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Richard Werner dal 2004 insegna il funzionamento del sistema bancario internazionale all’Università di Southampton e ha spiegato a più riprese come le banche creino la maggior parte del denaro in circolazione ‘ex nihilo’, cioè da nulla. Ha anche smontato la teoria della ‘riserva frazionaria’, secondo la quale le banche creerebbero denaro in percentuale alle riserve detenute presso la banca centrale.
Werner non è un professore qualunque, ha un curriculum di tutto rispetto. Ha lavorato alla Oxford University, a Tokyo alla Banca per lo Sviluppo del Giappone e all’Istituto Monetario e di Studi economici della Banca del Giappone, nonché come visiting Scholar all’Istituto per gli Studi Monetari e Fiscali del locale Ministero delle Finanze.
Proprio sul funzionamento delle banche giapponesi ha scritto un libro, da cui è stato tratto un documentario, “Princes of the yen”, che spiega in maniera chiara come funzionano gli istituti di credito e una Banca Centrale, soprattutto come questa possa determinare lo sviluppo di una Nazione attraverso la direzione e il controllo del credito e del processo di creazione della moneta bancaria.

Uno dei cavalli di battaglia di Werner è l’importanza che in una società rivestono le banche territoriali e legate alla realtà locale. Questo tipo di banca vive di prestiti ‘sicuri’, di una solidità dovuta al fatto di prestare all’economia reale, all’imprenditore locale e alle famiglie di cui conosce l’eventuale solvibilità. Non ha attività sproporzionate rispetto ai suoi compiti e, laddove ci sia un controllo effettivo dello Stato attraverso una Banca Centrale Nazionale che ne direziona il credito, un suo fallimento diventa impossibile.

Una lunga premessa questa, per introdurre il discorso iniziale del deputato penta-stellato locale Vittorio Ferraresi che, sabato 20 febbraio alla Sala della Musica, nel primo dei tre incontri organizzati dal consigliere ferrarese Claudio Fochi “Risparmio Consapevole”, ha piacevolmente dimostrato di conoscere queste dinamiche. Ha parlato, infatti, dell’importanza delle piccole banche, che vivono di imprenditori, di famiglie e di prossimità, e dell’attacco dei grandi interessi, che tendono a tagliare le loro radici locali e la loro inclinazione al territorio. Un discorso del genere in un contesto nazionale dove la propaganda ci dice che il grande è non solo bello, ma anche funzionale, va contestualizzato e rafforzato.
Ferraresi ha introdotto i suoi colleghi della Commissione Finanza che hanno ricostruito le vicende della Carife. E, a volerci ragionare quel tanto che basta, le spiegazioni e le ricostruzioni dell’On. Dino Alberti rientrano perfettamente nel quadro generale: le banche territoriali sono quelle più gestibili, con criteri di solidità maggiori rispetto a banche enormi, come la Deutche Bank che, come ha sottolineato il suo collega Alessio Villarosa, con un capitale di 530 miliardi di euro ha un’esposizione verso derivati di 54.000 miliardi.

Il Presidente dell’Adusbef Elio Lannuti usa parole forti come “esproprio criminale delle banche”, riferendosi al cosiddetto Bail in, ovvero il modello Cipro di esproprio dei risparmi dei cittadini. Parla del sistema delle “porte girevoli”, ovvero l’assicurare i posti di comando sempre alle stesse persone, che passano da controllori incaricati della Banca d’Italia a funzionari delle stesse banche che poco prima avevano ispezionato. Chiede ai deputati Cinque Stelle presenti di impegnarsi a fare una legge che impedisca la possibilità di passare da un incarico all’altro se c’è o può esserci un evidente conflitto di interessi.
Con una ricostruzione chirurgica, Alberti racconta come Banca d’Italia sia sempre stata presente nelle vicende Carife. Nel 2010, quando prestiti consistenti si rivelano a rischio per 100 milioni, tra l’altro per investimenti nel milanese, impone una Vigilanza Rafforzata e dei correttivi, ovvero:
– riduzione perimetro del gruppo: vengono cedute due banche e le restanti accorpate con riduzione dei cda e dei relativi costi di gestione;
– riorganizzazione della struttura interna;
– aumento di capitale per 150 mlm reso necessario a causa della svalutazione dei crediti tra cui 75 mlm riguardano la sola posizione Siano.
Il tutto riesce, la Carife viene ricapitalizzata e ha 4.000 nuovi soci ma Banca d’Italia non sembra soddisfatta, infatti nel 2013 impone il commissariamento.
I Commissari, si badi bene di Banca d’Italia, avevano proposto soluzioni alternative al fallimento già a luglio 2015, ma… Banca d’Italia non rispose alle richieste dei suoi stessi commissari.

Nel pubblico in Sala della Musica c’è chi ha vissuto la vicenda sulla propria pelle e ci tiene a dire che detenere azioni e obbligazioni subordinate non significa essere speculatori, come in qualche caso li si è voluti far passare per giustificare la loro mancata difesa da parte delle Istituzioni. A una banca territoriale si affidano i propri risparmi con fiducia, anche con ingenuità, perché le si da un’importanza storica, di legami. E non si parla di milioni, ma quasi sempre di migliaia di euro, che però vengono passati di padre in figlio e rappresentano a tutti gli effetti un risparmio, con conseguenze gravi in caso di perdita.

La Carife poteva essere salvata, questo il succo degli interventi. Non solo poteva ma doveva, come racconta Alessio Villarosa, ripetendo quanto rappresentato con veemenza in molti interventi parlamentari, perché lo prevede il dettato Costituzionale e perché la normativa con la quale è stato operato questo Bail in nostrano non rispetta le sue stesse previsioni. Ma intanto fa una considerazione interessante anche sulla tutela dei 100.000 euro, “immaginate un’azienda” dice Villarosa “con 40 dipendenti che abbia dei risparmi propri, sudati, di 200.000 euro, il Bail in gliene porta via la metà con sicure conseguenze sui lavoratori oltre che sull’azienda stessa. Il risparmio và tutelato nella sua interezza, anche controllando in anticipo le attività di una banca, vietandole attività speculative e rischiose. Invece si continua a legiferare in senso opposto e anche le Bcc con patrimonio sopra i 200 milioni di euro diventeranno Spa, cioè dipendenti da quel mercato che si regge su speculazione e finanza sfrenata. Non è questo il modo di salvaguardare gli interessi dei cittadini.”

Le “infrazioni” della legge rilevate da Villarosa sono, in primis, quella dell’art. 47 della Costituzione che tutela in maniera esplicita il risparmio in tutte le sue forme, e poi dell’art. 43, che permette l’espropriazione, ma salvo giusto indennizzo. E poiché Villarosa sostiene che i risparmiatori siano stati espropriati, un indennizzo non può essere negato, stesso principio con il quale una sentenza ha reso giustizia a espropriati austriaci. Per quanto riguardo il livello normativo inferiore, il Bail in, previsto all’art. 52 del D.lgs 180 del 2015, si poteva applicare solo a partire dal 1 gennaio 2016, come da art. 130 dello stesso provvedimento.

Daniele Pesco spiega, invece, gli effetti della creazione della Bad Bank. Quando una banca ha crediti in sofferenza, cioè ha crediti che non riesce più a esigere, si dovrebbe rifare sulle garanzie chieste in sede di elargizione del prestito. Chiaro che per farlo si ha bisogno di tempo, perciò più è alto il bisogno di liquidità, meno tempo ha a disposizione per farlo. Nei casi gravi in cui si va incontro a un fallimento si può costituire una bad bank, cioè una banca che si prende in carico tutti i crediti ‘cattivi’ e poi con il tempo cerca di recuperare quelle garanzie. Il punto è: a quanto vengono vendute quelle garanzie? Nel caso Carife al 17,3%, cioè un credito ‘cattivo’ della ‘vecchia banca’ di 100 euro viene ceduto alla bad bank a 17,3 euro. Una volta vendute a un nuovo soggetto, la banca che aveva elargito il credito iniziale perderà la possibilità di rivalersi su quelle garanzie, mentre chi le acquista ha grandi margini di guadagno, come dimostrato da molte esperienze passate.
Alla banca che nasce alleggerita di sofferenze, nonché di azioni e obbligazioni da restituire, spetta uno sconto fiscale sulle perdite subite. “Le quattro banche” – dice Pesco – “avevano crediti in sofferenza per 8,5 miliardi che sono stati svalutati dell’83%, quindi il valore nominale decresce fino a 1,5 miliardi. La differenza sono 7 miliardi, che messi a perdita creano un credito d’imposta di quasi 2 miliardi di euro: se fosse stato lasciato alle vecchie quattro banche probabilmente sarebbero rimaste in piedi. Invece non l’hanno fatto.”

Insomma, conclude Alberti, la Carife doveva fallire e il tutto nel quadro della programmata scomparsa delle banche territoriali, sacrificate in nome di interessi molto più grandi di loro.
E il discorso va infatti riportato nei suoi giusti canali, ovvero il disegno macroeconomico di svuotamento del potere degli Stati nell’era neoliberista del mercato refrattario alle regole e ai controlli. Disegno che implica necessariamente il deterioramento delle tutele e il peggioramento della qualità della vita dei cittadini. L’incremento dei profitti delle istituzioni finanziarie, che avviene soprattutto attraverso la creazione dei prodotti derivati, è inversamente proporzionale ai controlli. Meno controlli assicurano profitti più elevati, lo abbiamo visto nella crisi del 2007-2008 a seguito della quale non solo non si è introdotto alcun correttivo, ma si continua a legiferare in maniera da tenere sempre più lo Stato al servizio delle banche. Un po’ quel “governo cameriere” citato dal Elio Lannuti a inizio pomeriggio.

Gli incontri proseguiranno sabato prossimo e il 4 marzo con un intervento finale del Gruppo Cittadini Economia di Ferrara.

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Claudio Pisapia

Dipendente del Ministero Difesa e appassionato di macroeconomia e geopolitica, ha scritto due libri: “Pensieri Sparsi. L’economia dell’essere umano” e “L’altra faccia della moneta. Il debito che non fa paura”. Storico collaboratore del Gruppo Economia di Ferrara (www.gecofe.it) con il quale ha contribuito ad organizzare numerosi incontri con i cittadini sotto forma di conversazioni civili, spettacoli e mostre, si impegna nello studio e nella divulgazione di un’informazione libera dai vincoli del pregiudizio. Cura il blog personale www.claudiopisapia.info

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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