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Mario Draghi si è dimesso. O dio mama!
Ma davvero il paese è in lutto? Da buon cronista dovevo fare un’immediata verifica.
Appena appresa la ferale notizia, sono subito andato a fare un giro in citta. Centro e periferie. Tutto normale. Poi ho preso il cellulare e ho telefonato agli amici in tutta Italia, da Bolzano a Catania. Nessuna visibile reazione. Come se niente fosse successo.
Sara colpa del popolo bue?
Sicuramente è il segno della distanza siderale (visibile solo con il nuovo telescopio spaziale appena entrato in funzione) tra la politica e i partiti da una parte, e il popolo che in teoria dovrebbero rappresentare dall’altra.

Ai ‘piani alti’, le dimissioni di Draghi hanno innescato una inarrestabile reazione a catena, una frana emotiva, una valanga di accuse incrociate. Tutti i leader di partito della eterogenea maggioranza larga piangono e protestano in pubblico, molti (il più accorato è Enrico Letta) implorano Draghi di restare, di non fare lo schizzinoso, di ripensarci, di aver pietà di loro. Si segnalano i soliti affabulatori: il nuovo uomo di regime Luigino Di Maio e il fine politologo Matteo Renzi. E assieme ai partiti, piangono e strillano, intingendoci il cucchiaio fino al gomito, giornalisti e commentatori, governativi (per fede o per necessità),  tutti i canali televisivi, i grandi quotidiani mainstream. Il più sparato di tutti? Sempre lui, il direttore Maurizio Molinari e la sua Repubblica.

Sono giorni (e notti) di riunioni, risse, trattative convulse per mettere insieme i cocci di una qualche maggioranza e convincere Draghi a tirare avanti almeno fino a dicembre. Ce la faranno? Come sempre, tutto dipende da lui, sarà Draghi a decidere. Domani il Presidente del Consiglio dimissionario andrà in Parlamento e finalmente sapremo: un Draghi bis o elezioni anticipate?
Messi male come stiamo, confesso che l’alternativa mi lascia indifferente e, al di là dei soliti inaffidabili sondaggi, ho la sensazione che la grande maggioranza degli italiani sia indifferente come e più di me.

Insomma, mentre partiti e media sembrano eccitati, quasi isterici per le dimissioni di Mario Draghi, il paese reale (esattamente quello che i nostri politici citano spesso senza conoscerlo affatto) non sembra per nulla traumatizzato. Al contrario, ho il sospetto che molti italiani abbiano tirato un sospiro di sollievo. Non se ne poteva più del “più bravo di tutti”, del santo taumaturgo, del gran finanziere “fazo tuto mi”, del Salvatore della patria… che invece non ci aveva salvati per niente: dall’impoverimento, dalle morti record per Covid, dall’inflazione galoppante, dalla disoccupazione e dal lavoro precario e malpagato, dalle fabbriche chiuse grazie al lasciapassare governativo ai licenziamenti e alle delocalizzazioni gratis et amore dei.

Un mistero da sondare

Mi appassiona invece provare a rispondere ad alcune domande, che tutte insieme rappresentano un vero mistero, impossibile da sciogliere. O quasi.
Per quali motivi tutta la classe politica italiana è schierata come una truppa di soldatini di stagno dietro il generale Draghi?
Perché tutti i ‘nostri alleati’, in Europa come Oltreoceano, lo ritengono una garanzia autorevole e necessaria per l’equilibrio europeo e mondiale?
E per quale arcana e oscura ragione Super Mario rappresenterebbe (come tutti ci ripetono) l’ultima e unica risorsa per salvare l’Italia?

Per favore, lasciamo perdere il suo aureo curriculum in Banca d’Italia e alla BCE.  Avrebbe salvato l’Euro? Non so, c’è pure chi la pensa diversamente, soprattutto i greci che per i diktat della troika hanno versato moltissimo sangue, ma va bene, magari come capo banchiere d’Europa ha fatto anche cose buone, come, negli ultimi anni del suo mandato, il comunque tardivo quantitative easing.

Qui però stiamo parlando di Mario Draghi Presidente del Consiglio, di quanto è riuscito a combinare nei 18 mesi in cui ha comandato con pugno di ferro la baracca Italia. Quali eccezionali risultati può vantare il suo governo? Di quali meriti, di quali medaglie si può fregiare? Se questi successi, anche solo parziali, ci fossero, allora si potrebbe capire l’entusiasmo per il governo Draghi di tutto l’establishment politico. Invece di questi successi non c’è traccia.

Corrado Oddi, su questo quotidiano, ha scritto più di un articolo denunciando, dati ufficiali alla mano, il completo fallimento delle politiche neoliberiste perseguite dal governo Draghi. Puoi leggere alcuni interventi di Oddi Qui  Qui Qui e Qui.

Ma mettiamoli in fila i grandi in-successi di Draghi.
Dal 2005 (prima della grande crisi) al 2020, in Italia il numero delle famiglie e delle persone sotto la soglia di povertà assolutè triplicato (primi in classifica in Europa e con grande distacco). Negli ultimi 18 mesi, quelli di Mario Draghi, nonostante il grande rimbalzo del PIL registrato nel 2021, i poveri sono rimasti tali e quali. A chi è andato allora il surplus di ricchezza prodotto da quel +7,5 di PIL del 2021? Sono sicuro che il lettore può arrivarci senza un mio suggerimento.

L’inflazione, lo sappiamo, è alle stelle. Metteteci pure l’onda lunga della pandemia, la guerra in Ucraina e la conseguente ‘guerra del grano’, le sanzioni alla Russia a cui la Russia ha risposto tagliando il gas all’Italia, metteteci anche la grande speculazione sui prezzi di gas e petrolio, fatto sta che i prezzi al consumo, quindi la spesa delle famiglie italiane, continuano a salire come un razzo. Fonte Istat+ 4,5 nel 2021 e + 6,4% nel primo semestre dl 2022.

Nel medesimi 18 mesi, i salari sono cresciuti poco o nulla (rimando ancora a Oddi che mostra come i salari italiani, a differenza di quelli francesi o tedeschi, siano ‘inchiodati’ da più di quindici anni). In ogni caso Draghi ha ascoltato le richieste dei sindacati ma ha fatto solo vaghe promesse. Quanto a calmierare i prezzi, il governo non ci ha neppure provato. Giusto una spuntatina alle tasse sulla benzina, qualche rimborso causa Covid e il famigerato bonus edilizio del 110%, il quale, tra l’altro, ha fatto impennare i prezzi di calce, mattoni e di tutti i materiali da costruzione.

Primi in Europa

Rimarrebbe, ultima bandiera, il figurone fatto del governo Draghi per la sua gestione della pandemia: vaccinazioni, tamponi, e quant’altro. E’ stato o non è stato Draghi a scegliere di persona personalmente Francesco Figliuolo, l’ormai celebre generale con la piuma sul cappello? Da tutto il mondo sono piovuti complimenti per la strategia italiana di lotta al virus. Nessuno ha vaccinato più di noi, anche perché nessuno ha martellato i cittadini come in Italia; grazie a Draghi, devi vaccinarti per amore o per forza… se non vuoi essere licenziato in tronco.

Non è questo il luogo per discutere ancora di vaccini e vaccinazioni (periscopio ne ha parlato diffusamente, usando sempre il beneficio del dubbio), ma c’è un dato macroscopico  –  e che nessuno ama citare –  che dimostra come nella gestione della pandemia qualcosa sia andato storto. Anzi, più di una cosa. Il dato è quello delle morti per Coronavirus – in rete trovate tabelle aggiornate quotidianamente [Vedi qui]. Provate a confrontare i numeri dei vari paesi europei. Ecco un piccolo ma significativo estratto: dall’inizio della pandemia in Italia si registrano 170.037 morti per Covid, in Francia (con una popolazione superiore all’Italia di qualche milione più) le morti sono 151.875,  in Germania (84 milioni di abitanti) 143.650. Significa che – senza la nostra campagna mediatica asfissiante, senza il ricatto della perdita del lavoro, senza la demonizzazione dei non vaccinati –  gli altri hanno fatto meglio di noi, o almeno meno peggio. La Francia ha avuto circa il 12% di morti in meno rispetto all’Italia (che diventa un -15% se si considera l numero degli abitanti dei due paesi), mentre in Germania il conto dei decessi è  inferiorie del 20% (- 30% se calcoliamo che la Germania ha 25 milioni di abitanti dell’Italia).
Saremo pure i primi per il numero di vaccinati, ma siamo primi (cioè gli ultimi della classe) anche per il numero dei morti.

Fatto sta che, per non guastare la narrazione trionfalistica e nazionalista, in Italia delle statistiche dei morti si preferisce non parlare. Come non si parla più degli ospedali in cronica e mai sanata carenza di personale medico e paramedico.
La triste verità è che anche sul fronte Covid, prima il governo Conte bis, poi il governo Draghi. non si sono coperti di gloria. Ce la raccontano, ma quelle 170.000 croci dimostrano il contrario.

La formica elettrica

Non voglio crocifiggere Mario Draghi – so anche che alla Confindustria e al suo dinamico presidente Bonomi piace tantissimo – dico semplicemente che non vedo traccia di un suo successo (basterebbe uno) nei 18 mesi di suo governo. Eppure, inspiegabilmente la sua stella brilla sempre di più. Ho rimuginato questo mistero, queste domande senza una risposta almeno plausibile.
Poi l’altra notte ho riletto La Formica Elettrica, uno straordinario racconto di Philip K. Dick. Ecco l’incipit; “Alle quattro e un quarto del pomeriggio, T.S.T., Garson Poole si svegliò, si rese conto di essere in un letto di ospedale in una stanza a tre letti e si accorse di altre due cose ancora: che gli mancava la mano destra e che non sentiva dolore”. Dopo poche righe, il medico lo informa che ha perso la mano in un incidente, che potrà avere una perfetta protesi sostitutiva e che lui, l’alto dirigente Garson Poole, non era un uomo ma un androide, “una formica elettrica” secondo il felice neologismo di Dick.

Un androide non è un semplice robot, non è fatto di metallo e di plastica. Un androide è fatto di materia organica, ha un’ intelligenza autonoma, perfino dei sentimenti. L’androide ha una capacità di lavoro sovrumana, non si stanca mai, come una formica appunto. E’ uno pseudo-uomo assolutamente indistinguibile da un uomo. Ma è molto più performante di un uomo; più veloce, più efficiente, più resistente, non sente dolore, non si ammala mai, neppure un raffreddore. Ragiona e decide meglio e più in fretta. Se programmato e assemblato bene, dimostra di essere molto intelligente. E straordinariamente furbo.

Va da sè che una formica elettrica è naturalmente destinata a una carriera formidabile. Può scalare tutti i gradini, e arrivare in alto, molto in alto. Esiste forse qualche uomo, un normale homo sapiens, capace di resistere al suo fascino? Di non trasecolare davanti alla sua competenza, sicurezza, perfezione? Chi non è tentato di farsi da parte per cedergli un qualsiasi scranno? A uno così gli puoi dare tranquillamente le chiavi di casa, cedergli la guida della tua auto o di un intero Stato.

Garson Poole, il protagonista del racconto, era arrivato in cima, governava con efficienza una grande impresa. Collaboratori e dipendenti non sapevano fosse un androide. per loro era un uomo ed era il loro capo, un capo bravissimo. Anche Garson Poole ignorava di essere un androide: credeva di essere un uomo, solo più fortunato della media, Quando si accorge di essere una formica elettrica gli crolla il mondo, ma è coraggioso, determinato, e decide… Leggete il racconto e lo saprete.

Non so se si è ancora capito, ma il mio tremendo sospetto è che l’irresistibile ascesa di Mario Draghi, il consenso e l’ossequio unanime di tutta la classe dirigente italiana (economica e politica), la decisione di dargli in mano tutte le chiavi, tutte le deleghe, tutti i poteri, possa avere a che fare con il racconto di Dick e la storia del protagonista.
Mario Draghi è una formica elettrica come Garson Poole? E se lo è, è cosciente di esserlo, o come Garson Poole pensa di essere un uomo, solo più intelligente, più capace, più fortunato della media degli uomini?  Non sono sicuro, ma da quando mi è entrato in testa quel pensiero, l’ipotesi fantascientifica di un Draghi androide mi sembra l’unica che possa spiegare l’inspiegabile.

Un consiglio e una nota 

Il consiglio. Se vi piace la fantascienza, mollate gli imperi galattici e le tre leggi della robotica del vecchio Asimov e leggete Philip Dick. Per campare ha scritto tantissimo, anche 5 romanzi all’anno, e nonostante la scimmia sulla spalla. Se non vi piace la fantascienza ma amate Franz Kafka e lo ritenete il più grande degli ultimi 150 anni, leggete i libri e i racconti di Philip Dick. Ovvio, Dick non vale Kafka, ma nelle sue prove migliori ritrovate la claustrofobia e la ragione disperata dell’autore praghese. Soprattutto leggete Dick per le sue visioni e le sue premonizioni. Cinquanta o sessanta anni fa scriveva (prevedeva) quello che sta incominciando ad accadere oggi, sotto i nostri occhi. La fine della politica cosi come l’abbiamo conosciuta, le nuove forme del potere, il dominio della tecnica e dei tecnici, la bulimia mediatica, la nuove forme di alienazione e di sfruttamento. Eccetera.

La nota. Chi è abituato a leggermi, avrà capito che con Mario Draghi e Philip Dick mi sono un po’ divertito. Probabilmente Mario Draghi non è un androide (ma non scartate a priori l’ipotesi, guardate il suo modo meccanico di camminare e di usare le mani e le braccia, l’occhio fisso, la bocca senza labbra e dritta come un segmento…). Ma se Mario Draghi non è la prima formica elettrica che arriva nella stanza dei bottoni – questo è il sottotesto della storia che ho raccontato – l’avvento di Mario Draghi rappresenta una novità assoluta, per l’Italia e per tutto il mondo. Molto pericolosa a mio avviso. Con Draghi, per la prima volta la tecnocrazia si impone, dispone, comanda, mentre la politica si inchina ossequiosa. Non è un caso che Draghi si sia portato con sè una piccola squadra di tecnici dentro il governo, e che questi siano gli unici ministri che contano qualcosa.
Quello di Draghi non è uno dei soliti ‘governi tecnici’ che abbiamo conosciuto. E non è solo il governo di ‘un uomo solo al comando’, E’ qualcosa di più e di diverso: è la tecnocrazia che si impone sulle forme della democrazia, ormai sfilacciate.
Non so dove ci porterà questo esperimento inedito. Non conosciamo come governerà la tecnocrazia, se non dalla letteratura distopica e dalla fantascienza, ma sicuramente la tecnocrazia non fa rima con democrazia. E, a differenza del populismo, non ha più bisogno nemmeno del popolo. In fondo in fondo, meglio Berlusconi che Mario Draghi.

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Francesco Monini

Nato a Ferrara, è innamorato del Sud (d’Italia e del Mondo) ma a Ferrara gli piace tornare. Giornalista, autore, infinito lettore. E’ stato tra i soci fondatori della cooperativa sociale “le pagine” di cui è stato presidente per tre lustri. Ha collaborato a Rocca, Linus, Cuore, il manifesto e molti altri giornali e riviste. E’ direttore responsabile di “madrugada”, trimestrale di incontri e racconti e del quotidiano online “Periscopio”. Ha tre figli di cui va ingenuamente fiero e di cui mostra le fotografie a chiunque incontra.

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

Caro lettore

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Francesco Monini
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