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TERRA 1
Le potenzialità generative della creta nella Psicoterapia Espressiva integrata all’Arte

Irpinia, scultura nella piazza di Conza Nuova, costruita dopo il terremoto del 1980

Nella stanza dei materiali un cartello dice “la terra può essere rigenerata con l’acqua”. Mesi più tardi ci sarà un’altra avvertenza d’uso: “La terra indurita può essere scolpita”.

Penso a mia madre che desiderava essere sepolta sotto terra perché “ questo è il processo naturale delle cose”, l’unico luogo che potesse accogliere il corpo.

L’anima, per lei che era credente, era un altro discorso.

Penso alla mia scoperta della creta tanti anni fa.

Maria Belfiore mi propone di manipolare un po’ di terra, così mentre parliamo, le mie mani si muovono accompagnando le parole, le pause, i ricordi, il dolore.

Le dita piegano, pressano, lisciano la terra e la terra asseconda i gesti e si piega, si comprime, si leviga.

Dal niente, nasce la mia prima scultura.

Oggi, so e posso dire, che non era dal niente. Quel mucchietto di terra conteneva già, in attesa, un potenziale generativo. L’intervento delle mie mani aveva liberato una forma tra tutte quelle possibili.

La terra si era permeata delle mie emozioni, docile e resistente a un tempo….

L’incontro con la creta ha dato origine ad una ricerca che mi ha messo in contatto con parti profonde e oscure della psiche. Ho avuto il riscontro che il toccare con mano la terra risveglia sentimenti arcaici e fondamentali.

Il mistero che vorrei svelare riguarda la potenza della creazione. Quel momento di pura creatività per cui da una massa scaturisce una forma che non è solo una immagine estetica, ma è un concentrato di emozioni, di energia, di vita.

Attraverso la creta, le mani e con esse il corpo che partecipa, la mente, immersa in una dimensione intima, atemporale e infinita, inizia un moto naturale, spontaneo, estasiato che genera l’opera artistica.

Solo successivamente, di fronte al proprio “capolavoro”, l’artista può guardarlo attentamente e cercare di decodificarlo.

L’argilla è un materiale concreto, tangibile che permette di usare la tridimensionalità. L’oggetto è un oggetto vero, non solo una rappresentazione, può essere esperito da più punti di vista, il fruitore vi può girare intorno, occupa uno spazio e questa valenza rafforza il senso di potenza.

La terra richiama il significato del procreare e quindi si collega imprescindibilmente con l’archetipo materno.

La dea Iside, statuetta risalente al III o IV secolo a.C. rinvenuta a Nag Hammadi, Egitto

Inno a Iside
Perché
io sono colei che è prima e ultima
Io
sono colei che è venerata e disprezzata,
Io
sono colei che è prostituta e santa,
Io
sono sposa e vergine,
Io sono madre e figlia,
Io
sono le braccia di mia madre,
Io
sono sterile, eppure sono numerosi i miei figli,

Io sono donna sposata e nubile,
Io sono Colei che alla luce e Colei che non ha mai partorito,
Io
sono colei che consola dei dolori del parto.
Io
sono sposa e sposo,
E
il mio uomo nutrì la mia fertilità,
Io
sono Madre di mio padre,
Io
sono sorella di mio marito,
Ed
egli è il figlio che ho respinto.
Rispettatemi
sempre,
Poiché
io sono colei che Scandalo e colei che Santifica.

Innumerevoli sono le rappresentazioni della Dea Madre, del suo culto, del suo simbolismo e molto di tutto ciò che è legato al suo archetipo rimane e si svela. Pachamama, ad esempio, in Argentina, è oggetto di venerazione ancora oggi. Ritornata in auge per le questioni ecologiche ambientalistiche, nel Sud del mondo non ha mai smesso di essere celebrata con riti e feste, convivendo con altre tradizioni popolari e religiose.
Ma è presente anche nel lavoro artistico e nel processo terapeutico quando la terra è lo  strumento privilegiato per esprimersi.

Pachamama
Donna, terracotta di G. Tonioli

Contenitori

Contenitori di diverso tipo di diversi pazienti

Ogni contenitore costruisce un confine tra interno ed esterno, tra dentro – ciò che è contenuto- ed esterno – ciò che racchiude. Creare dei confini è già un modo per strutturare l’esperienza e organizzare il mondo interiore.

Il Lacrimatoio

“Il lacrimatoio”, terracotta dipinta di A., 2020

A. non piange, anzi racconta le cose drammatiche vissute intercalandole con bellissimi sorrisi. “la sera, mi dice, quando nel silenzio e nel buio penso a quello che sto vivendo mi si inumidiscono gli occhi, ma, via via ! ci sono i figli e non bisogna farsi prendere dalla tristezza. Già alla prima telefonata mi aveva colpito la leggerezza e l’ironia con la quale mi accennava a traumi irreversibili che avevano sconvolto la sua vita. Ho pensato siamo lontane da una elaborazione che passa anche attraverso la rabbia e il pianto.

Nel tempo, approfondiamo la nostra relazione terapeutica.

Oggi sento che è il momento di usare la terra. Ne prende poca, comincia la sequenza dei gesti più consueti e spontanei, alla fine, il suo contenitore plasmato nell’incavo della mano decide che deve diventare prezioso. Pensa ai lapislazzuli e all’oro una combinazione elegante che le ricorda l’infanzia passata in Egitto e agli oggetti sacri. Non sa dire di più ma, al momento di salutarci, si ferma come presa da una illuminazione. Mi ricorda un lacrimatoio. Sorride.

Sin dall’antichità esistono i lacrimatoi, dei contenitori nei quali si raccolgono le lacrime. Il raccogliere le lacrime è giustificato dal fatto che esse segnano sempre un momento di passaggio e di rinnovamento che segna la fine di qualcosa, dunque aiutano a accettare una trasformazione.

La seduta successiva mi riferisce di aver pianto quel giorno stesso, ma proprio con tanto dolore. Penso gocce che testimoniano un disgelo, siamo arrivati al momento in cui può avere compassione di sé e autorizzarsi al dolore, alla perdita, alla paura.

Picasso, Vase deux anses hautes, 1953

Nidi, caverne, grotte

Sono spesso questi i temi preferiti dei bambini, ma compaiono di frequente anche nelle opere adulte. Partendo da una sfera compatta di argilla si arriva ad una forma che somiglia ad un trullo o un igloo, forme molto antiche di abitazioni umane. Spesso vi si arriva anche mediante lo scavo modellando un cumulo di terra e iniziando a forarlo alla base. Non è difficile pensare a queste costruzioni: case grotte tane nidi come rifugio, metafora del primo contenitore – l’utero.

Richiamano l’esperienza di “luogo sicuro”, privo di pericoli, il primo quello del ventre materno, e suggeriscono la ricerca, il desiderio, la necessità di trovare una nuova forma di contenimento per sé, fondamentale per un senso di sicurezza, protezione, appartenenza.

Essendo spazi che, oltre che accogliere, permettono il movimento opposto dell’andare fuori, sono anche simboli della nascita e riproducono l’uscita dalla vagina, o nelle prime esperienze infantili, l’andare fuori per la esplorazione e la conquista del proprio posto nel mondo.

A questo proposito, interessante a mio avviso è stata l’esperienza di un gruppo sul tema del trauma. In quella occasione avevo chiesto ai partecipanti di creare un’ immagine di ciò che intimamente poteva essere il proprio personale “luogo sicuro”. Tra le tante rappresentazioni realizzate, molte erano state fatte privilegiando, tra i vari materiali a disposizione, proprio la creta, e molte di esse erano grotte, contenitori o allegorie più esplicite a riferimenti materni.

La grotta, o il ventre materno, scultura di S. donna 33 anni
Bambino che manipola la creta per gioco
La mano, realizzata da G., uomo 49 anni

Buchi, varchi, passaggi

Sono anch’essi prodotti che spesso vengono realizzati intuitivamente. Nel concreto svolgono la funzione di una possibilità di attraversamento, di una situazione mediana tra due stati, tra due dimensioni.

Si potrebbe dire che in terapia sono la metafora del passaggio da una situazione conosciuta ad una ignota, da una vecchia ad una nuova. Corrisponde al processo trasformativo e non appare molto differente dalla simbologia delle molteplici morti e rinascite che la Terra comprende in sé nel suo ciclo vitale.

Pizze, focacce, torte

Sono le forme più facili e spontanee durante la manipolazione e rimandano in maniera molto diretta al cibo e al nutrimento.

La terra viene schiacciata, premuta, allungata. Si ripetono gesti antichi: quelli delle donne che impastano e trasformano i semi della terra in cibo.

Donna, 65 anni, pensionata
Uomo, 35 anni

I lavori presentati nelle figure sono decorati, impreziositi, ricchi. La cura e l’attenzione con cui sono stati realizzati suggeriscono l’ amorevolezza e la sollecitudine per l’ oggetto di tale dedica.

C’è molto di rituale in questo.

Conoscendo più da vicino la Terra come potenziale Madre che genera e protegge mi sono imbattuta però nella sua duplice natura in cui conflitti antichi vengono riproposti e cercano una conciliazione. La Madre e la Terra possiedono ambivalenze che sono imprescindibili e che permangono nei luoghi più reconditi della nostra mente antica: l’istinto di vita Eros, e l’istinto di morte Thanatos, (Freud).

Ma ciò sarà argomento di un prossimo secondo articolo sulla Terra.

In copertina: Albero di creta, rifugio di piccoli animali, realizzato da un giovane paziente.

Per leggere gli  altri interventi  della rubrica L’Arte che Cura di Giovanna Tonioliclicca sul nome della rubrica o su quello dell’autrice.

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Giovanna Tonioli

Giovanna Tonioli da molto tempo si occupa di Dipendenze Patologiche nel servizio pubblico. A lungo, come educatrice, ha pensato di fare uno dei mestieri più belli perchè coraggioso, avventuroso, “stupefacente” come le storie delle persone. Il battesimo lo deve a Marco Cavallo e, sull’onda del pensiero della Psichiatria Democratica, le piace abbattere le porte chiuse e lottare contro tutte le forme di stigma; è testimone delle più svariate umanità. Si è laureata in Psicologia clinica, si è specializzata presso l’Istituto di Psicoterapia Espressiva di Bologna ed è socia di Art Therapy italiana. Lavora a Ferrara. L’incontro con l’arte terapia è stata una svolta importante sia personale che professionale – ma Marco Cavallo lo sapeva già – e così come libero professionista svolge l’attività di Psicoterapeuta Espressiva, dove l’arte, la creatività e l’estetica si sposano con la psicoanalisi, le neuroscienze, la mente con il cuore delle persone. Una terra di mezzo, uno spazio transizionale in cui le parole possono incontrarsi con tutte le forme espressive, il rigore con la curiosità e il gioco, la disciplina con l’immaginazione. Giovanna è anche un mezzo (e sottolinea “mezzo”) soprano, una sfocata fotografa, un’artista naif. Vive in provincia di Ferrara, precisamente alla Cuccia, una piccola casa in uno sperduto borgo di campagna, con i suoi cani che nel tempo si avvicendano, ma che, sempre, sono a loro modo grandi maestri di vita.

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Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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