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Ferrara film corto festival

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Draghi report o Minority report? Un racconto di fantaeconomia, nel quale manca la fantapolitica.

Già abbiamo scritto de “valore e limiti” del Rapporto Draghi e della sua interessante analisi nelle 397 pagine, https://www.eunews.it/2024/09/09/il-rapporto-draghi-in-italiano/, ma non si può non prendere atto che altri economisti (oltre al nostro noto banchiere) hanno messo in luce, in anni passati, i rischi di una Europa che limitatasi a costruire un grande mercato comune del quale non potesse sfruttare adeguatamente i vantaggi, in quanto mancava il soggetto politico Europa, che sapesse guidare il suo sviluppo tecnologico ed industriale. E di una Europa costruita solo sulla moneta e la finanza e non invece su valori comuni che, alla lunga, sono le basi su cui cresce o frana qualsiasi comunità umana. La “lezione” della storia non è stata capita e la Commissione procede ad un ulteriore allargamento a 10 paesi dei Balcani, sempreche alle elezioni del 2025 in Germania non crolli anche la CDU (oltre agli ai partiti “semaforo” che ora governano in modo disastroso) sotto la guida del neo candidato premier Friedrich Merz, un ultra conservatore e rigorista che si opporrà a qualsiasi debito comune ipotizzato da Draghi (che non sia quello funzionale al riarmo). A proseguire con questa politica si fa la fine del vaso di coccio tra due vasi di ferro (Usa e Cina), come è puntualmente avvenuto, e più si allarga la compagine ad altri Stati (oltre ai 10 Balcani, l’Ucraina), più si rende difficile la formazione di un soggetto politico.

L’Europa ha bisogno di “più politica” non di “più economia”, lo abbiamo già detto. L’obiezione è che l’Europa che abbiamo è questa e che dobbiamo fare i conti con la realtà e non con i sogni (Europa federale delle origini, Europa del welfare), che è la Commissione Europea che governa (con il Consiglio degli Stati) e che ci troviamo di fronte al fatto che Germania e paesi frugali (Nord) non vogliono fare debito comune e che la nuova austerità fiscale lascia pochi margini per un grande “new deal europeo” nei settori strategici. Eppure temporeggiare non è più possibile, dal momento che è stato fatto saltare in aria il modello “tedesco” (che trainava parte dell’Europa e l’Italia del Nord) con i bassi prezzi delle materie prime russe ed export in Cina e, se si continua così, ci attendono impoverimento, più disuguaglianze e rivolte popolari.

Nel mondo è invece stato fatto saltare il modello di governance delle Istituzioni mondiali (FMI; Banca mondiale, OCM,…) con la lotta geopolitica avviata dagli Stati Uniti mediante il cambio di governo in Ucraina nel 2014; lotta a cui si stavano però già preparando Cina e Russia (con gli altri Brics) dal 2009. Questi paesi hanno deciso in quell’anno di “mettersi in proprio” (non accettando più il dominio Usa sul mondo) e si sono preparati per un decennio ad uscire allo scoperto (Russia inclusa che lo ha fatto militarmente con l’invasione dell’Ucraina del 2022). La Cina si è dedicata alla costruzione di un’ampia rete mondiale di paesi alleati ed oggi i BRICS hanno la maggioranza nel mondo in termini di popolazione, Pil e controllo delle materie prime critiche e, con dentro la Russia, anche la stessa forza militare e nucleare dell’Occidente. E’ quindi evidente che il declino Usa è iniziato e proseguirà (comunque vadano le prossime elezioni Usa) e che questa Europa finirà stritolata tra Brics e Usa. Di tutti questi aspetti centrali il rapporto Draghi non parla.

Condividiamo il fatto che solo l’Europa e non i singoli Stati possono creare la massa critica per stare nel mondo, ma questa Europa troverà un limite anche nella produzione digitale: per utilizzare sistemi di Intelligenza Artificiale e far funzionare i data center serve un elevato consumo elettrico. Attualmente questi sistemi assorbono il 2,7% della domanda elettrica in Europa, ma si stima che il loro consumo fra sei anni sarà enorme (28%, a proposito di sviluppo sostenibile). Ovviamente il paese più in difficoltà sarà l’Italia.

Non si può non riconoscere quindi ciò che afferma Draghi, cioè che il divario tecnologico con Cina e Usa si sta ampliando in modo preoccupante, che manchiamo di “campioni europei” e che l’importazione di materie prime critiche sta portando l’Europa ad una dipendenza sempre più forte; inoltre, che manchiamo di energia ed elettricità a buon prezzo, costando esse 5 volte quanto costano agli Stati Uniti. Non è quindi sbagliato introdurre incentivi statali per acquistare materie prime, beni e servizi europei (cose che per il liberismo erano fino a ieri una eresia, ma che Usa e Cina fanno da tempo), favorire e aggregare imprese europee che possano creare occupazione di qualità, sostituire importazioni e, nel lungo periodo, affermarsi, individuando quei settori strategici che possono diventare leader mondiali nel lungo periodo.

Draghi non dice però come si finanziano gli 800 miliardi di cui parla: dovrebbe dire che ci vogliono, insieme al “debito buono”, più tasse (come quelle per le grandi imprese multinazionali su cui lavora il G20 prossimo a guida Brasile e poi Sudafrica) e ritornare alla tassazione progressiva nei nostri democratici Stati. Inoltre: avendo rotto i rapporti con la Russia, l’abbiamo gettata nelle braccia della Cina, abbiamo perso un partner che garantiva bassi costi energetici; puntare sul riarmo militare significa ridurre il welfare, mentre è condivisibile puntare sulla transizione energetica, ma bisognerebbe poi includere l’enorme settore dell’offerta dei beni pubblici europei (salute, scuola, acqua, grandi infrastrutture, trasporti pubblici, energia & rinnovabili, prevenzione dei danni del cambiamento climatico, riforestazione, alloggi popolari di qualità, immigrazione legale e transizione al lavoro). Non è vero che si può vendere solo l’Intelligenza Artificiale e il Digitale e che i beni pubblici non sono vendibili. Anzi, con paesi emergenti che hanno bisogno come il pane di beni essenziali, sarebbero di grande vendibilità e qualificherebbero l’Europa come un’area che lavora e commercia sulla qualità della vita e non come un grande mercato di meri consumatori, appendice di quello americano (anche come stile di vita). Anche perché tutti gli indicatori che contano (anni di buona salute, comunità, relazioni, qualità della vita,…) volgono al basso in Occidente. E non è strano che la maggioranza dei Brics e dei paesi emergenti non voglia seguirci.

In questi settori si potrebbero costruire “campioni europei” con logiche pubbliche. Ma questo significherebbe che queste aziende devono essere nella piena disponibilità dei Governi (e dei cittadini) e non muoversi secondo logiche privatistiche, anche se gli Stati (come nel caso nostro di Enel ed ENI) ne sono azionisti di maggioranza. Oggi è tutta fantascienza, in quanto le logiche che muovono i manager delle aziende pubbliche non sono quelle pubbliche di lungo periodo, che premiano occupazione, attenzione all’equilibrio territoriale, ai prezzi bassi ai clienti, ma quelle privatistiche della remunerazione del capitale e degli azionisti di breve periodo, nessun interesse per l’occupazione, tantomeno per l’equilibrio territoriale e l’ambiente (se non come opportunità di altro business).

Se invece l’Europa investisse su beni pubblici governati dagli Stati e dall’Europa creerebbe investimenti di lungo periodo (anche raccogliendo risparmio privato) in cui gli obiettivi sono prezzi bassi per i consumatori, occupazione, beni di qualità e di grande durabilità, certamente vendibili anche all’estero. E’ stato così per decenni per Enel ed Eni, quando l’Italia poteva permettersi di avere l’elettricità al costo più basso in Europa e gli interessi di queste imprese non erano quelli di “remunerare gli azionisti”, ma di investire nel lungo periodo, come fece Mattei. Enel era totalmente in mano allo Stato, era la prima società al mondo per clienti, terza per energia elettrica prodotta e gli italiani avevano i prezzi più bassi in Europa. Idem per Eni che ci garantiva i prezzi del gas più bassi d’Europa. E sono state proprio le logiche della concorrenza accettate dalla Ue che ci hanno portato all’attuale disastro.

Sarebbe tutt’altra Europa, che si muove con un’ottica di pace e ha in mente un modello di sviluppo che farebbe molto bene al resto del mondo, caratterizzato dai beni essenziali per vivere: energia a basso prezzo, acqua, casa, lavoro, salute, scuola. Invece di essere meri consumatori di cianfrusaglie americane e cinesi.

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Andrea Gandini

Economista, nato Ferrara (1950), ha lavorato con Paolo Leon e all’Agenzia delle Entrate di Bologna. all’istituto di studi Isfel di Bologna e alla Fim Cisl. Dopo l’esperienza in FLM, è stato direttore del Cds di Ferrara, docente a contratto a Unife, consulente del Cnel e di organizzazione del lavoro in varie imprese. Ha lavorato in Vietnam, Cile e Brasile. Si è occupato di transizione al lavoro dei giovani laureati insieme a Pino Foschi ed è impegnato in Macondo Onlus e altre associazioni di volontariato sociale. Nelle scuole pubbliche e steineriane svolge laboratori di falegnameria per bambini e coltiva l’hobby della scultura e della lana cardata. Vive attualmente vicino a Trento. E’ redattore della rivista trimestrale Madrugada e collabora stabilmente a Periscopio.

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Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno. L’artista polesano Piermaria Romani si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE
di Piermaria Romani


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