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“Il cinema non morirà mai, ormai è nato e non può morire: morirà la sala cinematografica, forse, ma di questo non mi frega niente.” (Mario Monicelli)

Per tutti noi il film è sinonimo di pellicola; siamo abituati a pensare che il cinema sia fatto di quel lungo nastro di fotografie che alla velocità di 24 fotogrammi al secondo riproducono e/o creano la realtà. Se poi ci pensiamo, mettiamo a fuoco che, da molto tempo, non è più così.

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Pellicola cinematografica
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La mitica ‘pizza’

Più di 30 anni fa il formato vhs irruppe, portando la novità dell’home video; ora sembra normale, ma per gli analogici, per quelli che registravano la musica dalla radio alla cassetta con un microfono, e che il cinema lo vedevano solo in sala, fu una magia.Poi venne, per pochi anni e con non molto successo, nonostante la ottima qualità della riproduzione, il laser disc, un piattone delle dimensioni di un altro mito, il long playing in vinile; funzionava bene, ma l’eccessivo ingombro ne decretò il rapido declino. Poi il dvd, il blu-ray, per non parlare delle tv, delle piattaforme sul web, i telefonini, i pc, etc.; il film si è liberato dal servaggio della pellicola.
Ma proprio in questo nostro secondo decennio del secolo XXI, è avvenuta la rivoluzione, il digitale; macchine da presa molto più leggere, nessun limite materiale di metri-pellicola; con la pellicola si poteva lavorare, dopo il girato, sulla fase di sviluppo e stampa, ma poi il prodotto era quello, immodificabile; col digitale si ha la possibilità di lavorare sul girato praticamente illimitata, basti pensare ai film in computer grafica.

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Dcp, file cui si accede con un codice
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Dcp, dispositivo elettronico per proiettore digitale

Nelle nostre sale, salvo le più piccole che ancora sopravvivono magari con la videoproiezione, oramai si proietta in Dcp, acronimo di Digital cinema package: un file custodito in un contenitore cui si accede con un code; si sta rapidamente sviluppando anche la proiezione tramite invio elettronico del file del film al proiettore in sala.
Ma, dagli esordi degli ultimi anni dell’Ottocento sino a noi, girare un film su pellicola e poi proiettarlo, dopo sviluppo e stampa del negativo, è stata una delle tecnologie più longeve e di successo nella storia moderna. Un film di normale durata occupa 5/8 pizze, che messe insieme fanno una bella colonna, alta e pesante; se si pensa che un film poteva essere normalmente distribuito in alcune centinaia di copie, e che, una volta terminato lo sfruttamento del film nelle sale, che spesso si compie in pochi mesi, questo materiale diventa sostanzialmente inutile, sorge una domanda: dove vanno a finire le pizze?

Ce lo racconta Graziano Marraffa, un appassionato cinefilo, fondatore e animatore dell’Archivio storico del cinema italiano, una importante cineteca con sede in Roma, che ha realizzato la pazza idea di farsi cineteca tutta sua.
“Fin da bambino vedevo con assiduità e attenzione i film in televisione, ed ero attirato in modo irresistibile dai quelli più importanti, diciamo i classici. Compravo le riviste specializzate e ritagliavo gli articoli e le foto; poi, piano piano, è diventata una professione. Ho imparato a girare nei mercatini di tutta Italia, dove ho trovato memorabilia, locandine, foto di scena, soggetti e sceneggiature.
Poi, anche frequentando professionisti del settore, ho recuperato e raccolto i trailer, quelli che una volta chiamavamo “pezzi”, che spesso contengono scene o frammenti non inclusi poi nella versione montata del film; immagini e battute dunque che altrimenti sarebbero andate perdute per sempre. Il mio interesse al recupero e alla conservazione mi ha portato poi a raccogliere altre testimonianze, non solo i film, ma le scenografie, i costumi, le foto di scena, attualmente ne conservo 750.000, tutte con copyright; ho i backstage di film di Fellini, Pasolini, De Sica, di attori come Totò, Magnani, Sordi, originali e inediti. Sì, è stata proprio una pazza idea.”

Di seguito alcuni manifesti originali conservati all’Archivio storico del cinema italiano di Roma. Clicca le immagini per ingrandirle. Si ringrazia Graziano Marraffa per la gentile concessione.

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Massimo Piazza

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Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno. L’artista polesano Piermaria Romani si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE
di Piermaria Romani


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