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Non si diventa uomini se non si conosce ciò che è successo prima
Questo è il commento che la senatrice Liliana Segre pone al centro dell’articolo uscito su ‘La Repubblica’ a proposito della ventilata abolizione dell’esame di storia alla prova di maturità. La senatrice dichiara che lotterà per cambiare la proposta: “Togliere la traccia di storia dall’esame di maturità è un modo per cancellare la memoria, per dimenticare”.
Claudio Gamba, storico d’arte all’Università di Sassari, scrive sul suo blog: “Oggi più che mai rivendico il ruolo centrale, imprescindibile, della storia. Una materia sempre più emarginata e che è stata perfino eliminata dai temi di maturità, invece tutto è storia: l’arte è la storia dell’arte, la letteratura è la storia della letteratura, la filosofia è la storia della filosofia, la scienza è la storia della scienza, la matematica è la storia della matematica. La storia è la consapevolezza critica della relatività dei problemi. Senza la storia la conoscenza diventa dogma e il dogma giustifica ogni abuso di potere e il potere diventa repressione”.
Nel tempo, specie nel secolo scorso, gli attacchi alla storia furono numerosi, ma comunque legati a un indirizzo critico che aveva le sue basi ermeneutiche e le sue giustificazioni. La mia evoluzione critica nasce nel segno della storia e non per nulla i miei maestri furono insigni rappresentanti della storicismo: Claudio Varese e Walter Binni, con il quale mi sono laureato. La differenza con altri insegnamenti si notava anche nella stessa dizione delle materie insegnate. A Firenze, per esempio, nel mitico Magistero c’era “storia della letteratura italiana” a Lettere invece “letteratura italiana”. E cosi per tante materie. Nel pieno della contestazione del Sessantotto, che vissi come giovane assistente, il termine ‘Storia’, pur subendo attacchi notevoli e pur venendo sconfessata dall’avanzare impetuoso della semiologia e della critica francese, era comunque accertato. Eccome! Perfino Gianfranco Contini si proclamava allievo di Croce, il teorizzatore dello storicismo.

Un filosofo all’avanguardia cresciuto nella scuola milanese di Banfi come Giulio Preti, che fu mio maestro e collega all’Università, riflettendo anche sul concetto di storia prese posizione contro la rivoluzione del Sessantotto e come attesta l’ottima voce dell’Enciclopedia Treccani a lui dedicata così scrisse: “La riflessione sul valore costituì l’asse portante attorno cui ruotò il pensiero dell’ultimo Preti. Non erano soltanto ragioni di tipo filosofico che lo condussero a scrivere e dedicare corsi universitari al tema del valore. Agirono anche motivi politici e culturali. Preti guardò con preoccupazione alla democrazia di massa e si oppose con forza a quello che giudicava essere l’irrazionalismo della contestazione studentesca. Riferendosi a Max Scheler, ne riprese la categoria di “risentimento” per indicare il desiderio di sovvertire i valori della civiltà occidentale che vedeva in atto in molti ambiti della società contemporanea”. In questo modo la riflessione sulla storia da contesti assai diversi contagia intellettuali di chiara fama. Solo per rimanere nel campo degli scrittori, basti pensare a Pasolini e alla Morante. Se dunque ora in nome dei suggerimenti del ‘popolo’ il ministro attacca direttamente la storia per il presente sempre attualizzato, si capisce la reazione della Segre all’abolizione di quella interpretazione del mondo che si chiama ‘Storia’ e che portò – per citare un altro maestro e amico – a chiamare il suo libro più importante ‘L’antichità come futuro’: Rosario Assunto.

Ma è inutile riempirsi la bocca con le ragioni che ogni buon studioso porta in nome della storia; venendo agli obblighi che la scuola ha verso i discenti sembra perfino ovvio che la vicenda delle ‘imprese’ compiute da popoli o futuri popoli che si danno lo statuto di nazione non può prescindere dall’essere storicizzata. Un filosofo come Adorno – che pochi giorni fa è stato esaminato in un interessantissimo libro, ‘Costellazione Adorno’, presentato presso Ibs, e scritto da un docente che insegna nelle scuole cittadine Roberto Sega con il commento di validissimi studiosi quali Claudio Cazzola, Girolamo De Michele e Mario Quaranta, anch’essi provenienti dall’insegnamento – ha sentito la necessità di ritornare alla storia, lui che come si sa, scrisse che dopo Auschwitz era impossibile ‘raccontare’.
Un altro termine ambiguo è ormai adottato nel tempo odierno in cui il governo e la politica scelgono l’eterno presente. Questo è ‘narrazione’. Narrare significa storicizzare. Ma cosa? Ciò che si esaurisce nel momento stesso in cui viene agìto? Si procede così mentre l’Italia si scontra con l’Europa, mentre il ‘fatto’ assorbe tutto il tempo e lo spazio ingoiandolo e sostituendolo per mancanza di prospettiva storica nella ‘news’ molto spesso diventa ‘fake news’.
E’ questo che vogliamo tramandare? Già un verbo simile induce alla ed è soggetto della Storia E’ veramente questo che gli studenti vogliono? Abolire la Storia per vivere in un tempo dimenticato e da dimenticare? Senza ricordi?
Solo per queste semplicissime domande diventa impegno civile ed etico schierarsi dalla parte di Liliana Segre e della sua protesta.

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Gianni Venturi

Gianni Venturi è ordinario a riposo di Letteratura italiana all’Università di Firenze, presidente dell’edizione nazionale delle opere di Antonio Canova e co-curatore del Centro Studi Bassaniani di Ferrara. Ha insegnato per decenni Dante alla Facoltà di Lettere dell’Università di Firenze. E’ specialista di letteratura rinascimentale, neoclassica e novecentesca. S’interessa soprattutto dei rapporti tra letteratura e arti figurative e della letteratura dei giardini e del paesaggio.

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