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Mi stupisco da me: da un mesetto a questa parte leggo pochissimo. Non libri di narrativa, non articoli di quotidiano, o meglio poco di tutto. Sento le notizie al telegiornale, vedo trasmissioni culturali che parlano soprattutto di luoghi di vacanza. Come se avessi messo in stand by il dna.

Eppure i libri si accumulano sul tavolo dello studio, li ho comprati girando tra Ferrara e Bologna. E molti titoli costellano le chat che intrattengo.

L’ultima in ordine di tempo, più preziosa che mai, è quella con gli ex studenti di una classe del Liceo Classico, allora sperimentale, che ho avuto per tutti i cinque anni del loro corso.

Una classe uscita nel 1996, che ora si è ritrovata per festeggiare i venticinque anni dal diploma. Che serata. A parlare dei vecchi tempi, è questo che si fa in circostanze come questa, a ricordare insieme e a svelare gli uni agli altri retroscena e percezioni soggettive degli anni del liceo, dei professori e del  bel rapporto tra compagni di classe, di me che ho rappresentato “l’Italiano” dal primo giorno di liceo fino all’esame di Stato.

Una empatia che, mi ha sorpreso, ci ha uniti. Una empatia per la lettura, di cui mi hanno considerata la responsabile, dopo tanti anni. Che responsabilità meravigliosa mi sono presa.

Che soddisfazione leggere i loro consigli su romanzi, soprattutto di autori stranieri, che ancora non conosco. La vita è stata lunga abbastanza da invertire i ruoli: ora sono io che cito e consiglio qualche titolo, ma ne ricevo da loro molti di più.

Prendo dalla pila dei nuovi volumi il catalogo del Festivaletteratura 2022. L’ho comprato a Bologna, non potendo andare di proposito a Mantova. Per me è meglio avere tra le mani la versione cartacea: posso scrivere appunti e creare collegamenti tra gli eventi che mi interessano. Posso leggere i contributi d’autore che mancano nella edizione on line.

Già nelle prime due giornate di mercoledì 7 e giovedì 8 settembre ho evidenziato molti eventi che mi interessano. Mantova mi fa fare sempre scorpacciate letterarie e culturali in senso ampio, questa ventiseiesima edizione non sarà da meno. Quando vado al Festival ho il respiro largo.

Il catalogo però è una rassegna di eventi e letture, mentre io voglio decidermi a entrare nei testi.

Plano allora su un romanzo breve che ho letto in luglio, Il giorno prima della felicità di Erri De Luca [Qui], e su un’opera di George Orwell [Qui] che presto leggerò, Giorni in Birmania.

Da Erri De Luca, che ho sentito proprio a Mantova in un paio di occasioni, mi aspettavo questo linguaggio scabro. Un narrare la vita povera del protagonista con la profondità e la secchezza espressiva di Fenoglio: “Non mi è mancato quello che spetta a un’infanzia, una famiglia. Avevo fatto senza, come tanti nel dopoguerra… Avevo lo stanzino, la scuola, il cortile. Avevo la minestra portata dalla donna di servizio di mia madre adottiva”.

Nella Napoli popolosa degli anni cinquanta cresce e si fa uomo “’a scigna”, la Scimmia, il ragazzino smilzo e pieno di sogni, che don Gaetano alleva nella portineria di un grande palazzo, come se fosse figlio suo.

Nel crescere il protagonista studia e ama la scuola, si innamora di una bambina e poi della donna, in cui la bambina si trasforma, abitando al terzo piano del palazzo; conosce la carne e il sangue, si scontra con il fidanzato camorrista della sua Anna e poi è costretto a partire su una nave che lo porta lontano da Napoli. La sua Napoli, la città che don Gaetano gli ha fatto amare, come si ama la propria identità.

La Scimmia potrebbe essere uno dei piccoli che nel bel romanzo di Viola Ardone [Qui], Il treno dei bambini, lasciano Napoli per allontanarsi dalla miseria e vivono per alcuni mesi presso famiglie del Nord Italia, che li ospitano, li curano e li fanno andare a scuola.

Invece il nostro protagonista pare avere tutto l’essenziale negli anni dell’infanzia e solo nella adolescenza lascia l’Italia per l’Argentina: ci deve pensare il mare a pareggiare i conti per il fatto di sangue in cui è rimasto coinvolto. Sarà don Gaetano a fargli sapere quando potrà tornare.

Un bel libro, coinvolgente. Letto nelle soste all’aeroporto di Dubai, nel viaggio di andata ad Hanoi e poi in quello di ritorno. Letto pensando all’Italia e avendo i piedi su un suolo straniero. Letto e compreso come meglio non avrei potuto.

Dovevo andare così lontano per leggere due frasi-destino.  La prima: c’è una generosità civile nella scuola pubblica, gratuita che permetteva a uno come me di imparare…La scuola dava peso a chi non ne aveva, faceva uguaglianza”. In questa direzione mi sono mossa insegnando, sempre.

L’altra: “lo scrittore dev’essere più piccolo della materia che racconta. Si deve vedere che la storia gli scappa da tutte le parti e che lui ne raccoglie solo un poco. Chi legge ha il gusto di quell’abbondanza che trabocca oltre lo scrittore”. Ecco, è un’avvertenza per i libri che leggerò e per ripensare in questi termini a quelli che ho letto e apprezzato.

Orwell, d’altro canto, mi aspetta dalle pagine del suo romanzo sulla Birmania degli anni venti, in cui visse come membro della polizia coloniale. Non so molto altro di questa storia, se non che l’autore vi trasfonde il proprio amore per l’Oriente e la satira sferzante contro l’ingiustizia, che dominava i rapporti sociali nelle colonie.

Visto il Vietnam, voglio capire meglio come è stata la penisola indocinese e come è. Anche se la luce che mi arriva da un grande scrittore come Orwell è come quella che arriva da una stella talmente lontana da noi, che impiega anni e anni per raggiungere la terra.

Mescolare le impressioni che mi ha lasciato la parte est dell’Indocina, in quella lunga S che è il Vietnam, con la parte occidentale ex birmana che oggi ha nome Myanmar. Verificare se ho saputo leggere anche i lasciti del suo passato. Ridare spinta alla spirale e sentire che il dna si muove, in questo agosto che prima ribolliva e ora si è ingozzato di pioggia.

Indicazioni bibliografiche:

  • Erri De Luca, Il giorno prima della felicità, Feltrinelli, 2009
  • George Orwell, Giorni in Birmania., Mondadori 2020 (prima edizione inglese 1934)
  • Viola Ardone, Il treno dei bambini, Einaudi, 2019
  • Catalogo del Festivaletteratura, Mantova 7-11 settembre 2022 , Arti Grafiche Castello – Viadana

Per leggere gli altri articoli e indizi letterari di Roberta Barbieri nella sua rubrica Vite di cartaclicca [Qui]

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Roberta Barbieri

Dopo la laurea in Lettere e la specializzazione in Filologia Moderna all’Università di Bologna ha insegnato nel suo liceo, l’Ariosto di Ferrara, per oltre trent’anni. Con passione e per la passione verso la letteratura e la lettura. Le ha concepite come strumento per condividere l’Immaginario con gli studenti e con i colleghi, come modo di fare scuola. E ora? Ora prova anche a scrivere

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Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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