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Quando si parla di streghe si evocano inevitabilmente le pagine inquietanti del periodo dell’Inquisizione, dell’ostracismo, della delazione, delle persecuzioni, dei processi sommari, delle condanne sui roghi, le ammissioni di colpa estorte con le torture, dell’isteria di massa e dell’oscuro clima di superstizione che ha contrassegnato la nostra storia di qualche secolo fa. Nella nostra civiltà occidentale, si parla di donne invise dalle loro comunità, calunniate, indicate come colpevoli di ogni nefandezza, creature sospese tra la carnalità terrena e il soprannaturale demoniaco in grado di compiere sortilegi e malefici, provocare catastrofi, seminare il male e determinare il destino di chiunque. Ed è proprio di streghe che si parlerà nella serie tv ‘Luna Nera’, in arrivo su Netflix Original Italiana, piattaforma streaming, nel 2020. La storia di quattro donne sospettate di stregoneria nel XVII secolo in Italia, è stata liberamente tratta dal libro ‘Le città perdute. Luna nera’ di Tiziana Triana in prossima uscita, e conta sulla regia di Francesca Comencini, Susanna Nicchiarelli e Paola Randi. Un evento atteso per la sua spettacolarità e originalità, per il suo carattere prettamente al femminile: donne che raccontano di donne, riesumando le tristi pagine della ‘caccia alle streghe’. In seguito alla morte di un neonato, Ade, una giovane levatrice di 16 anni, viene accusata di stregoneria e costretta a fuggire dal villaggio. Trova asilo presso una misteriosa comunità di donne accusate di praticare la magia nera… Ragione e irrazionalità, credenze e sospetti, mistero e intrigo: ecco i leitmotiv della serie tanto attesa, conclusa a luglio dopo il primo ciak dello scorso marzo.
Abbiamo intervistato in anteprima Adalgisa Manfrida, la giovane attrice che interpreta la strega Persepolis.

Vuoi raccontarci chi sei, Adalgisa?
Sono nata in Germania, a Stoccarda il 21 maggio del 1993 da papà Siciliano e da mamma Trentina. Sono la seconda di 4 figli. All’età di 3 anni con la mia famiglia mi sono trasferita in Sicilia, in provincia di Enna, dove sono cresciuta fino ai 12 anni. Dal 2006 ho vissuto in Trentino fino ai miei 19 anni, per poi trasferirmi a Roma per studiare recitazione e dove vivo tutt’ora. Ho frequentato il liceo classico e successivamente mi sono diplomata nel 2017 all’Accademia Nazionale d’Arte drammatica Silvio D’Amico di Roma.

Qual è stato il momento in cui hai capito che recitare sarebbe stata la tua scelta esistenziale e professionale?
A 12 anni frequentai un corso di teatro a scuola. Le ore di prove al pomeriggio volavano, tornavo a casa continuando a ripetere tutte le battute. Lo spettacolo andò in scena all’anfiteatro greco di Morgantina, in Sicilia, alle 5 del pomeriggio. Ero paralizzata dalla paura, era pieno di gente, c’era la luce del giorno, non era buio come nel teatrino in cui provavamo, e potevo quindi vedere tutte quelle persone distintamente. Poi successe che la gente cominciò a ridere, a ridere quando entravo, a ridere di ciò che dicevo. Una vertigine. Il desiderio di quella paura e di quella vertigine non mi hanno ancora lasciato.

Che ruolo ha avuto la tua famiglia nelle scelte che hai fatto?
Quand’ero piccola, non avendo uno spazio dove provare con gli altri ragazzini lo spettacolo con cui saremmo dovuti andare in scena nel paesino nel quale abitavo, ci recavamo dell’officina di mio padre che è meccanico. Ogni sera alle 18, lui e mia madre svuotavano una parte di quel posto, pulivano, mettevano per terra dei cartoni ed ecco il palcoscenico che ci serviva. I miei genitori hanno sempre preso seriamente i miei sogni, tanto quanto me, e ciò mi ha permesso di non pensare mai che fossero stupidi o irrealizzabili.

Come è stata la tua formazione in Accademia?
Sono stati tre anni di duro lavoro, costantemente in bilico tra la sorpresa di ciò che potenzialmente e realmente si può essere e il timore del fallimento, anche nelle cose più stupide. Lavori ogni giorno su te stesso, i tuoi limiti ti appaiono in modo molto più evidente e bisogna riuscire a non scoraggiarsi, a continuare a lavorare, senza scuse, alibi e giustificazioni.

Cosa significa per una giovane come te, decidere di vivere da sola a Roma, studiare e lavorare? Quali sono state le criticità e quali gli aspetti positivi?
Avevo 19 anni e i soldi contati. Essere finalmente in una città che già inspiegabilmente amavo, senza nessuno che sapeva chi fossi e viceversa fu una vera gioia. Trovare un lavoro degno e onesto per mantenersi e pagarsi le lezioni, invece, è stato duro, tra datori di lavoro aggressivi, turni lunghissimi, paghe da fame, tremendo. Mi sembrava di soccombere in una realtà che non avevo previsto, ero piena di rabbia. In qualche modo quella frustrazione mi ha spinta a fare di tutto per uscirne, e ho puntato tutto sul provino in Accademia.

Quali sono le attitudini, le caratteristiche e i ‘talenti’ richiesti nella professione di attore?
Forse la capacità di ascoltare allo stesso tempo dentro e fuori di sé, di rispondere a questo ascolto con l’istinto, la spontaneità, la creatività, il corpo e l’intelligenza. Forse la capacità di farsi da parte, essere diverso da se stesso o forse, al contrario, essere perfettamente al centro di ciò che si è. Forse nessuna di queste cose. Ognuno è ciò che è, spinto alle volte da una grande forza per diventare altro, migliore, completo. Felice di potersi esprimere totalmente.

Quali le differenze tra recitazione in teatro, televisione e cinema?
Non credo che ci sia una differenza di sostanza nel lavoro dell’attore; ti è richiesto di fare, in fondo, la stessa cosa. Forse è diversa la gestione del lavoro e dei suoi tempi: a teatro provi per 4/5 settimane ogni singolo movimento, battuta, impari ad abitare ogni situazione e il suo spazio. Su un set è possibile che questo tempo non ci sia, che una scena venga costruita in quel momento e bisogna essere molto disponibili a cambiare ciò che si sta facendo da un momento all’altro.

Come sei arrivata alla scrittura, molto importante per la tua crescita e affermazione personale, nella nuova serie che uscirà i primi mesi del 2020 ‘Luna nera’? Puoi anticipare qualcosa? Che tipo di esperienza è stata?
“Luna Nera” è stata la mia prima esperienza sul set. Mi sono stupita per tante cose del tutto nuove per me, del fatto che si possa parlare pianissimo (a teatro non puoi farlo!), che basta l’accenno di uno sguardo, un sospiro. Il set è sempre stracolmo di persone che lavorano contemporaneamente, sorgono piccoli imprevisti in continuazione, a volte bisogna attendere diverse ore e diventa fondamentale imparare a gestire le proprie energie per non arrivare stanchi e deconcentrati.

Come vedi il tuo futuro professionale? In Italia o all’estero?
Il mio futuro professionale lo vedo ovunque ci sia la possibilità di migliorarmi, che sia l’Italia o l’estero non è importante. Ovviamente per un attore la lingua è fondamentale e io amo l’italiano, è la mia lingua, ma mi piacerebbe far parte di un progetto, sia teatrale che cinematografico anche all’estero.

Avremo occasione di seguire Adalgisa Manfrida, la strega Persepolis, nelle sue vicende movimentate, insieme ad Ade, Valente e Tebe, Leptis, Janara e molti altri personaggi che ci permetteranno un tuffo nel passato, ricordando che la strada dell’emancipazione della donna, la conquista della pari dignità di genere e il riconoscimento del suo contributo alla civiltà, è lastricata di vergognose parentesi.

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Liliana Cerqueni

Autrice, giornalista pubblicista, laureata in Lingue e Letterature straniere presso l’Università di Lingue e Comunicazione IULM di Milano. E’ nata nel cuore delle Dolomiti, a Primiero San Martino di Castrozza (Trento), dove vive e dove ha insegnato tedesco e inglese. Ha una figlia, Daniela, il suo “tutto”. Ha pubblicato “Storie di vita e di carcere” (2014) e “Istantanee di fuga” (2015) con Sensibili alle Foglie e collabora con diverse testate. Appassionata di cinema, lettura, fotografia e … Coldplay, pratica nordic walking, una discreta arte culinaria e la scrittura a un nuovo romanzo che uscirà nel… (?).

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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