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NUOVO ORDINE MONDIALE
Dalla fine della II Guerra Mondiale ai BRICS. La geopolitica che cambia

NUOVO ORDINE MONDIALE. DALLA FINE DELLA II GUERRA MONDIALE AI BRICS.
LA GEOPOLITICA CHE CAMBIA

Per “Nuovo Ordine Mondiale”, in geopolitica, si fa riferimento ai grandi eventi della storia che hanno radicalmente modificato l’assetto geografico, politico ed economico del pianeta.

Se ne è tornati a parlare dopo il 17° vertice dei leader BRICS (Brasile, Russia, India, Cina e Sud Africa, a cui si sono aggiunti di recente nuovi membri come l’Arabia Saudita e l’Iran), tenutosi a Rio de Janeiro, in Brasile, nei giorni 6 e 7 luglio 2025 ed il recente incontro (il 25°) dei Paesi Sco (Organizzazione per la cooperazione di Shanghai).

Di questo e di come l’Europa stia affrontando questo nuovo passaggio storico, ne abbiamo parlato con Tiberio Graziani, Presidente di V&GT, piattaforma internazionale che si impegna a promuovere il dialogo tra le civiltà e a monitorare le dinamiche legate ai processi di globalizzazione, innovazione e ricerca.

Abbiamo visto in televisione lincontro dei membri della BRICS. Ci può spiegare meglio di cosa si tratta?

«BRICS è un termine coniato nel 2001 dall’economista di Goldman Sachs Jim O’Neill per indicare le economie emergenti destinate a modificare gli equilibri mondiali. Da un punto di vista prettamente geo-politico e geo-economico, possiamo dire che è un tentativo di superare il cosiddetto G7 “occidentale”, i cui membri sono Stati Uniti, Canada, Giappone, Germania, Francia, Italia, Regno Unito ed Europa.»

Come si inserisce lEuropa in questo contesto?

«L’Europa paga l’immobilismo degli ultimi anni. Ha avuto la possibilità di diventare uno degli attori principali del “Nuovo Ordine Mondiale”. Nella sua natura originaria, poteva essere uno dei mediatori più importanti nelle richieste dei nuovi Stati emergenti.

Invece, come dimostrano i fatti, soprattutto in materia di approvvigionamento energetico e sviluppo del settore militare, si è rivelata una sorta di gabbia per grandi Stati come Germania e Francia, che in questo senso si muovono in maniera indipendente. Sono sostanzialmente limitati nella loro progettazione economica. Basti pensare che la Germania ha deciso proprio di investire negli armamenti per risollevare la propria economia.»

Quindi, se domani dovessero terminare tutte le guerre? Per esempio quella tra Ucraina e Russia?

«La Germania ne risentirebbe più di altri. In generale, tutti i membri europei dovrebbero riorganizzare non solo il proprio piano di sviluppo industriale, ma soprattutto la comunicazione. Vede, ci stanno spingendo a pensare che le guerre non finiranno mai. Anzi, che nuovi conflitti saranno inevitabili e che l’Europa ne sarà protagonista.

Se si ricorda, ha fatto scalpore la pubblicizzazione di kit di sopravvivenza, esattamente come durante la Guerra Fredda si vendevano maschere antigas e manuali per la costruzione di bunker antiatomici. Questa comunicazione alimenta l’illusione che lo sforzo economico sul riarmo sia indispensabile. Parlare solo di percentuali di investimenti distoglie dall’effettivo enorme valore di risorse che deviamo sugli armamenti anziché su sanità, istruzione e infrastrutture.»

E lAmerica di Trump?

«Trump sta mettendo in campo ciò che aveva già iniziato a fare durante il suo primo mandato. Si ricorda lo slogan “America First”? La questione, alquanto complessa, è che l’America di oggi è fortemente de-industrializzata. Dopo lo scioglimento dell’unione sovietica, la globalizzazione cavalcata dagli Stati Uniti ha portato la produzione verso paesi poveri, dove il costo della manodopera era, e lo è tuttora, molto basso. Questo ha creato valore e ricchezza, ma oggi si è tradotto in un aumento esponenziale di poveri senza lavoro. Si è consumato molto, ma si è prodotto poco in casa.

Ecco il perché della politica dei dazi. Trump sta cercando di ricostruire l’America dall’interno, creando nuova industria. Uno dei suoi cavalli di battaglia era “VENITE A PRODURRE DA NOI”, soprattutto rivolto al settore automobilistico. I dazi servono a generare risorse da reinvestire nello sviluppo

A proposito di dazi, ha sorpreso lapplicazione del 50% allIndia.

«L’India è un caso particolare. I dazi hanno una doppia valenza: fare cassa e imporre una sorta di sanzione, perché membro BRICS e, dal 2017, SCO.»

E perché non ha usato la stessa moneta” verso gli altri membri?

«Perché l’India paga da un lato il forte export verso l’America, che la condiziona sui costi, e dall’altro l’attrito con la Cina per gli storici conflitti territoriali, che la mette in difficoltà non potendo contare su aiuti esterni. L’aggregato BRICS non prevede interventi su questo tema. Ognuno segue la propria politica.

Una nota importante: molti Paesi emergenti vorrebbero farne parte, ma attendono di capire come i membri attuali risolvano le loro contraddizioni interne. Quello che manca è un “moderatore” interno, neutrale. Da questo punto di vista il Brasile potrebbe giocare un ruolo chiave.

Se riuscissero a risolvere tali problemi, l’aggregato BRICS potrebbe allargarsi ulteriormente, senza ideologie territoriali o politiche. La Cina ne è un chiaro esempio: oltre ad aver investito moltissimo sulla qualità dei propri prodotti, cerca di non porsi in contrasto con le decisioni di altri Paesi, ad esempio europei.

Mi spiego meglio. L’Italia aveva sottoscritto un accordo di collaborazione sul progetto Nuove Vie della Seta, ma al momento del rinnovo lo ha disatteso. La Cina, pur delusa, non ha chiuso le porte, ma ha rilanciato con altri progetti, noti come Marco Polo.

Il caso Marò ne è un altro esempio: il nostro attrito con l’India sulla vicenda dei due fucilieri di marina accusati di omicidio ha aperto la strada alla Francia, che ne ha approfittato trovando accordi soprattutto nelle forniture militari. È un altro esempio dell’Europa come gabbia in cui regna disomogeneità economica.

Mi lasci dire che il Mercato Comune Europeo (MEC) era una soluzione migliore dell’attuale Unione. Abbiamo un parlamento, certo, ma le normative sono spesso troppo rigide. La politica energetica ci obbliga oggi ad acquistare petrolio dall’America a prezzi altissimi, mentre Cina e Russia hanno già siglato accordi e costruito gasdotti per condividere petrolio e gas.»

Allincontro di  Rio de Janeiro a sorpresa era presente anche la Turchia.

«Sì, la Turchia, che ricordiamo essere membro della NATO. Non proprio a sorpresa, la Turchia rappresenta uno di quei paesi che vorrebbero entrare a pieno titolo nella BRICS, ma per ora è solo partner. La sua posizione strategica lo rende un membro Nato fondamentale. Allo stesso tempo, si è distinto in mediazioni che l’Europa non è riuscita a gestire. Un caso su tutti: lo sblocco del grano proveniente dall’Ucraina, che la Russia aveva bloccato. Oltre ad altri tavoli di trattativa, la Turchia vuole dimostrare la sua importanza all’interno della BRICS.”

Per approfondire suggerisco di leggere l’articolo di Tiberio Graziani all’indirizzo:
https://www.vision-gt.eu/societa-italiana-di-geopolitica/russias-necessary-role-in-eurasian-stability-between-brics-divergences-and-unity/

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Nicola Gemignani

Marina di Carrara, il mare e una buona lettura, non chiedo altro. Amo l’estate e odio l’ipocrisia. Amo Sergio Zavoli, il suo libro “La notte della Repubblica” e la libertà. Ariete da generazioni (padre, nonna, nonno, zie), sono un nerd mancato.

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