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Il coraggio di fare un salto nel vuoto verso un sogno, una speranza, che nel proprio Paese non esiste più perché si è persa “la possibilità di credere nel futuro”. Il coraggio di vivere la propria esistenza accettando un’identità che sta “nel mezzo” fra due mondi, fra l’Italia e l’Albania. Il coraggio di trasformare, attraverso un monologo teatrale, una frase che esprime disprezzo in un’espressione di riscatto. È ‘Albania casa mia’, andato in scena al Teatro Comunale di Occhiobello venerdì sera inaugurando la ripresa della stagione teatrale organizzata dal Comune in collaborazione con Associazione Arkadiis.

Lo spettacolo, vincitore del Premio Museo Cervi 2016 e del Festival Avanguardie 20 30, è la storia di un figlio che cresce lontano dalla sua terra natia ed è la storia di un padre, dei sacrifici fatti, dei pericoli corsi per evitare di crescere suo figlio nella miseria di uno Stato che non esiste più. Aleksandros – interprete e autore del testo, diretto da Giampiero Rappa – e Alexander, figlio e padre, le cui storie viaggiano, si incrociano e si confondono su un muro e su una nave fra Albania e Italia, sul “manto oscuro e liquido”, “grande e serio” che è il mar Adriatico.
Alexander è un trentenne fisico e matematico, che scappa da Valona e si imbarca su un peschereccio per gamberi, con sua moglie e il loro piccolo di soli 5 mesi, che ha 40 di febbre e che non ha visto nascere, perché questo non è il suo primo tentativo di rifarsi una vita in Italia. Aleksandros è quel neonato, che cresce con il “trauma” di un’identità divisa e ibrida allo stesso tempo, né italiano, né albanese. Eppure sente che “saper dire le cose in due modi diversi” – tre se ci mettiamo il dialetto, che Alexandros padroneggia alla perfezione – è una ricchezza che possiede solo lui, in quel paesino di settemila anime del profondo Nord-Est, che potrebbe essere la stessa Occhiobello. Solo di fronte alla ‘provocazione’ di Rappa, che ha conosciuto alla scuola di recitazione Fondamenta, Aleksandros, ormai giovane adulto dagli occhi grandi e dal profilo affilato, ha trovato il coraggio di scrivere la sua esperienza, quelle sensazioni che forse solo un italiano di seconda generazione come lui riesce a comprendere fino in fondo, e di metterle in scena in prima persona, solo in mezzo al palcoscenico, unica scenografia: una cartina geografica dell’Albania, “madre triste” che non vede i suoi figli da troppo tempo.

Aleksandros Memetaj ph Manuela Giusto
Aleksandros Memetaj

Il regista Giampiero Rappa racconta: “Ho cercato di mettere Aleksandros nella posizione più scomoda possibile; solo, chiuso dentro i suoi confini, quasi in gabbia alla ricerca di un riscatto tramite un racconto che diventa catartico per lui e quindi per noi”. Ecco perché la performance rimane sempre sul filo del rasoio fra geografia della memoria e denuncia sociale, riuscendo a sfuggire alla retorica e costruendo, invece, un percorso asciutto in cui si mescolano candore e autoironia, forza, fierezza e determinazione.

Albania casa mia’ con quel salto dal muro è, in fondo, un invito di Aleksandros a non avere paura di ricominciare da capo, anche quando tutto sembra essere perduto; è un invito ad avere il coraggio di raggiungerlo in quella terra di mezzo: certo è difficile stare nel mezzo, ma arricchisce enormemente, e dopotutto ogni cosa che valga la pena fare è difficile.

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Federica Pezzoli


Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

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