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“Alla fine uno si sente incompleto
ed è soltanto giovane” (Italo Calvino)

In occasione della presentazione del suo ultimo libro “Atti osceni in luogo privato” alla Biblioteca Comunale Ariostea di Ferrara, in programma per venerdì 26 giugno alle 20.15, nell’ambito della tappa ferrarese delGiro d’Italia in 80 librerie” [vedi], abbiamo chiesto a Marco Missiroli qualche impressione. Gentilmente (e timidamente) ci ha risposto, con una chiarezza e una determinazione che ci hanno fatto rivedere alcune posizioni iniziali, ammettiamo, leggermente scettiche. Perché vulnerabili, per pudore.
Nella storia del dodicenne protagonista Libero Marcell, una sorta di educazione sentimentale accompagnata da quella letteraria, tutto si gioca fra purezza e oscenità. E se dovessi scegliere fra purezza, oscenità e libertà, per riassumere il libro, forse prima aggiungerei “il noi”, la fragilità e la dignità di scegliere; poi concluderei con le donne che concepiscono, che mettono al mondo. Perché sono loro qui a fare bella figura. Sono loro le vere protagoniste.

Innanzitutto perché ha scelto questa foto per la copertina? A mio avviso, non dà subito un impatto positivo. Gli lo avranno già chiesto in tanti, ma la cover lascia un po’ interdetti (ammetto di averla nascosta mentre leggevo il libro in metropolitana a Roma, nel lungo tragitto verso Cinecittà). Non si poteva scegliere di meglio?
La domanda che ci facciamo subito è sicuramente: che cos’è? Il sedere di una donna? Quello di un uomo? Un divano? Una croce dall’aria un po’ blasfema? Che effetto ci fa? Si tratta della riproduzione di una celebre fotografia del grande Erwin Blumenfeld, del 1967, intitolata “Holy Cross” (In hoc signo vinces). L’opera è stata esposta al MoMA (Museum of Modern Art) di New York per qualche tempo, poi è comparsa su Vogue, proprio quell’opera che nel libro il protagonista Libero vede durante il suo viaggio nella Grande mela «[…] c’era quest’opera su sfondo bianco con quattro linee curve che si lambivano e davano forma a una croce o a una feritoia, feci un passo indietro e capii che era il punto dove i glutei e le gambe convergono. Lo fissai, delicato e ambiguo, brutale: quel corpo mi conteneva». Una scelta voluta. Ho discusso a lungo con l’editore su questa scelta. E’ un’immagine forte, le persone si sentirebbero a disagio a tener in mano un libro con una simile copertina sui mezzi pubblici. Però è una parte talmente importante all’interno del libro che non poteva non essere così. Siamo in un Paese bigotto, se pensi, soprattutto, che si tratta di un culo culturale. Sono indignato da tanta ipocrisia, per un’immagine che fa arrossire anche chi è aperto (o che si dichiara tale) e s’imbarazza per una cosa simile. In Italia, siamo ancora avvolti da un incredibile scrigno di pudore. Resta per me sorprendente come e quanto questa copertina abbia fatto parlare. Immagine paracula? Per nulla, non fa certo vendere. Il lettore non è attirato da questa copertina, peraltro in bianco e nero, ma per me è un vero mix energetico. Sono contento di averla scelta. Chi è erotico (e bisogna esserlo per capire) sa bene che quella è la croce santa, il luogo del concepimento della vita. Un po’ come L’origine del mondo di Gustave Courbet. Tutto parte da lì.

Come è nato il romanzo?
Senza premeditazione. Il giorno esatto che ho iniziato a scriverlo non avrei dovuto scriverlo. Non era premeditato e l’ho scritto in soli 21 giorni. Era una vera carne sentimentale e, come tale, a uno stato primitivo, partorita troppo in fretta. Ho passato i successivi due anni e mezzo a riscriverlo, limarlo, approfondirlo, rileggerlo, plasmarlo. Volerlo. Per farlo, ho attinto anche un po’ al mio passato, alla mia storia erotica, che poi assomiglia a quella di tutti i timidi, come me, sbeffeggiati per non aver ancora perso la verginità o, meglio, per averlo fatto in grande ritardo rispetto ai coetanei. Quindi la storia di Libero, protagonista del libro, è in parte la mia storia, un romanzo sul voler essere qualcuno, sul diventare se stessi, processo che passa inevitabilmente attraverso l’erotismo e la scoperta del corpo, ma che in un persona timida, come il protagonista, è molto complesso. A dodici anni non si sa nulla della vita, del sesso o dell’amore, e se poi la madre tradisce con il migliore amico del padre, la gelosia e il “battesimo erotico” aiutano da soli a entrare nel mondo degli adulti. Accanto a ciò, il desiderio segreto, la bibliotecaria Marie, l’appuntamento con i sogni, la confidente che fa scoprire, come una coscienza parlante, l’affascinante mondo dei libri, iniziando da “Lo straniero” di Camus, libro preferito del padre.

Mi piace molto il percorso di educazione letteraria affiancato a quella sentimentale. Come ha scelto i libri che cita e perché? Vedo che sono soprattutto americani…
La letteratura non è un qualcosa di estraneo all’uomo, in quanto, come la vita, è uno strumento di ricerca e, quindi, di verità. Insieme all’eros e all’amore è l’unico strumento che ci consente in qualche modo di «passare dalla prima persona singolare alla prima persona plurale». E’ sicuramente vero che il ruolo fondamentale, all’interno del romanzo, è svolto dai libri, quelli che Marie passa a Libero (“Se uno non riesce a vivere nel mondo, può vivere nella letteratura. Se uno vive tanto nel mondo e legge, vive ancora di più nel mondo”). Tre sono i romanzi principali che vengono citati, tutti con un ruolo preciso: “Mentre morivo” di Faulkner, “Il deserto dei Tartari” di Buzzati e “Lo straniero” di Camus. Questi tre libri sono così importanti per Libero perché si rende conto che sono, in realtà, evasioni dai carceri esistenziali e allora inizia a correre. E poi c’è Walt Whitman, che obbliga Libero a rovistare nei suoi angoli reconditi. Libero ammette di non “avere la sua arte poetica, di non possedere alcuna arte tranne l’alfabeto del sentimento, elemosinando legami camuffati da delusioni, collezionando carne per avere cuori”. “Tra i rumori della folla ce ne stiamo noi due,/ felici di essere insieme, parlando poco,/ forse nemmeno una parola”. Strano personaggio, Whitman, ha risvegliato i sensi dell’America, vedendo l’uomo non come singolo ma come un alito di anima sugli altri uomini E’ molto viscerale, carnale, ha risvegliato la poesia, non è solo cuore ma anche pancia, direi pancia estetica. Lo amo come amo Rilke anche se sono molto diversi. Se però mi dici che ti è piaciuta questa parte letteraria è come se davanti a un bel piatto di carne con purè tu mi dicessi che ti è piaciuto il purè. Hai amato il contorno più che la pietanza principale, ti è piaciuto un terzo del romanzo. Questo è un libro che deve andare a 360 gradi, resta urtante. Molto. Preferisco si dica che il libro non è piaciuto ma che ci sono parti del libro interessanti. Il (falso) pudore, ancora una volta….

Vero, forse il pudore, per educazione e cultura, mi ha lasciato inizialmente reticente. Ma questo romanzo non è volgare, per quello ho continuato una lettura inizialmente per me non agevole e, parlando con te ora, capisco qualcosa che mi era sfuggito…
Il libro ha venduto 40.000 copie, gran parte sono lettrici. Ricevo ogni giorno messaggi su Facebook da parte di donne di 50 e 60 anni, che si congratulano e ringraziano per come ho saputo vedere e raffigurare il mondo della fragilità dell’essere maschile oltre che comprendere la grande forza dell’universo femminile. Chiariamo: il libro è dedicato all’utero non al cazzo, alle donne che mettono al mondo. Ritorniamo all’immagine di copertina: voglio mostrare come spesso l’uomo è un maschile-femminile che diventa un miraggio, o si diventa uomini aggressivi o si diventa uomini femminili che amano talmente tanto le donne da diventare anch’essi femminili. Qui parliamo di percezione maschile di fragilità, non di vitellonismo. Fa bella figura la donna non l’uomo, il vero midollo è femminile.

I personaggi femminili del libro testimoniano quanto mi dice: Marie, Lunette, Frida, Anna e la madre di Libero. Qual è, a suo avviso, il più riuscito?
Sono tutti personaggi molto diversi tra loro, e tutti ben caratterizzati, che hanno un po’ fatto perdonare l’assenza di personaggi femminili nei romanzi precedenti. Il più difficile da scrivere, su cui ho lavorato maggiormente, è stato Frida, che volevo caratterizzare bene. Insieme a Marie, è quella meglio riuscita. Frida è la più importante perché è un personaggio mimetico, pare insensato, purgatoriale, una via di mezzo che aiuta a diventare se stessi senza volerlo far vedere. Anna è a suo modo molto importante e, allo stesso tempo, per nulla importante, Anna palindromo (che può esser percorso in entrami i sensi), come il suo nome, che ti dà qualcosa e che non ti dà niente. Un doppio senso da percorrere.

Qualche critico ha avvicinato il suo libro a “Il Giovane Holden”. Ti ci ritrovi?
Direi di no, i due romanzi sono molto diversi, anche se hanno qualche punto in comune. Tipo che la formazione nasce dal trauma (il tradimento della madre per Libero e il rifiuto della comunità / società per il solitario Holden Caulfield) o che magari sia Libero che Holden hanno la voce un po’ marcata. Entrambi sono sicuramente romanzi di “deformazione”.

Alla madre ammalata che muore…
Cosa c’entra la morfina con la purezza? Più della purezza, si trattava della dignità. La dignità di scegliere, Libero. Ecco perché quel nome. Tutta l’esistenza di Libero trova un senso nel raccontare. “Perché in fondo la gioventù è più solitaria della vecchiaia”, diceva Anna Frank. E una parola, alla fine, a riassumere tutto: padre. Perché si era insieme, e tutto il resto era stato dimenticato.

Marco Missiroli, “Atti osceni in luogo privato”, Feltrinelli, 2015, 249 p.

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Simonetta Sandri

E’ nata a Ferrara e, dopo gli ultimi anni passati a Mosca, attualmente vive e lavora a Roma. Giornalista pubblicista dal 2016, ha conseguito il Master di Giornalismo presso l’Ecole Supérieure de Journalisme de Paris, frequentato il corso di giornalismo cinematografico della Scuola di Cinema Immagina di Firenze, curato da Giovanni Bogani, e il corso di sceneggiatura cinematografica della Scuola Holden di Torino, curato da Sara Benedetti. Ha collaborato con le riviste “BioEcoGeo”, “Mag O” della Scuola di Scrittura Omero di Roma, “Mosca Oggi” e con i siti eniday.com/eni.com; ha tradotto dal francese, per Curcio Editore, La “Bella e la Bestia”, nella versione originaria di Gabrielle-Suzanne de Villeneuve. Appassionata di cinema e letteratura per l’infanzia, collabora anche con “Meer”. Ha fatto parte della giuria professionale e popolare di vari festival italiani di cortometraggi (Sedicicorto International Film Festival, Ferrara Film Corto Festival, Roma Film Corto Festival). Coltiva la passione per la fotografia, scoperta durante i numerosi viaggi. Da Algeria, Mali, Libia, Belgio, Francia e Russia, dove ha lavorato e vissuto, ha tratto ispirazione, così come oggi da Roma.

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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