Skip to main content

Parlare di immigrazione di questi tempi è pericoloso. Certo, grandi e piccole migrazioni fanno parte della storia dell’uomo e lo scontro tra popolazioni residenti e popolazioni nomadi è stato per secoli una costante antropologica. Le migrazioni, legate a condizioni culturali, a guerre ed epidemie, a carestie e disastri ambientali, a miseria o ricerca di fortuna, hanno sempre trovato nei diversi tassi di natalità responsabili delle differenze demografiche un motore biologico inesauribile.
Ma il contesto entro cui, oggi, le migrazioni si manifestano è completamente nuovo: per l’ampiezza della popolazione mondiale innanzitutto (7,46 miliardi di persone in rapida crescita), per l’iniqua distribuzione di una quantità di beni primari che sarebbero sufficienti per soddisfare i bisogni essenziali di tutti, per la diffusione globale delle tecnologie della comunicazione e dell’informazione che indottrinano e connettono miliardi di persone facendo balenare loro il sogno dell’abbondanza, per l’abbattimento delle barriere che impedivano il libero flusso di merci e capitali finanziari, per la facilità dei movimenti e dei trasporti.
Catastrofi climatiche (basti pensare al Darfour), land grabbing, sfruttamento delle risorse naturali, conflitti geopolitici e guerre, distruzione delle culture locali, il fallimento completo della cooperazione internazionale e del sostegno ai paesi in via di sviluppo, la scoperta di nuovi mercati che potrebbe assorbire l’enorme quantità di merci prodotte, una distribuzione dei beni totalmente iniqua, sono alcuni fattori che stanno alla base degli sconvolgimenti demografici che, su questa scala, non hanno precedenti nella storia.

Se questo è lo sfondo l’Italia si trova nella peggiore posizione geopolitica possibile, e non stupisce dunque che l’immigrazione sia diventato un problema sociale drammatico, ampiamente sfuggito al controllo dello stato. Lo dicono i numeri e le proiezioni demografiche, lo conferma il ragionamento strategico, lo sostiene l’esistenza di enclave aliene sempre più numerose ed impenetrabili sul territorio; lo attesta, oltre ogni ragionevole dubbio, la paura diffusa, il rancore e l’accanimento degli italiani (e dei residenti delle comunità immigrate da più tempo) quando si schierano pro o contro una situazione che, da emergenza che fu negli anni novanta, è diventata un dato strutturale che diventa sempre più inquietante.

Nella varietà di opinioni e di rappresentazioni che circolano nella rete, che si alimentano nei luoghi di incontro, che rimbombano nell’intero sistema dei mass media, si possono riconoscere con molte sfumature e qualche distinguo, due campi avversi brutalmente contrapposti, due poli concettuali intorno ai quali si addensano, ora più vicine ora più lontane, le opinioni delle persone.

Il centro del primo polo è rappresentato dai favorevoli a tutti i costi, da quel nucleo di persone che vede l’immigrazione come una necessità, i migranti come un’opportunità, l’accoglienza come un dovere a prescindere da ogni tipo di conseguenza; quelli che strillano “al razzista” e “al fascista” ogni volta che qualcuno non concorda con questa prospettiva. Attorno a questo centro si addensa la vasta costellazione dei sostenitori del politicamente corretto che, spesso, nasconde dietro la retorica dei buoni sentimenti umanitari floridi affari. Vi ruota inoltre il pulviscolo di quelli che, nell’immigrazione, vedono semplicemente un’opportunità per far crescere il PIL e un mezzo per pagare le pensioni delle generazioni più vecchie, visto che gli italiani non fanno più figli.
C’è chi crede nell’obbligo di accoglienza per ripagare i popoli sfruttati nel passato coloniale e nel presente globalizzato; ci sono tante persone in buona fede, operatori per passione, gente pronta a dare e a condividere il proprio. Ma ci sono anche persone comodamente protette dalla loro condizione di classe o di ceto, che amano a parole l’umanità astratta ma apprezzano assai poco il prossimo in carne ed ossa, con i suoi odori, i suoi vestiti e la sua cultura: gente che vive ben protetta nei quartieri e nelle case blindate dove la scomoda e vasta e brulicante umanità dei poveri non ha accesso.
Il nucleo di questo polo sembra essere formato da quel progressismo mondialista che vede nel melting pot il futuro necessario dell’umanità, da quel laicismo estremo chiaramente volto ad eliminare connotazioni religiose e culturali in nome di un’uguaglianza omologante interamente schiacciata sul dogma del libero mercato.

Il centro del secondo polo è rappresentato dai contrari irriducibili, coloro che vedono nella immigrazione un pericolo, una minaccia per gli italiani e le italiane, un grave danno. Quelli sempre pronti ad evocare la minaccia del terrorismo, la necessità del pugno di ferro contro l’islam. Quelli che sono sempre in prima linea nell’accusare di comunismo, buonismo, calcolo interessato, connivenza e ipocrisia coloro che professano opinioni opposte. Quelli tutt’al più disposti a usare gli immigrati se hanno lavoro, costano meno degli italiani e stanno zitti scomparendo dopo aver concluso le loro prestazioni. Gravitano attorno a questo centro anche persone in buona fede, spaventate e timorose della diversità, insieme a quelli che predicano l’impossibilità dell’integrazione e segnalano la sproporzione dei costi che distolgono fondi che dovrebbero essere assegnati agli italiani bisognosi travolti dalla crisi. C’è gente ben convinta della superiorità del modello occidentale e della sua cultura, persuasa della necessità di un progresso che coincide necessariamente con una modernizzazione che deve essere, innanzitutto, occidentalizzazione forzata. Ma c’è anche quell’umanità semplice ancora ben disposta verso i migranti che serbano un atteggiamento umile, lavorano e si adattano, ma assolutamente contraria all’accoglienza indifferenziata e imposta dall’alto. Ci sono anche razzisti convinti, cittadini che rifiutano qualsiasi segno identificativo di altra cultura ed altra religione. Ruota attorno a questo nucleo un pulviscolo di opinioni che sfociano in visioni religiose, nella difesa dell’identità locale e nazionale e di quei valori dell’occidente che la modernizzazione stessa ha distrutto ben prima dell’arrivo delle ondate migratorie.

Sbagliano gli uni negando le dimensioni perverse della cosiddetta accoglienza; sbagliano gli altri negando le responsabilità dell’intero occidente nelle genesi del fenomeno. Sbagliano tutti quando parlano del fenomeno riducendolo ad una sua drammatica caricatura tesa a far leva sui sentimenti e le emozioni della gente.

Si riconosce da entrambe le parti la presenza ora più netta ora più sfumata di una componente d’odio e di rancore: un muro contro muro che non consente soluzioni innovative che oggi servono come il pane. Nessuno che riconosca nelle ragioni di chi sta sull’altro lato della barricata qualche fondamento o, almeno, il beneficio del dubbio. Una contrapposizione che fa la gioia dei media ma che umilia lo spirito della democrazia e della cittadinanza.
Si riconosce in entrambi i poli una volontà colpevole di ignorare e di escludere informazioni che possano mettere in discussione le proprie incrollabili posizioni, i propri assunti di partenza che rimangono spesse volte oscuri.
Intorno al tema immigrazione si rinnova dunque uno scontro politico e sociale che ricorda ai più vecchi mai sopite contrapposizioni ideologiche che si intersecano in un gioco difficile da riassumere: destra contro sinistra, laico contro religioso, società contro comunità, progressisti contro conservatori.

Ma la dimensione del fenomeno è tale che nessuna contrapposizione frontale potrà portarvi sollievo e soluzione. Nessuna soluzione è possibile in assenza di chiarezza e di una riflessione che parta innanzitutto dalla complessità, rifiutando ogni tipo di semplificazione. E una riflessione dura, dolorosa ma quanto mai necessaria che deve affrontare, tenendoli insieme, aspetti demografici, etnici, culturali, religiosi, sociali, amministrativi, legali, economici, finanziari, geografici, geopolitici, strategici e militari. Senza dimenticare la sana solidarietà, senza scollegare la dimensione locale da quella globale.
Di fronte al totale fallimento della politica dell’immigrazione tocca ai cittadini di buona volontà fare un passo di riconciliazione e di approfondimento che vada oltre la contrapposizione dell’essere pro e dell’essere contro, un passo atteso che apra lo spazio al discernimento.
Non c’è altra scelta: ciò che colpevolmente si rifiuta di vedere adesso si ripresenterà in modo assolutamente peggiore nel prossimo futuro.

tag:

Bruno Vigilio Turra

È sociologo laureato a Trento. Per lavoro e per passione è consulente strategico e valutatore di piani, programmi e progetti; è stato partner di imprese di ricerca e consulenza e segretario della Associazione italiana di valutazione. A Bolzano ha avuto la fortuna di sviluppare il primo progetto di miglioramento organizzativo di una Procura della Repubblica in Italia. Attualmente libero professionista è particolarmente interessato alle dinamiche di apprendimento, all’innovazione sociale, alle nuove tecnologie e al loro impatto sulla società. Lavora in tutta Italia e per scelta vive tra Ferrara e le Dolomiti trentine.

PAESE REALE

di Piermaria Romani

PROVE TECNICHE DI IMPAGINAZIONE

Top Five del mese
I 5 articoli di Periscopio più letti negli ultimi 30 giorni

05.12.2023 – La manovra del governo Meloni toglie un altro pezzo a una Sanità Pubblica già in emergenza, ma lo sciopero di medici e infermieri non basterà a salvare il SSN

16.11.2023 – Lettera aperta: “L’invito a tacere del Sindaco di Ferrara al Vescovo sui Cpr è un atto grossolano e intollerabile”

04.12.2023 – Alla canna del gas: l’inganno mortale del “mercato libero”

14.11.2023 – Ferrara, la città dei fantasmi

07.12.2023 – Un altro miracolo italiano: San Giuliano ha salvato Venezia

La nostra Top five
I
 5 articoli degli ultimi 30 giorni consigliati dalla redazione

1
2
3
4
5

Pescando un pesce d’oro
5 titoli evergreen dall’archivio di 50.000 titoli  di Periscopio

1
2
3
4
5

Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

Periscopio è quindi un giornale popolare, non nazionalpopolare. Un quotidiano “generalista”,  scritto per essere letto da tutti (“quelli che hanno letto milioni di libri o che non sanno nemmeno parlare” F. De Gregori), da tutti quelli che coltivano la curiosità, e non dalle elites, dai circoli degli addetti ai lavori, dagli intellettuali del vuoto e della chiacchiera.

Periscopio è  proprietà di un azionariato diffuso e partecipato, garanzia di una gestitone collettiva e democratica del quotidiano. Si finanzia, quindi vive, grazie ai liberi contributi dei suoi lettori amici e sostenitori. Accetta e ospita sponsor ed inserzionisti solo socialmente, eticamente e culturalmente meritevoli.

Nato quasi otto anni fa con il nome Ferraraitalia già con una vocazione glocal, oggi il quotidiano è diventato: Periscopio naviga già in mare aperto, rivolgendosi a un pubblico nazionale e non solo. Non ci dimentichiamo però di Ferrara, la città che ospita la redazione e dove ogni giorno si fabbrica il giornale. e Ferraraitalia continua a vivere dentro Periscopio all’interno di una sezione speciale, una parte importante del tutto. 
Oggi Periscopio ha oltre 320.000 lettori, ma vogliamo crescere e farsi conoscere. Dipenderà da chi lo scrive ma soprattutto da chi lo legge e lo condivide con chi ancora non lo conosce. Per una volta, stare nella stessa barca può essere una avventura affascinante.  Buona navigazione a tutti.

Tutti i contenuti di Periscopio, salvo espressa indicazione, sono free. Possono essere liberamente stampati, diffusi e ripubblicati, indicando fonte, autore e data di pubblicazione su questo quotidiano.

Francesco Monini
direttore responsabile


Chi volesse chiedere informazioni sul nuovo progetto editoriale, può scrivere a: direttore@periscopionline.it