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Belli i flash mob che animano l’Italia di questi giorni pesanti per tutti, onerosissimi per coloro che sono impegnati al fronte di una guerra assurda. Il canto e la musica vestono il ruolo di catalizzatori che esorcizzano per un attimo tutte le nostre preoccupazioni, i nostri spettri, anche se finito il canto, dobbiamo fare i conti con le nostre solitudini e responsabilità.

E allora nei rioni si canta il neomelodico con il pathos struggente che solo un partenopeo può trasmettere; nelle case di ringhiera e palazzoni, Azzurro, che interpreta la Milano di un tempo e quello che è diventata; il trash e il rap dei più alternativi, La montanara sui balconi di legno delle valli del Nord; Il cielo è sempre più blu dappertutto, perché Rino Gaetano è trasversale, come Lucio Battisti e tanti grandi cantautori. Non è mancato O’ sole mio, cantato magistralmente, in tutta solitudine, da un signore asiatico affacciato alla finestra di un palazzo milanese. Si canta anche l’Inno di Mameli, che è la colonna portante dell’espressione musicale della nostra terra, quella più rappresentativa, fatta riserva, di questi tempi, su quel passaggio…”siam pronti alla morte, l’Italia chiamò”, che i più scaramantici recitano commossi, ma con le dita incrociate dietro la schiena.

Ciascuno suona gli strumenti che conosce, regalando la propria musica e le proprie abilità a tutti, col pianoforte dal salotto di casa e le finestre spalancate, il flauto o il sax su qualche tetto della città, il basso, la batteria, il violino. E un Halleluja di Leonard Cohen, eseguito all’aperto, nella neve di alta montagna: una suggestione assoluta. Qualcuno ha suonato e cantato appassionatamente, nell’angolo buio di una piccolissima frazione di un paese dolomitico, Helplessly hoping di Crosby, Still e Nash nel totale raccoglimento e nel silenzio della notte.

Prove di aggregazione che fanno sentire uniti e coesi in quelle note, intonate o stonate che siano, gridate con forza o modulate a fior di labbra, bisbigliate o gorgheggiate, che hanno il potere di gridare “non siamo soli”, uniti è possibile affrontare l’emergenza, sostenerci, prepararci a cambiare perché il cambiamento sarà necessario e inevitabile nel momento della ripresa. Siamo un popolo con la musica nel sangue e lo dimostriamo, anche se l’originalità di queste manifestazioni la dobbiamo riconoscere al popolo di Wuhan quando, qualche settimana fa, i cittadini, confinati rigorosamente nelle loro abitazioni, si affacciarono alle finestre per gridare all’unisono “Forza Wuhan!” e lanciare qualche strofa melodica. Nel nostro Paese, che abbiamo riscoperto come Patria, termine in disuso che apparteneva agli archivi del passato, abbiamo creato una risposta alle nostre ansie e un modo tutto nostro per gridare a squarciagola il nostro grazie a chi si sta prendendo cura di noi senza risparmiarsi.

E io, che di solito canto solo negli sprazzi di massima estroversione, dopo essermi accertata di essere da sola, non ho saputo resistere quando ho sentito Margherita di Cocciante, proveniente da una qualche casa non identificata, e mi sono lasciata andare senza ritegno a un canto liberatorio e pieno di gratitudine per i miei connazionali che quotidianamente, istante dopo istante, combattono la loro battaglia.

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Liliana Cerqueni

Autrice, giornalista pubblicista, laureata in Lingue e Letterature straniere presso l’Università di Lingue e Comunicazione IULM di Milano. E’ nata nel cuore delle Dolomiti, a Primiero San Martino di Castrozza (Trento), dove vive e dove ha insegnato tedesco e inglese. Ha una figlia, Daniela, il suo “tutto”. Ha pubblicato “Storie di vita e di carcere” (2014) e “Istantanee di fuga” (2015) con Sensibili alle Foglie e collabora con diverse testate. Appassionata di cinema, lettura, fotografia e … Coldplay, pratica nordic walking, una discreta arte culinaria e la scrittura a un nuovo romanzo che uscirà nel… (?).

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

Periscopio è quindi un giornale popolare, non nazionalpopolare. Un quotidiano “generalista”,  scritto per essere letto da tutti (“quelli che hanno letto milioni di libri o che non sanno nemmeno parlare” F. De Gregori), da tutti quelli che coltivano la curiosità, e non dalle elites, dai circoli degli addetti ai lavori, dagli intellettuali del vuoto e della chiacchiera.

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