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Alle notizie sui disordini di Tripoli e della situazione in Libia, la memoria involontaria riporta in superficie le canzoncine che a noi quasi infanti venivano insegnate negli asili e nelle scuole. Dalla roboante
Tripoli bel suol d’amore
ti giunga dolce questa mia canzon.
Sventoli il tricolore
Sulle tue torri al rombo del cannon!
Naviga, o corazzata:
benigno è il vento e dolce la stagion.
Tripoli terra incantata
Sarà italiana al rombo del cannon!
Un classico scritto nel 1911 al tempo della conquista della Libia a cui se ne accompagnava un’altra, la più intrigante, in dialetto ferrarese, e da noi figli della lupa amatissima perché ci permetteva di urlare una parola proibita senza essere ripresi. Ecco la prima strofa e vado a memoria:
La muier dal Negus
L’è andada in bicicleta
L’ha fatt na curva stretta
La s’è rusgà na teta
Bim Bum Bam
Al rombo del canon.
Quale importanza ci veniva dal poter pronunciare ‘teta’! proibitissima nel lessico familiare. Tra le due il trait-d’-union era “il rombo del cannon”.
Il nostro razzismo fatto in casa si esprimeva con queste esplosioni di cantate marziali sotto l’aura del protettorato del ferrarese Balbo sulla Libia. Educare i bambini alla mentalità di guerra produceva oltre il solito effettaccio retorico – e si pensi ai tanti film di guerra prodotti tra Roma e Venezia sotto il regime – ad una scelta estetica. Se vedo le mie foto in divisa scaturisce l’immagine di una volontà di eleganza fatta e prodotta con materiali poveri come, del resto erano tutti quelli confezionati in regime autarchico: calzettoni di lana che pizzicavano maledettamente, camicia cucita in casa sulle preziose Singer a pedale (per chi se lo poteva permettere) e il cappelletto d’orbace. Un’autarchia che ancora nelle scelte politiche del presente si posta perentoriamente con il diktat salviniano “prima gli italiani” che si spiega, per lui, con “solo” gli italiani.
Ora, se si pensa alla situazione libica derivata dalle scelte dei francesi e dalle trame tra Gheddafi e B. non possiamo se non preoccuparci di quello che potrà succedere anche di fronte alla proclamata (ma per quanto?) neutralità italiana così come viene sbandierato dal governo in carica.
La Giornata europea della cultura ebraica che si è tenuta a Firenze domenica 2 settembre al Giardino del Tempio dal titolo Storytelling – Le storie siamo noi è stata organizzata principalmente da Enrico Fink e dalla moglie Laura Forti assessore culturale della comunità ebraica di Firenze ed ha avuto un successo di pubblico strepitoso. Nella giornata più di mille persone hanno partecipato agli eventi tra incontri culturali, musiche e cibi della tradizione ebraica. Il primo incontro dedicato al rapporto tra memoria e contemporaneità, moderato dallo scrittore Wlodek Goldkorn, ha visto tra gli altri gli interventi del giornalista Gad Lerner, della filosofa Donatella Di Cesare e della grande Lia Levi che ci ha affascinato nel raccontarci come a lei bambina sotto le leggi razziali ha dovuto assimilare un concetto per lei ancora sconosciuto: la sua identità ebraica.
Al pomeriggio toccava a noi con una comprensibile ansia. Il tema era “Narrare l’Italia ebraica del ‘900: Giorgio Bassani in collaborazione con il Centro Studi bassaniani del Comune di Ferrara. A parlare Portia Prebys curatrice del Centro, il sottoscritto co-curatore e Anna Dolfi tra le massime studiose dello scrittore ferrarese e cara amica dello scrittore. Partiamo da Ferrara con Claudio Cazzola, autore di un importante libro su Viviani, il professore di greco e latino di Giorgio Bassani al Liceo Ariosto di Ferrara e a Firenze ritroviamo Portia e tanti amici di quell’entourage culturale; tra gli altri Carlo Sisi, a David Palterer, il presidente della casa editrice Giuntina, Enza Biagini, Laura Dolfi e una folta rappresentanza degli gli allievi della sorella Anna. Ci raggiunge pure reduce da Cortona il sindaco di Ferrara Tiziano Tagliani con la moglie Paola e da Roma Daniele Ravenna presidente delle celebrazioni per il centenario bassaniano con la moglie Anna. E per stare in famiglia i figli della sorella di Bassani, Jenny, David e Dora Liscia con i rispettivi consorti. Portia ha prodotto un power point di straordinaria efficacia raccontando luoghi e momenti e cose appartenute a Giorgio che ora si trovano nel Centro a casa Minerbi- Del Sal a Ferrara. Anna Dolfi, da par suo, ha interpretato l’aspetto politico delle opere del primo Bassani ed io ho ripercorso la presenza dei ferraresi a Firenze nel secolo scorso: da Claudio Varese a Lanfranco Caretti, da Guido Fink a me, più le ‘giovani generazioni’ Claudio Cazzola, Mario Vayra, Monica Farnetti per parlare solo dei ‘letterati’. Ho raccontato il mio incontro con Guido Fink nel 1947 e le riunioni a casa Varese a Firenze in cui si riuniva tutto l’entourage ferrarese-fiorentino.
Alla fine due premi. Il primo quello donatomi da Lia Levi che non ha voluto ritornare a Roma senza avermi ascoltato. Il secondo che per un momento ha fermato il tempo. Mi s’avvicina una signora apparentemente della mia età. Si complimenta e mi sussurra che le ricordavo il suo professore delle medie a Ferrara. Quel professore era Giorgio Bassani che la ebbe allieva nella scuola israelitica del Ghetto dopo l’espulsione degli studenti ebrei dalle scuole statali.
E questo è stato il premio più ambito della giornata fiorentina.
Tra poco si svolgeranno importanti manifestazioni al Centro e a Ferrara dove si svolgerà anche il Premio Bassani.
Speriamo che questo luogo diventi una consuetudine culturale della città.
Noi ce la mettiamo tutta.

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Gianni Venturi

Gianni Venturi è ordinario a riposo di Letteratura italiana all’Università di Firenze, presidente dell’edizione nazionale delle opere di Antonio Canova e co-curatore del Centro Studi Bassaniani di Ferrara. Ha insegnato per decenni Dante alla Facoltà di Lettere dell’Università di Firenze. E’ specialista di letteratura rinascimentale, neoclassica e novecentesca. S’interessa soprattutto dei rapporti tra letteratura e arti figurative e della letteratura dei giardini e del paesaggio.

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno. L’artista polesano Piermaria Romani si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE
di Piermaria Romani


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