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Comincio da un fatto personale per poi andare oltre. Purtroppo mi chiamo Kraisky, ma non è colpa mia.

Dipende da colui che, dopo essere fuggito dalla Russia sovietica ancora bimbo, mi ha generato per poi lasciarmi in eredità il suo cognome. Il fatto di essere cittadino italiano nato in Italia da madre italiana, di non conoscere la lingua russa, di non avere le competenze né i contatti per svolgere attività di spionaggio e di non bere superalcolici non basta a dimostrare la mia innocenza.
Il sospetto incombe, e sono preoccupato per mio figlio. A volte i torti si pagano per generazioni, altre volte per millenni.

Quando, nonostante gli avvertimenti di Ponzio Pilato, uno che la sapeva lunga, gli ebrei decisero di far liberare Barabba al posto di Gesù, non potevano certo immaginare quanto quella leggerezza gli sarebbe costata cara. Possibile che stia accadendo lo stesso ai russi, anche a quelli sparsi nel mondo, per colpa di quel tale che si è impadronito dei palazzi del Cremlino?

I segnali di allarme non mancano, anzi, si stanno moltiplicando. A parte il caso personale – in fondo, direte voi giustamente, chi se ne frega del caso Kraisky –  va citato il prof. Nori, illustre slavista, che da Parma ha deciso di combattere contro la russofobia montante e ha raccontato diversi episodi significativi, tra cui quello clamoroso della proibizione di tenere all’università Bicocca un corso su Dostoevskij. “Puoi tenere il tuo corso – pare gli sia stato proposto – a patto di bilanciarlo con interventi mirati su uno scrittore ucraino a tua scelta. E’ una questione di pari opportunità.”
Ma c’è anche l’episodio della signora che a una partita di calcio del Parma ha urlato contro l’arbitro dandogli del russo e il caso della studentessa che si vergognava perché stava per laurearsi in lingua russa. Sempre in Emilia alla Fiera del libro per ragazzi sono stati esclusi, con alcune eccezioni, gli editori russi. Ancora il caso della blogger russa dissidente emigrata in Provenza che si è vista cancellare i contratti che aveva stipulato con ben cinque ristoranti per far conoscere ai clienti alcune prelibatezze della cucina russa. O della cancellazione del balletto Il lago dei cigni in programma in un teatro in provincia di Vicenza a causa di Tchaikovsky, compositore russo a quanto pare noto sostenitore di Putin. Nel mio piccolo mi è stato riferito di amici che si sono trovati in difficoltà e a dover giustificare l’amicizia con uno che portava un cognome che finiva in sky. Chissà che alla fine lo stesso Zelensky si ritrovi, nella confusione generale, nel calderone dei casi sospetti.

Non voglio parlare di politica e ancor meno di geopolitica, ma solo proporre un piccolo ragionamento su questi fenomeni, marginali ma neanche troppo, di scarsa intelligenza.
Premetto che sul comportamento imperialista e poi criminale del signore del Cremlino e dei suoi collaboratori nonché di parti consistenti dell’esercito russo, regolari o mercenari che siano, non possono esistere dubbi ragionevoli. Né sul fatto che già da tempo si tratta di un regime dittatoriale che da tempo manipola sfacciatamente la costituzione e l’informazione, così come è impossibile non provare rabbia e orrore per le stragi, gli stupri e le torture tipici delle guerre civili seguite all’invasione dell’Ucraina.

Ma appena fatta questa premessa, già vedo scattare il sorriso scettico e crudele del russofobo e sento aleggiare l’accusa di ipocrisia. Già lo sento dire: “Eccolo, il pistolotto di maniera del solito neutralista camuffato che sta per cercare giustificazioni all’aggressore, l’equidistante che si rifiuta di prendere la parte delle vittime e si nasconde sotto le gonne del Papa, il solito pseudopacifista che non vuole sostenere la resistenza ucraina e incomincia a cavillare ecc.”
Inutile spiegare che la politica è una cosa e la cultura un’altra, che i popoli non coincidono con chi li governa, che i sondaggi sotto censura e dittatura valgono poco e che un’opinione pubblica manipolata e ricattata non è degna di questo nome. Inutile dire, come hanno fatto Paolo Nori e Paolo Rumuz su alcuni quotidiani, che questa è una guerra totalmente fratricida, nella quale è molto complicato distinguere i russi dagli ucraini. “E’ come se noi che stiamo a Parma – dice ancora Nori – venissimo bombardati da Bologna’. O come se gli abruzzesi, dopo aver conquistato Rieti, da lì cominciassero a bombardare Roma.
Non conviene dire che questa guerra è assurda e lascia sgomenti, può sembrare un trucco per non prendere posizione. Certe considerazioni creano subito il sospetto di nascondere delle simpatie per quel signore di Mosca. Soprattutto se il tuo cognome finisce in sky o skij.

In questo clima di nazionalismo da stadio le distinzioni, le contraddizioni, gli approfondimenti, le complicazioni provocano irritazione in tutti coloro che hanno bisogno di verità univoche, semplici e immediatamente comprensibili da chiunque. Accade in Russia come in Ucraina e, pare, ovunque. “Tu da che parte stai?” si sente gridare da opinionisti di ogni genere e grado in preda a ostentata indignazione.
E tutti si sentono vittime di un abuso, chi lo è ma anche chi non lo è. Come se non sapessero che la politica internazionale non è altro che una gigantesca catena di abusi da parte di chi ha i mezzi per compierli. Come se non sapessimo, o almeno non intuissimo, che questo è un gioco tra USA e Cina per il predominio economico, un gioco sulla pelle di ucraini, russi e europei tutti. Fingiamo di essere tutti protagonisti di chissà che e non semplici comparse.
Magari mi sbaglio, ma non credo che qualcuno sia disposto a spiegarmi perché sbaglio senza prima ricoprirmi di insulti. In questo clima basta avanzare un dubbio o un ma e sei fottuto. Tentare di ragionare è diventato un lusso ad alto rischio.

Negli anni Trenta, in piena ascesa hitleriana, alcuni studiosi, filosofi e sociologi tra cui Adorno e Lazarsfeld, non a caso in gran parte ebrei, pubblicarono una serie di ricerche sul rapporto tra educazione familiare e atteggiamenti autoritari, studi che portarono alla pubblicazione nel 1950 di un grosso volume di quasi mille pagine intitolato La personalità autoritaria.

Cercherò di indicare nel modo più sintetico e semplice possibile le conclusioni (parziali) a cui giunsero. Le principali caratteristiche della personalità autoritaria sono: conformismo, sottomissione verso la cultura dominante e disprezzo per le minoranze, attaccamento ai propri pregiudizi, etnocentrismo e razzismo, grande preoccupazione per ciò che riguarda il sesso e per la propria immagine di virilità o di femminilità, tendenza a coltivare credenze superstiziose e ad affidarsi a teorie prive di basi scientifiche, ammirazione per il potere e la durezza, disprezzo verso opinioni divergenti, cinismo nei confronti della natura umana e aggressività proiettiva (l’Altro da me è minaccioso e pericoloso, perciò devo attaccare).

In breve una totale mancanza di intelligenza emotiva e di interesse per il dialogo con l’altro. Sembra un ritratto preciso della Russia di Putin e della cultura dominante in gran parte della popolazione russa. Molti di questi tratti sono presenti non a caso nella religione cristiano-ortodossa, la più dogmatica, settaria e nazionalista nella storia del cristianesimo, una religione comune ai russi come agli ucraini ma con diversi Patriarchi in competizione etnocentrica tra loro. Tra questi primeggia il famigerato Patriarca Kirill, consulente spirituale di Putin.

Un accademico russo di epoca sovietica ha scritto un saggio su Ivan il Terribile che non ha mai potuto pubblicare, né sotto Stalin né al tempo di Gorbacev, perché troppi capi politici temevano di somigliargli troppo o, in alcuni casi, di non somigliargli abbastanza.
Lo ha raccontato in un libro (pubblicato sotto il falso nome di Vadim Dubrovskij) dal titolo Orfani di Madre Russia in cui definisce la tanto celebrata anima russa come un concentrato di opportunismo vile, conformismo fanatico e occasionali esplosioni di inaudita ferocia, caratteri spesso scambiati per eroismo e capacità di sopportazione. Definisce i russi un popolo di oppressori megalomani desiderosi nel profondo di essere oppressi dal Piccolo Padre di turno. Insomma un esempio illustre di un popolo dominato da una personalità autoritaria intrisa di sadomasochismo su larga scala – viene da pensare alla gioia della sofferenza teorizzata anche da Dostoevskij -, una categoria applicabile agli individui come alla gran parte della popolazione. Se non che queste riflessioni riguardavano anche gli ucraini, che al tempo erano considerati un tutt’uno con i russi.

Ma il fenomeno interessante è che da tempo questo atteggiamento mentale autoritario si sta diffondendo in modo sempre più pervasivo nelle nostre traballanti democrazie occidentali.

Il bisogno di schierarsi prima ancora di capire bene, le opinioni di seconda o terza mano basate su informazioni di terza o quarta mano che vengono sbandierate come verità granitiche, l’insofferenza verso chi tenta ragionamenti più articolati, la disonestà intellettuale da molto tempo dilagante, l’identificazione dell’opinione con la persona con susseguente ostracismo, l’impoverimento della comunicazione sociale e la manipolazione dell’opinione pubblica attraverso tecniche di marketing sono diventate gli ingredienti basilari della comunicazione di massa. Insieme a una mole di informazioni incontrollabili e al conseguente dilagare di tante non-verità.

In sostanza, stiamo prendendo in prestito dalla Russia e dai suoi governanti e dalle dittature in genere le stesse modalità propagandistiche, dogmatiche e  intolleranti di comunicazione e di ragionamento contro cui diciamo di combattere in nome dei ‘valori occidentali’. Nei fatti, il contraddittorio non viene più visto, come nella migliore tradizione filosofica e scientifica dell’occidente, come mezzo per verificare la plausibilità di un’ipotesi o di un’opinione, per avvicinarci progressivamente a una verità complessa e problematica, spesso parziale, sfuggente e paradossale, destinata a essere condivisa pubblicamente.

Il dibattito odierno nei paesi occidentali somiglia sempre più alla propaganda che viene da est. Naturalmente da noi non si va in galera per reati di opinione o si finisce avvelenati se si parla male del governo, ma per quanto tempo sarà ancora così? Quando la mentalità e la personalità autoritarie, la violenza verbale, lo schematismo e il disprezzo per l’altro si diffondono in maniera così contagiosa tra la popolazione, quando una logica pseudomilitare carica di odio a priori si sovrappone al ragionamento politico è legittimo aspettarsi il peggio.

Ecco perché, prudentemente, ho iniziato le pratiche per prendere il cognome di mia madre, un bel cognome napoletano al di sopra di ogni sospetto.

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Sergio Kraisky


Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno. L’artista polesano Piermaria Romani si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE
di Piermaria Romani


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