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Le merendine di quando eravamo bambini non torneranno più. In realtà non sono le merendine ad essere cambiate, siamo noi che inevitabilmente abbiamo perso l’ingenuità dell’infanzia. Lo stesso vale per le canzoni, come per il contesto sociale, le amicizie e le relazioni. Tendiamo a idealizzare ciò che riferiamo ad un tempo precedente della nostra vita.
La nostalgia scaturisce da un senso di perdita e si accompagna, per lo più, all’idea che il presente sia diventato peggiore del passato. Talvolta la nostalgia non riguarda solo la propria storia personale, ma investe l’intero contesto sociale. Il confronto, in questi casi, si riferisce ad un passato assunto a priori come migliore, dimenticando che in ogni epoca tutto ciò che emerge come nuovo induce sentimenti di spaesamento o, peggio, di perplessità, disapprovazione e condanna.
Un esempio riferito al passato che ora può far sorridere: metà Ottocento, quando i treni e le strade ferrate iniziano a popolare il paesaggio, un commentatore sulla rivista Quarterly, scriveva allarmato: “E’ una pretesa assurda e ridicola quella di voler far viaggiare locomotive con una velocità doppia delle carrozze di posta. Tanto varrebbe viaggiare su di una bomba! Vogliamo sperare che il Parlamento non approvi alcuna domanda di ferrovia senza prescrivere che la velocità di nove miglia all’ora (14 km orari) – la massima che possa adottarsi senza pericoli – non debba essere giammai superata!”. Inutile dire che per fortuna tali preoccupazioni non sono state ascoltate.
Nelle conversazioni quotidiane i richiami nostalgici sono frequenti. Si stigmatizza il tempo in cui si vive, per entrare in risonanza con un tempo in cui tutto era migliore. Insomma, se il presente fa paura o viene reputato problematico, si rivolge lo sguardo ad un presente diverso in cui era possibile (o si ritiene che lo fosse) avere serenità e sintonia con l’ambiente e il mondo circostante. Così nasce la nostalgia per i valori di autenticità, fiducia, eticità attribuiti ad altri periodi storici.
Le tracce di questo sentimento sono visibili nella comunicazione dei beni di consumo. Nascono i “negozi nostalgia”, che raccolgono oggetti fintamente vintage, proliferano i mercatini popolati di oggetti fatti a mano e di marmellate che assomigliano a quelle un tempo fatte in casa.
L’uso del sentimento della nostalgia è quello che si definisce in gergo vintage marketing. L’interesse verso i sapori dell’infanzia viene raccolto e utilizzato da molti brand alimentari in chiave di rassicurazione, per evocare un mondo non contraffatto e naturale.
Talvolta sono i consumatori che si mobilitano per riavere prodotti che hanno accompagnato la loro adolescenza. Pensiamo alla mobilitazione nella rete che ha portato al ritorno sul mercato, previsto a breve, del Winner Taco, il gelato la cui produzione era stata abbandonata. Su Facebook una pagina intitolata “Ridateci Winner Taco”, popolata da 12 mila “mi piace”, ha raggiunto questo “importante” obiettivo: convincere l’azienda a riproporre la mitizzata merendina! Intanto un altro gruppo su FB si mobilità con lo slogan: “Rivogliamo il Soldino del Mulino Bianco”. Difficile resistere alla tentazione di trovare grottesche queste iniziative di mobilitazione.
In un retorico bagno di nostalgia si è immerso in questi giorni il Festival di Sanremo, che ha cercato di coprire l’estrema povertà dell’offerta musicale e del format con il recupero di brani evergreen e di anziani ancorché autorevoli personaggi dello spettacolo. Non sembra abbia funzionato, in larga parte per la generale noia ormai associata alla televisione.
Ma, in generale, la nostalgia non è un sentimento buono da coltivare.

Maura Franchi è laureata in Sociologia e in Scienze dell’educazione. Vive tra Ferrara e Parma, dove insegna Sociologia dei Consumi, Social Media Marketing e Web Storytelling Marketing del Prodotto Tipico. Tra i temi di ricerca: la scelta, i mutamenti socio-culturali correlati alle reti sociali, i comportamenti di consumo, le forme di comunicazione del brand.
maura.franchi@unipr.it

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Maura Franchi

È laureata in Sociologia e in Scienze dell’Educazione. Vive tra Ferrara e Parma, dove insegna Sociologia dei Consumi, Social Media Marketing e Web Storytelling, Marketing del Prodotto Tipico. Tra i temi di ricerca: le dinamiche della scelta, i mutamenti socio-culturali correlati alle reti sociali, i comportamenti di consumo, le forme di comunicazione del brand.

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

Caro lettore

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Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

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