LA SEGNALAZIONE
“Lo cunto de li cunti”, nel film di Garrone storie e ambienti che esaltano il patrimonio italiano
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“Il colore è un tasto, l’occhio è il martelletto che lo colpisce.” (Vasilij Kandinskij)
“Lo cunto de li cunti” è per alcuni solo un vago ricordo scolastico, ma per il regista Matteo Garrone è stata l’occasione per girare, e anche produrre, un film ambizioso e innovativo che, con i film di Moretti e Sorrentino, hanno rappresentato l’Italia al Festival di Cannes. L’esito della premiazione poi, come noto, non è stato felice, per logiche anche diverse dai valori filmici; la giuria stavolta ha forse subito influenze estranee, comunque l’impressione complessiva lasciata dai nostri cineasti è decisamente positiva. In particolare, in tutti e tre i film si registra l’obiettivo di produrre film di caratura internazionale: nel caso di Moretti con un film decisamente “europeo”, negli altri due con confezione e casting da grandi produzioni, e con l’obiettivo di toccare anche mercati extra continentali.
Un film quello di Garrone di grande impegno produttivo, con un costo oltre 12 milioni di euro, e con un cast internazionale arricchito anche da una nutrita presenza di attori italiani. “Il racconto dei racconti“, scritto da Giambattista Basile nella prima metà del XVII secolo, è un pentamerone, 10 racconti per 5 giornate; una summa favolistica, di ambientazione campana e meridionale, fortemente influenzata dal barocco, cui hanno attinto successivamente molti altri, dai Grimm a Perrault, per finire al Calvino dei nostri tempi; tra le novelle più famose “La gatta Cenerentola”, la prima e la più antica versione di Cenerentola, racconto popolare tramandato sin dall’antichità, da cui è tratta, tra le altre, l’opera omonima di Roberto De Simone.
Da tanto materiale fantastico, Garrone ha scelto tre storie, “La vecchia scorticata“, “La pulce” e “La cerva fatata“, storie di tre donne di età diversa: la giovane, la donna matura e l’anziana; tutte cercano l’amore, la felicità, la giovinezza; una regina che per divenire fertile mangia il cuore pulsante di un drago marino, una orrida vecchia che allattata da una strega diviene una bellissima giovane vergine, la figlia di un buffo re, in cerca di amore, armonia e grazia, data in sposa ad un orco, novella la Bella e la Bestia.
La narrazione filmica percorre i toni tipici del regista romano tra grottesco e fiabesco, tra sublime e orrido, con una particolare predilezione per i toni dell’orrore, del ‘grand guignol’, dalle tonalità caravaggesche e ispirate a Goya, come dichiarato dal regista medesimo. Risulta anche nettamente percepibile l’eredità del nostro miglior cinema, dal “Pinocchio” di Comencini al “Satirycon” di Fellini, dal “Brancaleone” di Monicelli al “Decameron” di Pasolini: iconografie scelte per rappresentare la vita misera, talvolta orrida, ma piena di poesia, di coraggio e vitalismo dei poveri cristi, di quelli che regine e re non sono.
E’ anche un fantasy, pieno di orrori e magie (il drago marino, lo scafandro con cui il re si immerge è tratto pari pari da Jules Verne, la pulce gigante rimanda a “I viaggi di Gulliver”), che prova ad aprire una strada diversa da quella percorsa dai prodotti made in Usa: qui tutto ha una forte valenza artistica, evidenziata da cromatismi pittorici che rimandano a Piero della Francesca, al Pollaiolo, e come detto a Goya e Caravaggio. Inevitabile anche sottolineare lo straordinario lavoro fatto sui costumi da Massimo Cantini Parrini, che ha prodotto una galleria di abiti, accessori e acconciature, che non può non stupire.
Come se non bastasse, il film gode, e con esso lo spettatore, di location tutte reali che propongono alcuni straordinari esempi del patrimonio paesaggistico e architettonico italiano: il Castel del Monte di Federico II in Puglia, la Villa e il Labirinto di Donna Fugata a Ragusa, le gole di Alcantara in Sicilia, in un affresco suggestivo, che potrebbe aprire a questa innovativa proposta del cinema italiano la possibilità di altri mercati e, pensiamo, anche di influenzare il fantasy verso nuove prospettive.
“Il racconto dei racconti“, di Matteo Garrone, con Salma Hayek, John C. Reilly, Jonah Lees, Alba Rohrwacher, Massimo Ceccherini, Laura Pizzirani, Franco Pistoni, Giselda Volodi, Giuseppina Cervizzi, Jessie Cave, Toby Jones, Bebe Cave, Guillaume Delaunay, Eric MacLennan, Nicola Sloane, Vincenzo Nemolato, Giulio Beranek, Davide Campagna, Vincent Cassel, Shirley Henderson, Hayley Carmichael, Stacy Martin, Kathryn Hunter, Ryan McParland, Kenneth Collard, Renato Scarpafantasy, consigliato + 13, durata 125 min., Italia, Francia, Gran Bretagna, 2015.
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Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno. L’artista polesano Piermaria Romani si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)
PAESE REALE
di Piermaria Romani
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