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Casa per casa, strada per strada. La passione, il coraggio, le idee: è il titolo dell’antologia degli scritti e degli interventi di Enrico Berlinguer curata dal giovane Pierpaolo Farina – studente, blogger e fondatore nel 2009 del sito web enricoberlinguer.it – e presentata venerdì pomeriggio alla biblioteca Ariostea. Ma sono anche le ultime parole pubbliche pronunciate dal leader politico durante quel comizio in piazza dei Frutteti a Padova il 7 giugno 1984: “Lavorate tutti, casa per casa, azienda per azienda, strada per strada”.
Azzardo l’ipotesi che Pierpaolo Farina non le abbia scelte a caso e non a caso le abbia accostate ad altri tre vocaboli: passione, coraggio e idee. È racchiusa tutta qui, anche se non è cosa proprio di poco conto, la distanza che separa Enrico Berlinguer dalla classe politica, per non dire dirigente, dell’Italia di oggi.
Ascoltando soprattutto gli interventi dello stesso Pierpaolo e di Federico Varese, entrambi incentrati sulla modernità delle formulazioni e delle tesi del segretario del Pci, ho provato due sensazioni del tutto contrastanti fra loro. Una è la speranza che un’altra politica sia possibile, in antitesi a tutto ciò che la mia generazione ha vissuto e sta vivendo (sono nata proprio in quel 1984), una politica intesa come sacrificio, abnegazione, servizio, fino all’ultimo istante della sua vita, come dimostra il fatto che quell’ultimo comizio lo ha voluto finire. L’altra è lo sconforto per il fatto che, come ha detto Pierpaolo, “volenti o nolenti negli ultimi trent’anni l’unico progetto di società alternativa a quella esistente, in cui fossero presenti tutte le libertà tranne quella dello sfruttamento dell’uomo sull’uomo, è proprio quello di Enrico Berlinguer”. Intendo dire che quest’attualità diventa quasi drammatica perché forse significa che in trent’anni ben poco è cambiato.
“I partiti di oggi sono soprattutto macchine di potere e di clientela: scarsa o mistificata conoscenza della vita e dei problemi della società e della gente, idee, ideali, programmi pochi o vaghi, sentimenti e passione civile, zero. Gestiscono interessi, i più disparati, i più contraddittori, talvolta anche loschi, comunque senza alcun rapporto con le esigenze e i bisogni umani emergenti, oppure distorcendoli, senza perseguire il bene comune. La loro stessa struttura organizzativa si è ormai conformata su questo modello, e non sono più organizzatori del popolo, formazioni che ne promuovono la maturazione civile e l’iniziativa: sono piuttosto federazioni di correnti”: sono parole famosissime pronunciate da Berlinguer in un’intervista a Eugenio Scalfari del 1981.

Ma, e qui ritorna la speranza, la modernità di Enrico Berlinguer nasce soprattutto dalla forza e dalla lungimiranza delle sue idee, come per esempio quelle sulle “forme di governo mondiale dell’economia” citate da Varese, che prefiguravano nuove forme di contrasto su scala globale a un capitale anch’esso mondiale. Oppure ancora quelle espresse sul progresso tecnologico nell’intervista Orwell, il computer, il futuro della democrazia a Ferdinando Adornato nel 1983: “io vedo oggi la possibilità di due processi contemporanei: da una parte l’uso della microelettronica per rafforzare il potere dei gruppi economici dominanti […] Dall’altra però vedo una grande diffusione di nuove conoscenze che può portare ad un arricchimento di tutta la civiltà”.

Partecipando all’incontro, da cui è emersa tutta la carica innovatrice di questa figura cardine della politica italiana del secondo dopoguerra, mi è tornato alla mente uno spettacolo cui ho assistito all’inizio del dicembre scorso al teatro Comunale di Occhiobello: ‘Berlinguer. I pensieri lunghi’, di Giorgio Gallione, interpretato da Eugenio Allegri. I pensieri di Berlinguer erano lunghi non solo perché è stato sorprendentemente lungimirante nel prefigurare scenari politici futuri, ma soprattutto perché – come si dice all’inizio dello spettacolo – l’utopia serve “a camminare” e rimane “sempre all’orizzonte”.

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Federica Pezzoli


Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

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