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Salve ragazzi, come sono nati i The Bastard Sons of Dioniso e cosa ha ispirato questo nome singolare?
I bastard sono nati ad una festa in baita, adibita a sala prove, la notte di ferragosto del 2003. Tutti e tre provenivamo da esperienze musicali differenti, ma volevamo creare qualche cosa di nuovo e di nostro. Il nome rappresenta il nostro modo di comunicare, che spesso è ambivalente, lasciando a chi ascolta ed interpreta il compito di farsi un’idea.

Dopo esperienze musicali varie nella provincia trentina e veneta, nel 2009 siete approdati alla seconda edizione di X Factor, nel team di Mara Maionchi. Qual è stato l’impatto con il palcoscenico televisivo, la competizione e le dinamiche che regolano un mondo al quale forse non eravate abituati? Quali sono stati i momenti critici con le vere difficoltà e quali i risvolti positivi?
La nostra prima impressione del palco televisivo non è stata diversa da quella di uno spettacolo teatrale. Certo, il pubblico in puntata era bello fragoroso, e noi ci trovavamo ad esibirci in maniera completamente diversa dal solito. Abbiamo vissuto X factor come un gioco in cui si interpretano tutte le canzoni che ti capitano e si cerca sempre di dare il meglio di se divertendosi. Non abbiamo fatto troppo caso alle dinamiche e non ci sono stati momenti veramente critici, ma abbiamo avuto la possibilità di farci conoscere a livello nazionale e poter girare l’Italia con la nostra musica.

La vostra partecipazione a X Factor si conclude con un secondo posto, nonostante il grandissimo consenso e la convinzione di tanti che avreste ampiamente meritato la vittoria. Come avete vissuto questo epilogo nell’immediato successivo e quali sono stati i cambiamenti nelle vostre vite artistiche ma anche nella vostra privacy?
Sinceramente a noi ha fatto piacere vedere felice Matteo, per lui la vittoria era importante, ci dispiace avere deluso chi si aspettava un risultato diverso, ma a noi interessava più uscire ed iniziare a registrare un vero disco e tornare a suonare live.

Sotto l’egida di importanti Case discografiche il vostro EP L’amor carnale ha venduto più di 35mila copie ed è stato certificato Disco d’oro dalla FIMI; siete stati premiati ai Wind Music Awards come giovani talenti e ricevuto un Premio Speciale Rivelazione Giovani del MEI; avete partecipato all’Heineken Jammin’ Festival e molto altro. Come funziona la grande macchina dell’industria discografica e come avvengono, secondo voi, le selezioni di artisti che meritano investimento ed appoggio piuttosto che esclusione?
Rispondere a queste domande risolverebbe molti problemi di noi musicisti. La grande macchina dell’industria funziona per il profitto, questo ti pone in diverse situazioni in base al tuo potere contrattuale, soprattutto ora che i dischi si vendono molto meno che in passato. Servono planning, pubblicità, sponsor, editori, uffici stampa, agenzie di concerti, video, partecipazioni, tutte cose legate ad investimenti e conoscenze nel giro, tutti elementi che partendo da zero sono difficili da comprendere e conoscere.
Non sappiamo chi si meriti di avere questo tipo di supporto, ma sicuramente, chi ce l’ha, ha dovuto fare (o spendere) molto per averlo.

Una nota un po’ particolare: com’è il personaggio Mara Maionchi, la vostra mentore a X Factor e la figura che vi ha seguiti anche dopo per un breve percorso?
Mara è un vulcano, non ha peli sulla lingua, non te le manda a dire, è un grande personaggio dello spettacolo, con un grande carisma e un ottimo fiuto per i talenti. Simpatica e generosa con chi lo merita, arrogante e vipera con chi invece no: una gran donna.
Purtroppo le regole di mercato negli ultimi anni sono cambiate, un abisso rispetto agli anni 70/80/90 dove era un big della discografia. I metodi di lavoro, i mezzi di comunicazione e soprattutto il pubblico sono completamente diversi, forse lontani dalla sua prassi lavorativa.

Nel 2011 avviene la rottura con l’etichetta Sony Music e con Non ho l’età di Mara Maionchi. Cos’è successo?
Noi e Sony avevamo in mente una proposta artistica decisamente diversa, la nostra non rientrava nei canoni di mercato che solitamente la major tratta con partecipanti dei talent (con un pubblico quasi esclusivamente pop). La loro proposta invece non risultava naturale se applicata al nostro trio. Abbiamo deciso in comune accordo di rescindere il contratto in anticipo, rinunciando alla pubblicazione di altri due dischi.
Con ‘Non ho l’età’ di Maionchi/Salerno la storia è simile. C’era sicuramente un buonissimo rapporto dal punto di vista umano, ma diverse filosofie artistiche.

La vostra band ha continuato in produzioni, concerti ed appuntamenti, supportando anche le due date del tour di Ben Harper e Robert Plant, e poi aprendo il concerto dei Green Day a Milano nel 2013. Cosa significa continuare a lavorare da indipendenti nella musica, lontano da Case discografiche di peso che in qualche modo preparano e assicurano successo?
Non crediamo sia vero che le case discografiche major preparano e assicurano il successo sempre. Le Major possono permettersi un investimento maggiore, hanno un buon feeling con le radio e altri contratti di marketing vantaggiosi ma spesso i prodotti che costruiscono non sono comunque forti e vengono rimpiazzati velocemente, vendono per poco tempo e il riciclo è estremamente crudele e veloce.
Con artisti pop o con “veterani” riescono a gestire il mercato, ma il rock ormai non c’entra niente (o mai c’è c’entrato). Il rock si basa su una costante attività live che permette di guadagnarsi il pubblico, una buona campagna pubblicitaria sui nuovi media come internet, dove i giovani si informano, ed una proposta autentica e sincera del proprio sound, per arrivare direttamente, senza intermediari, agli ascoltatori.
Alcune etichette indipendenti hanno lanciato negli ultimi tempi dei ‘big’ nel panorama alternativo italiano, proprio per una presa di posizione intelligente ed onesta, senza sprechi e artifici. Sto ovviamente parlando del mercato italiano.

Rock di montagna, bio-rock, due termini associati recentemente alla vostra musica: qual è l’elemento distintivo dei vostri pezzi rispetto ad un rock più definibile o tradizionale?
Fanno sorridere le etichette che ci vengono attribuite. Alcune ci piacciono, rock di montagna o biorock fanno trasparire la genuinità delle nostre creazioni, nate e costruite nei nostri paesi, influenzati dall’ambiente rurale e artigiano che ci circonda.

I The Bastard Sons of Dioniso hanno ancora un notevole numero di fans che seguono la loro interessante epopea musicale, ne apprezzano l’originalità, i toni cool alternati a quelli più stravaganti. Apprezzatissimi i contenuti dei testi che lasciano all’ascoltatore un bel margine di interpretabilità, cosa non da poco. Cosa volete lasciare come messaggio a chi vi segue da vicino e anche a coloro che vi osservano discretamente in attesa di scoprire qualcosa di nuovo?
Come già anticipi nella domanda, una nostra particolarità sta nel lasciare una libera interpretazione al senso dei nostri testi, spesso pieni di doppi sensi, modi di dire, giochi di parole. Noi non vogliamo lanciare un messaggio, ci sembra un po’ arrogante, preferiamo disegnare delle immagini, o delle sensazioni, a cui ognuno possa far riferimento come gli pare.

Quali i vostri progetti per il futuro? Avete mai pensato di tentare l’avventura all’estero, in altre piazze discografiche come Londra, USA…?
Dopo il tour estivo abbiamo deciso di concretizzare in studio le idee che sono nate dopo l’uscita dell’ultimo album. Stiamo quindi registrando cose nuove e scrivendo i testi per un nuovo album, che avrà nuovamente un sound rock, quello che contraddistingueva gli album precedenti, ma con una cura e un approccio più maturo.
Il nostro sound è decisamente poco italiano, strizza l’occhio agli inglesi e americani… ma crediamo risulti interessante se cantato in italiano, per questo abbiamo sempre creduto più normale suonare in Italia.

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Liliana Cerqueni

Autrice, giornalista pubblicista, laureata in Lingue e Letterature straniere presso l’Università di Lingue e Comunicazione IULM di Milano. E’ nata nel cuore delle Dolomiti, a Primiero San Martino di Castrozza (Trento), dove vive e dove ha insegnato tedesco e inglese. Ha una figlia, Daniela, il suo “tutto”. Ha pubblicato “Storie di vita e di carcere” (2014) e “Istantanee di fuga” (2015) con Sensibili alle Foglie e collabora con diverse testate. Appassionata di cinema, lettura, fotografia e … Coldplay, pratica nordic walking, una discreta arte culinaria e la scrittura a un nuovo romanzo che uscirà nel… (?).

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Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

Periscopio è quindi un giornale popolare, non nazionalpopolare. Un quotidiano “generalista”,  scritto per essere letto da tutti (“quelli che hanno letto milioni di libri o che non sanno nemmeno parlare” F. De Gregori), da tutti quelli che coltivano la curiosità, e non dalle elites, dai circoli degli addetti ai lavori, dagli intellettuali del vuoto e della chiacchiera.

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