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Tutto pronto per l’inaugurazione. Attentamente controllate le mail con i ‘consigli’ scrupolosamente inviatici per accedere al Meis, estratto dall’armadio il cappotto blu di cachemire triplo, di solito indossato per qualche prima alla Scala, esumato il Borsalino (quello piccolo, più serio di quello a larghe tese), cravatta Hermès d’antan, giacchetta blu ovviamente quella di cachemire e il fazzoletto di seta grigia, che ha ormai due secoli e ho indossato sempre in occasioni speciali, quali quelle di testimone ai matrimoni dei nipoti.
Il taxi l’avevo prenotato il giorno prima, ma una telefonatina di conferma scatta lo stesso. Passo a prendere la mia collega, la professoressa Portia Prebys, curatrice del Centro studi bassaniani, da lei donato alla città di Ferrara. Eroicamente, dopo aver assunto le medicine che le permettono di fare qualche passo senza soffrire troppo, sbarchiamo davanti alle ex-carceri, ora sede del Museo nazionale dell’ebraismo italiano e della Shoah e ci mettiamo in fila, mentre ragazzine saputelle, ma consce del loro compito, scrupolosamente controllano una serie di nomi che sembra non finiscano più. Ma non ci era stato detto che saremmo stati un centinaio al massimo? Al controllo, dopo aver depositato tutto il metallo che possedevamo siamo scrupolosamente palpati. Sto per passare quando fulmineamente mi ricordo d’aver le bretelle con i ganci in ferro. Lancio un urletto e avverto il palpatore. Mi guarda come fossi uno scemo, dice che quelle non contano, mentre febbrilmente penso alle solite truffe dei cinesi che ti vendono ganci di ferro mentre si tratta (forse) di pane masticato e tinto color acciaio.
Nella fila parallela s’accende una diatriba imponente. La voce la conosco: per forza è uno delle archistar fiorentine, che tra l’altro svolge anche il ruolo di rabbino e mio caro amico. Sta sgridando un pezzo grosso dell’organizzazione che non vuol far passare la figlia di Bassani. Alla fine entriamo e siamo di nuovo affidati alle cure di una gentil giovanetta, che indaffaratissima a passo svelto ci fa traversare il giardino. In una specie di recinto riconosco gli amici giornalisti e i fotografi in preda a orgasmo da scatto. Miro e siam mirati mentre la giovane affretta il passo. Afferro la pochette di Portia, le do il braccio e ansimanti arriviamo a una scala. Un secco invito: “terzo piano, salite le scale”. Imploro un ascensore mi si risponde falsamente che non c’è; e infine approdiamo sudaticci e doloranti al loco del desire. Sono le ex celle maschili dove s’aggirano animule vagule e per nulla blandule, sorvegliate dagli occhi di ghiaccio di immusoniti camerieri che servono frittelle fredde – mi pare – e spumantino nelle classiche flûtes di plastica. Uno schermo televisivo sovrasta il tutto.
Portia sfinita s’appoggia al muro; chiedo una seggiola, mi si risponde quasi in un sibilo che non ce ne sono. Domando che la vadano a prendere. Mi guardano con disprezzo. Afferriamo al volo la solita giovanetta chiedendole di portarci di sotto e controllare se, forse, per caso, accidentalmente, non si fossero sbagliati nell’assegnarci la postazione. In fondo la professoressa Prebys è sicuramente una grande benefattrice della cultura ferrarese ed ebraica. Discendiamo le scale che tanto fiduciosamente avevamo salite poi la donzelletta sparisce e ci appare una dama sontuosamente pittata che ha una grossa cartella di fogli misteriosi. Consulto febbrile, conferma che il nostro posto era la piccionaia. Saluta frettolosamente con un ancor più frettoloso ‘scusatemi’ e se ne va. Vediamo allora una importante rappresentante della cultura ferrarese che rivela l’inganno. Non solo gli ascensori ci sono, ma lei stessa l’aveva preso il mattino per la conferenza stampa e non si dà pace della bugia. Ma è ragione di sicurezza!! Sì, penso, va bene però in qualsiasi luogo pubblico, anche d’interesse minore, si debbono predisporre soccorsi per i non abilissimi a sopportare tre ore in piedi, non a dispetto ma proprio in favore della sicurezza. E se qualcuno si fosse sentito male?
Mestamente ripercorriamo il giardino per uscire inseguiti dai flash dei fotografi che ci chiedono ragione della ritirata. Proseguiamo incuranti dei richiami, mentre la fila dei perdenti che s’ingrossa sempre più come a Waterloo s’avvia all’uscita. Incrocio il Sindaco in compagnia del vescovo, che mi guarda con occhio interrogativo. Gli sussurro “lo saprai”. All’uscita l’archistar s’avvia a prendere il treno per Firenze, le signore sconfitte salgono su grandi macchine e noi siamo soccorsi da un autista che ben conosciamo, che affettuosamente ci riaccompagna a casa. Sono le 17.14.
Il presidente Mattarella sta per arrivare: silenziosamente.
La sera si scatena l’inferno. Mi chiamano i giornali cittadini chiedendo conto della ritirata, insinuando motivi volgarotti e banali. Se la prendono con i dirigenti del Meis, che ovviamente non hanno colpa se le direttive – come è assodato – provengono dall’ufficio di sicurezza del Quirinale. Devo promettere smentite feroci per le illazioni. Prebys e io collaboreremo sempre con il Meis, non ce l’abbiamo con loro anzi! Se perfino il rav di Ferrara non può sedere tra gli immortali 70!
Per fortuna la sera rivedo un film di Woody Allen, ‘Tutti dicono i love you’, con le riprese dei miei luoghi dell’anima: Venezia e Parigi. E ancora una volta mi domando: “Ma che ci faccio a ‘Ferara’?” Poi penso: “Va beh! È sempre la mia città”. Soffocando dentro il commento finale che detto in francese suona più fico: “Helas! (Ahimè!)”.

Il giorno dopo ci aspetta una importantissima cerimonia. Per non essere sconfitti ancora e almeno assicurarci una seggiola, un panchetto, un gradino, arriviamo quasi un’ora prima. Tutto è impeccabile. I nostri nomi a lettere di fuoco son stampati sui seggi che ci appartengono e rilassato posso alfine dedicarmi ai cari amici Foscari che avevo incontrato la sera prima anche loro diretti in piccionaia.
Il premio ‘Città di Ferrara’ viene assegnato quest’anno a Ferigo Foscari E’ simboleggiato da un ippogrifo che non sale in cielo, ma è destinato a coloro che si sono particolarmente distinti e che hanno contribuito a valorizzare il prestigio della nostra città. La motivazione dell’assegnazione a Ferigo Foscari Widmann Rezzonico è per aver donato alla città il manoscritto de ‘Il Giardino dei Finzi Contini’ di Giorgio Bassani, attualmente custodito alla biblioteca Ariostea. Alla cerimonia erano presenti il consigliere di Stato, in rappresentanza del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, Daniele Ravenna, il presidente della Fondazione Meis, Dario Disegni, il sindaco del Comune di Ferrara, Tiziano Tagliani, il vicesindaco Massimo Maisto e il direttore della Biblioteca Ariostea di Ferrara, Enrico Spinelli, che svolgeva il ruolo di padrone di casa. Alla fine della cerimonia gli invitati, rappresentanti della politica, della cultura e dell’associazionismo ferrarese e nazionale, si sono trasferiti nel giardino della Biblioteca, antico orto botanico di Palazzo Paradiso, un tempo sede dell’Università della città, dove è stata scoperta una lapide in memoria di Teresa Foscolo Foscari, nonna del donatore e musa ispiratrice del romanzo più conosciuto del grande scrittore, che ha ravvisato nella nobildonna veneta la figura di Micol e a cui il manoscritto del romanzo era stato affidato e donato.
La raffinata introduzione di Enrico Spinelli ha messo in luce l’aspetto più propriamente scientifico del manoscritto, la sua straordinaria importanza per chi si voglia dedicare alla ricostruzione delle fasi che portano poi al momento della costruzione di un romanzo, o di una poesia. La filologia al servizio della storia. Ferigo Foscari ha tratteggiato il ritratto della nonna: una donna imperiosa, ma straordinariamente capace di riservare il meglio di sé alla difesa dell’ambiente e del paesaggio, non a caso il rapporto con Bassani è rafforzato dal comune impegno in Italia Nostra. Lo svelamento della lapide a lei dedicata posta in una parte del giardino di Palazzo Paradiso a cui s’accede per raggiungere l’ala dedicata alla biblioteca d’imminente apertura dedicata ai bambini e ai ragazzi è stato un momento di delicata poesia quando Ferigo nello svelare la lapide ha detto che la nonna ora sta in Paradiso pensando al nome del palazzo mentre suo padre Tonci Foscari raccoglie una foglia dal tappeto giallo che la centenaria Ginkgo Biloba ha sparso per terra a rendere omaggio a una donna straordinaria e alla generosità di suo nipote.

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Gianni Venturi

Gianni Venturi è ordinario a riposo di Letteratura italiana all’Università di Firenze, presidente dell’edizione nazionale delle opere di Antonio Canova e co-curatore del Centro Studi Bassaniani di Ferrara. Ha insegnato per decenni Dante alla Facoltà di Lettere dell’Università di Firenze. E’ specialista di letteratura rinascimentale, neoclassica e novecentesca. S’interessa soprattutto dei rapporti tra letteratura e arti figurative e della letteratura dei giardini e del paesaggio.

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno. L’artista polesano Piermaria Romani si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE
di Piermaria Romani


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