IL GRANDE FIUME
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È IL GRANDE FIUME, IL PO.
Lo racconto prima che sia tardi e nella speranza che altri si incuriosiscano.
Sabato 7 giugno, quasi per scommessa, ho partecipato all’evento ‘Il Po come set cinematografico’ ; era il quarto appuntamento di ‘In mezzo scorre il fiume’, rassegna ideata e curata da Officina Teatrale A_ctuar, presentato ed ospitato da Franco Ferioli, film maker, writer, volunteer, advisor e sicuramente altro, ma non certo uno snob dei salotti buoni.
Il tema, una vera chicca cult : “Safari fotografico” sulle orme del cinema di Michelangelo Antonioni – per scoprire paesaggi nascosti e il loro legame con il regista ferrarese”.
Un appuntamento che solleticava la mente e affascinava la curiosità di ferraresi imprevedibili.
Il luogo non era una sala per le conferenze o un teatro, ma un vecchio cinema degli anni Trenta nel piccolo centro di Ravalle, paese che si adagia vicino alle rive del Po.
Da qui, poi, un itinerario tra argini, golene e sentieri di questa parte del fiume.
La macchina fotografica a tracolla, per una artistica o obiettiva documentazione, ribadiva l’aura del ricercatore storico, dell’artista e del ruolo di testimone dei partecipanti.
Non proprio così per me. Si produce, non voluto, un ribaltamento che sconquassa la comunicazione alta dei pensieri, della storia ufficiale, con la mia vita, le mie memorie ed il cuore.
Mi sono trovata in un clima amichevole, conviviale, famigliare, in cui la cultura e l’ospitalità stavano a braccetto con storie, leggende, antiche tradizioni e personaggi che tornavano a rivivere attraverso le suggestioni con le quali ci accompagnava Franco. Racconti ufficiali e quotidiani.
Arrivo a Ravalle in un pomeriggio afoso, in un luogo davvero improbabile che, se non lo sai, non lo trovi, mi viene offerto subito un “ bikjér ”, un conforto più o meno alcolico, a scelta. Franco è l’anfitrione e si prodiga in tutti i modi per farci sentire a casa, come tutte le arzdore è indaffaratissimo, ti porge sollecito ogni cosa con il sorriso e la premura. “Dai, dai che ce n’é ancora” purasà par òñùŋ.
Franco ha comprato casa qui insieme al vecchio cinematografo annesso che scoprì; entrarci è un tuffo nel passato e proprio anche un po’ nel passato della tua storia.
Ci sono dei biliardini, irresistibile non giocarci. Alcuni palchi per guardare il cino sono vecchi calessi che vengono presi d’assalto dalle coppie più giovani, che per quei posti cosi scomodi e romantici ci vuole un fisico atletico. Intorno foto e oggetti d’epoca, drappi di stoffe come coreografia.
É un posto che respira, vive e che diventerà “grande”.


Dopo il ristoro, qualche spiegazione, qualche aneddoto, la proiezione del vecchio film in bianco e nero con un sonoro assolutamente imperfetto ed autentico e sei contento come quando andare al cinema era un appuntamento importante di cui si parlava prima e dopo.
E i ricordi partono in una ricerca fatta di nebbia che si è dissipata e se li è portati con sè. Ho vissuto ma non ho trattenuto le cose della vita vicina al fiume. Ho lasciato che la vita di città mi rendesse estranea alle mie origini.
Man mano che cammino verso la barca sul fiume dove staremo in baracca, ascolto, guardo. Si risveglia la mia sopita appartenenza al Po.
Per un falso pudore, mi sono allontanata, estromessa, preferendo chissà quali promesse urbane.
Ricordo adesso, benissimo, lo zio Michele, maglia di lana grezza e spessa, i bragoni rappezzati tenuti dalle bretelle, la barba sfatta, ispida. Taciturno mi salutava, bambina, solo con un gesto e poi spariva.
Del Po, sicuramente quello di Pescara di Francolino, sapeva tutto, la sua era una convivenza consapevole e rispettosa. Quali pesci, quando le secche, quando averne paura, quando prendere come doni preziosi quello che l’acqua portava, il suono di ogni singolo uccello, le abitudini di ogni singolo animale, l’utilità di ogni singola pianta.
Michele non parla, sembra vecchissimo, è curvo ma ha una forza di toro, mani sapienti, intelletto fino, è una squadra di meccanici, ingegneri, artigiani tutta al completo. Lui vigila come una sentinella e come una guardia forestale custodisce l’argine del fiume.
La sua sapienza, la sua riluttanza alle consuetudini degli uomini ne facevano un mito mai irriso però, metteva soggezione. Così selvatico e così “strambo”. Quanta saggezza, quanto rispetto per la natura. Ad ogni stagione sapeva cosa era meglio fare o non fare. Usciva all’alba, viveva in maniera frugale, non chiedeva, sapeva quello di cui c’era necessità per le bestie, per la famiglia, anche per il fiume e i suoi abitanti, e lo faceva. Al tramonto riposava.
Adesso sono sulla barcona di Franco, guardo l’acqua che scorre, è davvero grande il fiume! Il sole che tramonta, mi godo il silenzio ma di più le storie di alcuni, gli autoctoni, che sono la memoria di questo luogo, delle persone e delle loro vicende, delle case e del loro destino negli anni. Compreso il cinema.
Ed è in questo momento che la sfuggevole figura dello zio si ripresenta e mi vergogno. Niente, non ho trattenuto niente di questa mia antica appartenenza alla gente del Po. In mezzo corre il fiume e io l’ho dimenticato e ho scelto la città. Non ho capito, non ho imparato.
Vivo adesso sull’argine destro del Po di Primaro, ne sono stata attratta, un colpo di fulmine. Pensavo fosse il caso, forse invece un richiamo, un ritorno inconsapevole alle origini.
L’oblio con cui ho seppellito alcuni valori e una certa cultura, il mio tradimento alla mia gente rimangono imperdonabili.
Ci è stata data, per fortuna, la possibilità di recuperare e rimediare almeno in parte. Per questo il 18 luglio sarò a Porporana – Bosco Vecchio, a ballare i balli della tradizione popolare, ad ascoltare la musica delle feste. Sarà una danza con gli spiriti che abitano il grande fiume e con i miei antenati.
“In mezzo scorre il fiume” vuole ricordarci di questa presenza così preziosa, di questo “grande padre” che appare dormiente fintanto che non si secca o si ingrossa nel suo letto. Un fiume che scorre indisturbato, negletto, da cui la gente si è allontanata, dove sono sparite le balere, le feste, le spiaggette con i lidi e i suoi lavoratori. Ci piacerebbe che il fiume fosse rimesso al centro, che diventasse nuovamente un luogo di festa collettiva e di ritrovo all’aria aperta”.
[da “Spettacoli, itinerari e incontri lungo le sponde del grande fiume a cura di Officina Teatrale A_ctuar APS].
In copertina: Po di Ravalle al tramonto.
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Bellissimo pezzo.