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Eh sì! Invio le mie truppe in cerca di mascherine, ma anche le ‘soffiate’ che m’arrivano tipo: “ In quella ferramenta trovi tutto! Guanti e mascherine” si rivelano un bluff, o peggio un grave ritardo da parte dei miei scudieri. Per fortuna un produttore che ben conosco e non ‘ferarese’ promette che oggi soddisferà con invio speciale dal suo paese la mia fame di oggetti anticorona. Frattanto un carissimo amico, ottimo scrittore, che usa un nom de plume e uno reale – Adriano Bon/Hans Tuzzi –  mi annuncia la comparsa del suo libro assolutamente a-scientifico La covida. Conto le ore per entrarne in possesso!

La mia conversione in criceto s’intreccia anche virtuosamente con cure e indagini che hanno a che fare con me. Così m’informa Giuliana Ericani distogliendo per un momento gli occhi dalla pubblicazione del suo libro canoviano Lettere 1811 di imminente uscita:
“Si tratta di esperimenti del professor Yuen Kwow-yung che ha effettuato test di laboratorio non ancora comparati su 52 criceti, ritenuti portatori di recettori del virus simili a quelli umani; il professor Yuen ha interposto delle mascherine chirurgiche (nell’articolo di South China Morning Post non viene citato il tipo esatto di mascherina) come barriera nel flusso d’aria fra gabbie chiuse di criceti sani e gabbie chiuse di criceti malati, confrontandola con una situazione nella quale la mascherina non era stata interposta e osservando, dopo una settimana, una riduzione del 50 per cento nel numero delle infezioni. La descrizione stessa dell’esperimento di Yuen, però, non porta molto di nuovo se non la conferma del fatto che la mascherina chirurgica può essere utile ad aumentare la protezione in ambiente chiuso, se in quello stesso ambiente, senza ricambio d’aria, sono presenti persone malate, mentre nulla si può sapere ancora, per ora, di ciò che accade all’aperto e con gli asintomatici”.

Come criceto mi responsabilizzo immediatamente e imprecando contro i ‘ferraresidioti’, nuova razza uscita allo scoperto nell’ultimo week-end, che si sono ammassati nei luoghi pubblici a rifiatare impunemente senza schermo, quasi bocca a bocca, tanto da costringere il Sindaco ferrarese ad imporre obbligatoriamente la mascherina. Chi non ubbidisce avrà multe salate: speriamolo. E non mi si dica che sono solo i giovani a comportarsi incoscientemente. Nel mio frettoloso e unico giro in piazza per scorta di libri quanti umarèl senza mascherina ho visto che si spruzzavano saliva e germi idiotamente postati in piazza come i paracarri! Allora sdegnato torno a riprendere le mie fattezze umane, secondo l’insegnamento del fantastico Ian McEwan che nel suo Lo scarafaggio (Einaudi, 2020) ha scritto tutto e di più sugli effetti della Brexit e del comportamento dei soliti Trump Putin Johnson al tempo della pandemia. Deliziato leggo in anteprima lo scritto di Laura Dolfi che per Ferraraitalia ha commentato un lavoro giovanile di Garcia Lorca, nella traduzione del grande poeta Caproni, dove anche qui s’incontrano scarafaggi.

Val la pena dunque di restare a casa e cercare sollievo e consolazione nei film proiettati in tv.
Ed… eccolo il radical-chic che propone i musical anni Cinquanta! Proiettati nella tv dei vescovi!  Ma questo Bulli e pupe è un capolavoro, non soltanto perché è un grande film, ma per essere un incredibile ri-pensamento sulle leggi anticomuniste che stavano flagellando Hollywood. Allora – e cito da Wikipedia: “La lista nera di Hollywood (Hollywood blacklist), nota come la più grande lista nera nell’industria dello spettacolo, era la pratica di negare il lavoro a sceneggiatori, attori, registi, musicisti e altri professionisti dello spettacolo americani a metà del XX secolo perché accusati di simpatie o legami con i comunisti“. In questo film sono i gangsters che alla fine sono i buoni mentre i poliziotti son gabbati e contenti. Un grande regista, numeri di danza da sballo ma…ma… Marlon Brando che canta Woman in love è unico e sorpassa pure Frank Sinatra.

Che storie…. Ma una storia ben più complessa mi si para davanti dopo che, come tutti sanno, abbiamo assistito alla  profonda trasformazione della direzione dei giornali che hanno nutrito la mia gioventù, la mia maturità ed ora la mia ( diciamolo senza rancore) vecchiaia. Mi riferisco a la Repubblica, al gruppo de L’Epresso , a La Stampa e anche allo Huffington Post, tutti sotto il gruppo Gedi presieduto da John Elkann. Il giro vorticoso di direzione di questi giornali ha portato alla Stampa Massimo Giannini; a La Repubblica Maurizio Maurizio Molinari ex direttore della Stampa al posto di Carlo Verdelli licenziato; all’HufftPost Mattia Feltri al posto di Lucia Annunziata; e all’Espresso resiste ancora Marco Damilano. Dopo una settimana una delle voci più autorevoli della Repubblica Gad Lerner si dimette per incompatibilità con la nuova linea del giornale. Si apre allora il quesito: continuare a leggere quel giornale o cancellarlo dalla quotidianità?
Come criceto in forma umana allora ripenso a coloro che ancora significano per me il meglio del giornalismo italiano, a cui per anni ho dedicato il mio tempo di lettura. Penso all’amatissima Natalia Aspesi, al fantastico Francesco Merlo e ancora, con possibilità anche di dissensi, a Roberto Saviano, a Michele Serra, a Corrado Augias, alla Concita de Gregorio, a Stefano Folli. E decido con un peso nel cuore umano, ma uno scatto in quello di criceto, che bisogna ‘resistere’!

Mercoledì 20 maggio 2020 su La Repubblica Francesco Merlo, scrive La tentazione misura la distanza più del metro. Sostiene che la distanza tra gli uomini è più precisa, quando la misurazione avviene con il sentimento e non con il metro. “La distanza esiste per essere colmata e “Neppure negli obitori gli uomini diventano i punti della geometria che solo sul quaderno sono uniti da una linea retta: nella vita, almeno in Italia, non ci si congiunge per linee rette, ma per aggiramento”. E come non approvare?
Il giorno prima, 19 maggio, sempre su quel giornale, lo stesso giornalista scrive un pezzo memorabile La vertigine dei rumori ritrovati, che come qualità si appaia a quello di Damilano su L’Espresso del 17 maggio La polvere magica della destra a 5 stelle, dove si analizza il fortunato volume di Ian McEwan, Lo scarafaggio per denunciare che “Della polvere magica del populismo l’Italia è stata a lungo un’incubatrice. Oggi che il Paese sta tentando una possibile uscita dalla fase dell’emergenza si ritrova di fronte al rischio di un ritorno al punto di partenza”.
Merlo nel suo racconto-inchiesta sente, passeggiando per il suo quartiere romano, un operaio sulle impalcature che lavora canticchiando il celebre refrain ‘sciòn sciòn’. Chiede di raggiungerlo nel luogo in cui lavora ma ottiene un rifiuto. Infine capendo che è siciliano glielo chiede in quella lingua ottenendo un “Acchiana, ma non farti vedere”. Peppe di mestiere fa il cuoco, ma ora è costretto a prendere qualsiasi lavoro gli venga proposto. Rivela che prima votava Pd, poi 5 stelle ora “Se avessi stomaco voterei Salvini”. La riflessione sulla ripartenza porta Merlo ad osservare i segnali della nuova fase con questo memorabile commento: “La ripartenza sono i proprietari di locali e negozi che, fosse pure per un giorno, hanno perso l’indolenza romana, il più antico e sapiente modo di vivere”. Ed è una notazione fulminante. Riprende la passeggiata nei luoghi più belli di Roma, tra i negozi e ristoranti famosi di una città ineguagliabile. Nella ripartenza “In loro onore il vento di Roma sposta le nubi dai riflessi violacei e gialli e pulisce il cielo. Sarà dolce e malinconico il primo tramonto della ripartenza”.

Posso privarmi di leggere queste cose in un giornale che m’appartiene culturalmente?
Non posso dice l’umano sotto le spoglie del criceto.

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Gianni Venturi

Gianni Venturi è ordinario a riposo di Letteratura italiana all’Università di Firenze, presidente dell’edizione nazionale delle opere di Antonio Canova e co-curatore del Centro Studi Bassaniani di Ferrara. Ha insegnato per decenni Dante alla Facoltà di Lettere dell’Università di Firenze. E’ specialista di letteratura rinascimentale, neoclassica e novecentesca. S’interessa soprattutto dei rapporti tra letteratura e arti figurative e della letteratura dei giardini e del paesaggio.

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Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

Periscopio è quindi un giornale popolare, non nazionalpopolare. Un quotidiano “generalista”,  scritto per essere letto da tutti (“quelli che hanno letto milioni di libri o che non sanno nemmeno parlare” F. De Gregori), da tutti quelli che coltivano la curiosità, e non dalle elites, dai circoli degli addetti ai lavori, dagli intellettuali del vuoto e della chiacchiera.

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