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Durante la pandemia si sono confrontate due principali strategie: quelle “chiusuriste” e quelle “aperturiste, e ciascuna di esse ha avuto diverse gradazioni in differenti Paesi.

La posizione più estrema tra le chiusuriste è stata quella di “Covid zero” (Cina, Australia,…) e, in Europa, dell’Italia, imitata (seppure in modo meno drastico) da quasi tutti i Paesi europei.

Al polo opposto si è invece collocata la Svezia, nella ipotesi che, lasciando correre il virus (e proteggendo anziani e fragili), si sarebbe creata una diffusa immunità naturale con riduzione di ricoveri e decessi.

Un consuntivo a 30 mesi dal marzo 2020 ci consente una prima valutazione.

L’ipotesi del dott. Anders Tegnell, a capo dell’Agenzia svedese per la Salute che decise la strategia (agenzia indipendente dal Governo -socialdemocratico allora-) era che, in mancanza di un vaccino e di tempi stimati lunghi (2 anni) della pandemia, il più efficace modo di contrasto al virus sarebbe stato un contagio di massa che avrebbe prodotto una immunità naturale nella popolazione sana non fragile (bambini, giovani, adulti) più efficace di qualsiasi vaccino che, in quel momento, peraltro, non era all’orizzonte, in quanto per fare un vaccino non sperimentale ci vogliono dai 2 ai 5 anni e le altre pandemie (del 1958, del 1969 e la ‘Spagnola’ del 1919) si erano esaurite da sole dopo 24 mesi.

Per questa scelta il dott. Anders Tegnell è stato a lungo criticato da molti dei nostri media anche se in patria pochi (tra cui il Re) hanno messo in discussione questa strategia. The New England Journal of Medicine ha pubblicato l’ennesimo studio che conferma come l’immunità naturale sia più efficace di qualsiasi vaccino. Chi ha avuto il contagio ha una protezione del 50,2%, mentre chi ha avuto l’infezione e fa (per es.) due dosi di Pfizer ha una protezione simile (51,7%). Gli svedesi avendo sviluppato nel 2020 un contagio di massa e si sono quindi protetti più delle altre popolazioni. Una conferma viene oggi dai dati sulla mortalità in eccesso che anche secondo l’OMS è il miglior indicatore per valutare il successo delle strategie anti-Covid.

L’OMS ha dichiarato che, a causa dei diversi sistemi di classificazione dei decessi, l’unico indicatore attendibile è l’eccesso di mortalità e l’Eurostat (Istituto di statistica europeo) pubblica on line i dati disponibili per chiunque li volesse elaborare.
La mortalità in eccesso è in assoluto il dato più significativo perché prescinde da come sono stati classificati i decessi dovuti alla Covid che, come sappiamo, hanno dato luogo in molti Paesi ad aspre discussioni perché in alcuni casi sono stati considerati morti per Covid, persone che invece erano morte per tutt’altre ragioni ma avevano avuto un tampone positivo o al momento dell’ingresso in ospedale o al momento del decesso.
E’ anche il caso dell’Italia che oggi dichiara in uno studio congiunto ISS-ISTAT che il 10% dei morti “per Covid” erano in realtà morti “con Covid” ma per altre ragioni, percentuale che secondo alcuni virologi ha raggiunto l’80% nel 2022.

I dati della mortalità in eccesso prescindono da tutto ciò e considerano quanti morti ci sono stati in quel periodo rispetto ad un periodo “normale” (media 2016-2019). Il confronto dei morti per Covid tra singoli paesi è meno attendibile in quanto incidono molti fattori: percentuale di anziani, densità abitativa, strategie di contrasto (per es.: domiciliari o meno), efficienza del singolo sistema sanitario (posti letto in area medica e terapia intensiva, numero di sanitari ogni 100mila ab.,…) e anche la classificazione degli stessi decessi. Ecco perché la comparazione per ciascun paese con la mortalità del periodo pre-Covid (2016-2019) è la più significativa.
Ed è infatti il criterio assunto anche (da tempo) dal nostro Istituto Europeo di statistica. Si pensi solo al fatto che un paese avrebbe potuto essere bravissimo nel contrastare la Covid ma ha trascurato di curare (e operare) altri malati gravi e/o oncologici.
La mortalità in eccesso cattura tutte queste variabili ed è quindi di gran lunga l’indicatore migliore e, da tale indicatore, la Svezia esce come il paese migliore insieme a Norvegia, migliore anche degli altri due vicini nordici Danimarca e Finlandia che hanno una minore densità di popolazione. Non bisogna infatti dimenticare che Stoccolma (la capitale della Svezia) ha una densità abitativa doppia di quella di Roma. Compito della scienza è approfondire in base a dati reali e non per narrazioni di parte. Un esempio di come l’informazione in una democrazia sia importante se corretta.

Un indice che non è influenzato dalle notevoli differenze tra Paesi tra cui la percentuale di anziani (per esempio l’Italia aveva 1.050 decessi per 100mila abitanti contro i 780 della Svezia nel periodo pre-Covid). In una fase di emergenza occorre infatti considerare molti aspetti tra cui i danni che un eccesso di attenzione alla Covid possono determinare nelle cure per altre gravi patologie. Istat e Agenas oggi ci dicono che nel 2020 i ricoveri in Italia sono diminuiti di 1,3 milioni (-20,1%; -24,5% al Sud) nei reparti ordinari e del -29,4% in day hospital creando non solo enormi problemi di cura per i malati di altre patologie e rinvii di operazioni e prevenzioni, ma anche molti decessi aggiuntivi.

Ebbene nel periodo da marzo 2020 a dicembre 2020 (primi 10 mesi della pandemia), la Svezia ha avuto una mortalità in eccesso rispetto al suo standard normale (2016-2019) di +8,5% a fronte di +17% dell’Italia, quindi la metà.
La Svezia fu però criticata, nonostante fosse sotto la media Europea, in quanto i 3 paesi limitrofi (che avevano adottato misure restrittive, anche se non come l’Italia, anzi 2 di essi -Norvegia e Finlandia- non hanno mai raccomandato mascherine all’aperto né fatto forti restrizioni dopo il primo lockdown) avevano avuto una mortalità minore: Norvegia +0,2%, Danimarca +2,4%, Finlandia +3,5%. Solo l’Olanda andava peggio (+12,5%). Era quindi comprensibile che ci fossero critiche verso una strategia che produceva da un lato meno danni alle libertà e all’economia ma, dall’altro, più morti (almeno nel confronto coi 3 paesi limitrofi).

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Ma Tegnell, a differenza di uno spaventato Boris Jhonson (un politico che ha cambiato linea), ha mantenuto ferma la sua scelta, forte delle sue conoscenze medico-scientifiche, e da gennaio 2021 a luglio 2022 i fatti gli hanno dato ragione.

Mentre la Svezia ha avuto un crollo nella mortalità, i Paesi confinanti (per non dire degli altri) hanno iniziato ad avere una forte crescita della mortalità. I dati relativi agli ultimi 19 mesi (appunto da gennaio 2021 a luglio 2022) sono eloquenti: Svezia +0,9%, Norvegia +5,8%, Danimarca +7,3%, Finlandia +8,7%, (per memoria Italia +9,8% e media Europa +12,2%).
Questa minore mortalità dal gennaio 2021 in poi ha fatto si che nell’intero periodo della pandemia (da marzo 2020 a luglio 2022) la Svezia fosse il paese con la più bassa mortalità (+4%) insieme alla Norvegia (+3,8%) e probabilmente a fine 2022 la sua mortalità sarà minore anche di quella della Norvegia.

Arrivati i vaccini nel gennaio 2021 la Svezia ha vaccinato come tutti (anche se non ha imposto l’obbligo “di fatto” come l’Italia con l’introduzione del green pass al lavoro e per gli studenti e le multe). Avendo tutti i Paesi usato i “vaccini”, tale variabile non inficia il confronto (per memoria in Svezia sono vaccinati il 10% in meno dell’Italia).

Come mai è accaduto questo cambiamento dal 2020 al 2021?
L’ipotesi più probabile è quella (sostenuta dal dott. Anders Tegnell). E cioè: poiché la pandemia sarebbe stata lunga (almeno 24 mesi), in mancanza di un vaccino efficace era conveniente un contagio di massa delle persone sane (proteggendo i fragili e gli anziani) perché avrebbe prodotto una diffusa immunità naturale nella popolazione giovanile e adulta. E così è stato.
Il fatto che oggi i virologi si dividano tra loro molto più di un anno fa è anche frutto di una riflessione su quanto avvenuto nella realtà, oltre al fatto che oggi Omicron è 44 volte meno pericolosa di Delta.

Una conferma di quanto avvenuto in Svezia viene anche dagli altri paesi europei: chi è stato colpito poco nel 2020 ha poi avuto forti incrementi di mortalità nel 2021 (e viceversa).
Ciò è avvenuto anche nelle province italiane. Le più colpite nel 2020 con una altissima mortalità in eccesso (Bergamo +60,6%, Piacenza +37,2%; media Italia +15,6%), hanno poi avuto nel 2021 un crollo di mortalità in eccesso (Bergamo +2%, Piacenza +0,4%), mentre al contrario le province che avevano avuto pochissimi decessi nel 2020 (Reggio Calabria +3,1%, Siena +1,4%) hanno poi avuto nel 2021 maggiori e alti livelli (Reggio C. +13,4%, Siena +6,7%). Anche Ferrara che nel 2020 aveva avuto quasi la metà dei morti in eccesso della media nazionale (7,9% vs 15,6%), nel 2021 ha raggiunto la media nazionale (9,8%).
A conferma che i Paesi e le province dove il contagio si era maggiormente diffuso hanno sviluppato una sorte di immunità naturale nel 2020 che ha poi prodotto nel 2021 e 2022 minori ricoveri e decessi. Del resto oggi tutti gli studi confermano che l’immunità naturale acquisita dopo una guarigione vale come due dosi di vaccino. In sostanza gli svedesi nel 2020 si sono “immunizzati” senza vaccino, lasciando correre il contagio.

Se l’Italia avesse adottato la strategia “svedese” i morti sarebbero stati nel 2020, anziché 102mila, 54mila e nel 2021 anziché 54mila solo 4.750 (10 volte meno).

Può sembrare paradossale, ma l’abc della genetica spiega che l’immunità naturale è da sempre più efficace di un vaccino. Tra l’altro, quello che è stato ottenuto, dati i tempi ristretti, è un vaccino sperimentale e a bassa efficacia (comincia a ridursi dopo 4-6 settimane), almeno per giovani e adulti, dove non c’è più certezza che (come avviene per gli anziani) i benefici superino i rischi.

Ci saremmo risparmiati danni ingenti all’economia e all’occupazione (un milione di licenziati), molte limitazioni alle libertà, molti error tra cui l’invio di anziani positivi nelle RSA, isolati da ogni parente (con un terzo in più di decessi solo per solitudine) e quello dei funerali senza parenti, lo stress di 700mila sanitari con pronto soccorso e ospedali super intasati dalla mancanza di cure domiciliari (sconsigliate ai medici di base) e un clima di divisione sociale senza precedenti creato con il capro espiatorio dei no-vax, accusati di essere “untori”, scoprendo poi che anche i vaccinati potevano contagiare e contagiarsi.

Il successo della Svezia non è confermato solo da Eurostat , ma da Economist, World Mortality Dataset e OMS.
I media evitano di parlare oggi della strategia svedese in quanto dovrebbero ammettere di aver veicolato informazioni errate, anche se ogni tanto qualcuno cerca di sviare i lettori come nel caso della grande rilevanza data dai nostri media in aprile scorso ad uno studio (Evaluation of science advice during the COVID-19 pandemic in Sweden) pubblicato sulla prestigiosa rivista Nature, che demoliva la strategia della Svezia e che in realtà non è stato mai pubblicato su Nature, ma su una rivista online e in open access, “Humanities and Social Sciences Communications”

Nel corso della pandemia sono usciti circa 300mila studi da parte di esperti e “scienziati” che hanno sentenziato tutto e il contrario di tutto. Come ha detto Ioannidis, uno dei maggiori epidemiologici al mondo [leggi Qui]. Chi ci ha rimesso di più in questo periodo è stata la scienza (quella vera), in quanto molti studi sono sospettati di finanziamento aziendale e quindi non totalmente al di sopra degli interessi commerciali e la stessa ricerca universitaria è finanziata spesso da budget privati.

Ora esce in inglese il libro di Johan Anderberg “The Herd” (Il gregge), Scribe Publications, dove si racconta questo caso di successo e di un famoso ammonimento paterno inviato nel 1648 dallo statista svedese Axel Oxenstierna per rassicurare il figlio preoccupato di reggere i negoziati con i leader stranieri: An nescis, mi fili, quantilla prudentia mundus regatur (Non sai, figlio mio, con quanta poca saggezza è governato il mondo?).

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Andrea Gandini

Economista, nato Ferrara (1950), ha lavorato con Paolo Leon e all’Agenzia delle Entrate di Bologna. all’istituto di studi Isfel di Bologna e alla Fim Cisl. Dopo l’esperienza in FLM, è stato direttore del Cds di Ferrara, docente a contratto a Unife, consulente del Cnel e di organizzazione del lavoro in varie imprese. Ha lavorato in Vietnam, Cile e Brasile. Si è occupato di transizione al lavoro dei giovani laureati insieme a Pino Foschi ed è impegnato in Macondo Onlus e altre associazioni di volontariato sociale. Nelle scuole pubbliche e steineriane svolge laboratori di falegnameria per bambini e coltiva l’hobby della scultura e della lana cardata. Vive attualmente vicino a Trento. E’ redattore della rivista trimestrale Madrugada e collabora stabilmente a Periscopio.

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PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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