l’uso di questi surrogati di amicizia?

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Maura Franchi

È laureata in Sociologia e in Scienze dell’Educazione. Vive tra Ferrara e Parma, dove insegna Sociologia dei Consumi, Social Media Marketing e Web Storytelling, Marketing del Prodotto Tipico. Tra i temi di ricerca: le dinamiche della scelta, i mutamenti socio-culturali correlati alle reti sociali, i comportamenti di consumo, le forme di comunicazione del brand.

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno. L’artista polesano Piermaria Romani si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE
di Piermaria Romani


Chi volesse chiedere informazioni sul nuovo progetto editoriale, può scrivere a: direttore@periscopionline.it