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Metti tre persone: un allenatore di calcio, un esperto di lingua inglese e un massaggiatore sportivo, aggiungi sullo sfondo l’equilibrio precario della scena politico-economico-sociale mondiale, inserisci violenza e sopraffazione, persecuzioni e minacce. Metti le ali ai piedi dei tuoi personaggi e guardali fuggire dai loro Paesi, lasciandosi alle spalle dei figli che non sono ancora nati, fratelli che non vedranno mai più, madri e mogli che dovranno imparare a vivere con il dolore dell’assenza. Non ci tiri fuori la sceneggiatura di un film, no. Il risultato è la vita spezzata di tre uomini, di diversa provenienza, diversa età, diversa estrazione sociale, che hanno dovuto rimettere insieme i cocci delle loro vite in Italia, a Ferrara, spinti solo dalla speranza di sopravvivere.
Ci stiamo abituando ai barconi colati a picco, alle salme ricomposte sulle spiagge, ai camion stipati di teste, rintontiti dalle immagini che la televisione e i media ci sparano addosso, a volte indignati da queste, altre dalle parole della politica che non sa affrontare i fatti, cercando soluzioni a problemi che non riesce o non vuole sviscerare.
Mentre noi ci addoloriamo, però, la Storia si svolge sotto i nostri occhi e noi non la ascoltiamo: sono centinaia di migliaia i migranti che si muovono dal loro Paese d’origine verso l’Europa, centinaia di migliaia di storie che non vengono e verranno mai raccolte.

A dare la parola ad alcuni dei protagonisti di queste vicende ci ha pensato a Ferrara il think tank Pluralismo e Dissenso, in collaborazione con la cooperativa Camelot, che la scorsa settimana ha portato a palazzo municipale Aboubacar Traore, Alagie Fadera e Waseem Hedayat, i personaggi della nostra immaginaria sceneggiatura, giunti in città negli anni passati come richiedenti asilo e che hanno scelto questa città per viverci allorché hanno ottenuto lo status di rifugiato.
Il report dell’incontro – dal titolo “Racconti dell’Inferno: storie di rifugiati e richiedenti asilo” – è disponibile sul sito della cooperativa Camelot, mentre le testimonianze saranno caricate presto sul sito pluralismoedissenso.altervista.org, a disposizione di chi volesse ascoltarle dalla viva voce dei protagonisti.

Mario Zamorani, organizzatore del think tank Pluralismo e Dissenso, nell’aprire l’incontro (il primo di tre appuntamenti) ha spiegato: “Se io lancio invettive contro i migranti, tutti i media ne parleranno. Se invece faccio accoglienza, non fa rumore, perché la generosità non è urlata, per questo oggi abbiamo pensato di dar voce a chi fa accoglienza, ma soprattutto a chi la riceve, perché questi soggetti, pur essendo al centro del dibattito mondiale, ne sono quai sempre esclusi”.

Aboubakar è nato in Costa d’Avorio ed è arrivato in Italia nel 2008. “Nel mio paese ero allenatore di calcio ad alti livelli, ma l’ho dovuto lasciare perché ero anche responsabile della sezione giovanile di un partito inviso al governo, che ha iniziato a perseguitarmi, uccidendo miei compagni e membri della mia famiglia. Sedici anni fa ero seduto in una platea al posto vostro, nel mio Paese, ad ascoltare le storie dei ragazzi della Liberia o della Sierra Leone che fuggivano dai loro Paesi, perché questa era l’attività che svolgevamo. Ero come voi ora.
Nel mio Paese stavo benissimo, poi sono dovuto fuggire in Ghana, da lì in Mali, poi il mio partito mi ha fatto scappare durante la Coppa d’Africa tra il Ghana e l’Egitto, mi sono travestito da tifoso e sono riuscito ad arrivare in Tunisia, ma facevo fatica ad inserirmi, anche a causa del colore della mia pelle. Allora mi è stata offerta un’altra via di fuga, che passava dall’Italia per tornare in Africa, ma io non volevo tornare indietro, così, all’aeroporto di Roma mi sono consegnato alla polizia, chiedendo aiuto, e da lì è iniziata la nuova vita che mi ha portato a Ferrara.” . Qui Aboubakar è stato seguito dalla cooperativa Camelot che lo ha supportato in ogni passo necessario verso il riconoscimento dello status di rifugiato fino all’inserimento nel mondo del lavoro. “Ora faccio parte dell’Associazione italiana allenatori di calcio, ho anche fatto l’esame per la Uefa B a Coverciano.
Tre anni fa, mi hanno chiamato ad Amburgo, per allenare la squadra, ma alla fine non ho accettato. Qui a Ferrara alleno il San Luca, non posso fare cento metri che un nonno o un ragazzino non mi fermino per un abbraccio. Questo mi rende orgoglioso, io sono felice qui e ci voglio restare, poi però c’è anche l’altra parte della mia vita. C’è mio figlio che a settembre ha compiuto nove anni e che non ho mai visto. Nel 2010 ho perso mia mamma e non sono mai potuto andare sulla sua tomba. Non è facile rinunciare al legame col proprio Paese, al richiamo della terra dove sei nato, al calore dei tuoi affetti, sapere che forse non li rivedrai mai più.”

Alagie ha 21 anni, viene dal Gambia, ha studiato inglese e lavorava con suo padre in un’agenzia. “Aveva il progetto di realizzare una scuola, per questo ha avuto dei problemi con il governo, lo hanno portato in tribunale quattro volte, poi lo hanno arrestato.
Poi sono venuti a prendere anche me, per interrogarmi, e ho capito che, se non scappavo, per me sarebbe finita male. Nel mio Paese non c’è la democrazia, mi rendo conto che può essere difficile per voi capire la difficoltà che viviamo.
La prima tappa della mia fuga è stata la Libia, dove avevo trovato lavoro come installatore di impianti di aria condizionata. Ci sarei rimasto, il mio obiettivo non era venire in Italia, poi però a causa della guerra, anche lì la vita è diventata troppo pericolosa, e sono salito, come tanti, su un barcone, arrivando a Reggio Calabria, da lì mi hanno mandato a Ferrara, dove sono stato accolto presso la Città del Ragazzo. Ora qui mi sento al sicuro, ma non è facile vivere senza la mia famiglia, sono qui da solo, nel momento in cui sono arrivato, ho subito iniziato cercare di capire come tornare. Ma se torno, muoio”.

Waseem è pakistano e vive a Ferrara da 7 anni. “Sono di religione cattolica, mentre il mio Paese è a prevalenza musulmana. Mi sono laureato in fisioterapia, lavoravo in ospedale con grande soddisfazione, stavo molto bene, finché un giorno, il 13 febbraio 2008, sono andato in ambulatorio e ho trovato sulla scrivania una scritta in arabo, lingua che non so né leggere né scrivere. Ho chiesto a dei colleghi di tradurmela, loro l’hanno presa e l’hanno portata ai miei superiori. Poi sono tornati e hanno detto che c’erano ingiurie contro il profeta, che, per la legge 295c contro la blasfemia, sono punibili con la morte. Qualcuno aveva voluto incastrarmi: ho capito di essere in pericolo ed ho cercato rifugio in una chiesa, ma così mettevo i pericolo anche loro, allora con l’aiuto della comunità cattolica, ho cercato rifugio in Italia.”
Giunto nel nostro Paese, Waseem ha dovuto ricominciare da zero, non sapeva dove andare, non aveva soldi né documenti, non conosceva la lingua. “Riuscivo a dire solo ciao, perché l’avevo imparato nei film. Non so se capiate cosa vuol dire, non sapevo più nemmeno chi ero. Mentre fino a poco prima avevo tutto”. Dopo varie peripezie è arrivato a Ferrara, dove è stato accolto dalla cooperativa Camelot. La volontà e la speranza di tornare a casa non lo hanno mai abbandonato, pensava di non avere colpa di questo esilio, ma non accadeva nulla di quello che lui desiderava. “Sono stato male, però ho deciso di reagire ricominciando da quello che sapevo fare, dal mio lavoro. Il mio titolo non era riconosciuto qui, così ho iniziato a fare dei corsi come massaggiatore sportivo. Poi ho iniziato a lavorare per il Cus, ero di nuovo contento, ma ancora mi mancava il mio lavoro, così mi sono iscritto alla laurea in massofisioterapia. Quello che ho imparato da questa esperienza, è che se tu sei positivo, trovi persone positive. Ora faccio anche il massaggiatore a domicilio, ed è un grande passo avanti. All’inzio avevo paura di essere ancora perseguitato, ma ognuno deve uscire dalla sua paura, e adesso posso vivere in libertà.”.

I prossimo incontro di Pluralismo e Dissenso si terrà il 10 novembre alle 17 alla sala dell’Arengo. Il titolo scelto dagli organizzatori è “Non solo solidarietà: il migrante conviene” e interverranno Chiara Sapigni, assessora a Sanità, Servizi alla persona, Politiche familiari; Andrea Stuppini, collaboratore di lavoce.info e Girolamo De Michele collaboratore di Euronomade, moderati da Mario Zamorani. Per il terzo appuntamento, invece, non sono stati ancora definiti luogo e data ma il dibattito verterà sul tema “Le politiche sulle migrazioni: idee a confronto”.

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Ingrid Veneroso

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Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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