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Giornata della memoria il 27 gennaio: quel giorno nel 1945 è liberato il campo di concentramento di Auschwitz, estrema conseguenza di un pensiero di morte, coerentemente teso fino al genocidio.
In Israele c’è un giorno dedicato, Yom HaShoah, sempre il 27, ma del giorno di Nissan. Per la differenza con il nostro calendario cade in aprile o nei primi giorni di maggio. Si era pensato al 15 di Nissan (rivolta di Varsavia 19 aprile 1943) scartato perché coincidente con l’inizio delle festività pasquali. La giornata internazionale – senza nulla togliere alla straordinarietà della Shoah – è dunque memoria di ogni sterminio.

Importante la ricorrenza in questo periodo in cui più evidenti si fanno tendenze naziste, anche nel nostro Paese. Da tempo le indica Giuliano Pontara, amico della nonviolenza (e mio) e massimo conoscitore di Gandhi. Così, più o meno, le riassume: Mondo, teatro di una spietata lotta per la supremazia; Diritto assoluto del più forte, Politica libera da ogni vincolo morale Suprematismo, Disprezzo per il debole, Violenza glorificata, Obbedienza assoluta, Dogmatismo fanatico. Importante è nel nostro Paese dove il fascismo, padre del nazismo, ha avuto origine. Circostanza dimenticata o sottovalutata, magari accompagnata dal richiamo al vasto sostegno popolare conseguito dal regime. Come se questo non comportasse, proprio perciò, maggiore attenzione alla situazione che si profila. Intanto il dannunziano Vittorio Sgarbi, molto ascoltato dagli amministratori di Ferrara, propone una mostra e l’intitolazione di una strada o piazza in onore di Italo Balbo, squadrista e quadrumviro. Non mi pare fuori luogo pensare a quando il fascismo ha mosso i propri sanguinosi passi, anche nella mia città, giusto cento anni fa.

Nella documentata “Inchiesta socialista sulle gesta dei fascisti in Italia”, pubblicata nel giugno del 1921, trovo a Ferrara, nel solo mese di gennaio: il 3 Alfredo Brugnoli è aggredito e bastonato da una trentina di fascisti; il 10 è la volta di Alfredo Brugnoli (che ho ben conosciuto) salvato dall’intervento di compagni e, per una volta, dalle forze dell’ordine; il 18 a Gaibanella squadristi bastonano operai che cantano inni proletari; sempre il 18 aggressione a Giacomo Matteotti, tafferugli tra fascisti e socialisti e socialisti arrestati; il 19 un fornaio che canta Bandiera Rossa è fatto segno di revolverate e ferito a una gamba, il vice commissario perquisisce lui e i suoi compagni. fornai pure loro, nessuno è armato, nessuna ricerca dei responsabili malgrado le indicazioni; il 20 l’assessore comunale Autunno Ravà è insultato e provocato, l’intervento di numerosi compagni evita il peggio; sempre il 20 Matteotti uscendo dall’ospedale, dove ha fatto visita a un operaio ferito, è aggredito a sassate, che colpiscono non lui ma operai accorsi; ancora il 20 a San Martino bastonatura del capo lega; il 23 sempre a San Martino ferito da una revolverata il compagno Fioravante Bernagozzi; ancora il 23 a Cona squadristi assaltano la Camera del Lavoro con scambio di revolverate e due fascisti feriti, i carabinieri arrestano 15 leghisti; il 24, giorno successivo, i fascisti tornano a Cona e incendiano la Lega; sempre il 24 incendiano pure la Lega di San Martino; ancora il 24 a Denore sono feriti cinque operai a revolverate, due gravemente; il 26 è incendiata nella notte la Lega di Fossanova; ancora il 26, nella tarda serata, a Cona una bomba è scagliata contro il Sindacato operaio. Poi sarà peggio, fino alla Marcia su Roma.

Così Matteotti, su  La Lotta di Rovigo del 7 gennaio 1922, commemora i trucidati antifascisti del vicino Polesine: Giù il cappello, signori della borghesia! Sono i nostri poveri compagni che vi guardavano, signori della borghesia! Giù il cappello, e guardateli pur voi questi poveri, che senza odio vissero e nell’angoscia della morte non seppero odiare. Questa è la pagina del ricordo e il ricordo nella nostra umana dottrina è sinonimo di amore. Noi ricordiamo i morti per amore dei vivi, non per odio ai carnefici. Se i morti ci lasciarono un pegno, esso fu di spargere il bene per quelli che rimangono.
Signori della borghesia, guardate i nostri morti! Li uccideste voi, ma sono nostri, guardateli e, se potete, dalla luce dei loro occhi imparate ad amare, ma non li toccate. Essi furono uccisi da voi; ma noi li seppelliremo. Voi apriste le fosse, noi le ricopriremo di fiori; perché li uccideste? Furono uccisi perché vollero essere fra i primi a dire la parola dell’unione, della buona battaglia incruenta in nome dell’Ideale. Furono uccisi, perché alzarono il capo dalla terra e guardarono in faccia il signore. Perché dissero: «Siamo legati alla gleba che amiamo, ma non siamo servi del nostro simile». Non per altra ragione ebbero il cuore trafitto, il cranio spezzato, le povere carni martoriate.
Ognuno cadde presso la sua casa, perché una macchia di sangue restasse sulla soglia e creasse, non il vendicatore, ma il figlio della vittima, ma il successore al posto di combattimento lasciato vuoto dal padre. Ogni vittima è di un paese diverso, perché ogni paese aveva fatto la sua battaglia e perché ogni paese avesse il suo martire. Così vollero i signori della borghesia, per punizione del servo che volle essere uomo e non pensarono che la loro bieca volontà crea uomini d’acciaio.
Dormite in pace, morti gloriosi! Nessuno vi tocca. Altri morti girano per le contrade del Polesine e d’Italia in attesa d’essere vivi. Risorgete in ispirito con loro. Se apriste, gli occhi, non vedreste che rovine. Tante rovine! Lasciate che vi liberiamo le sedi ove parlaste, che vi liberiamo la terra ove lavoraste. I morti che girano, vi ripetiamo, stanno per lasciare la veste del lugubre silenzio, attendete!
Voi non odiaste: amaste soltanto. Vi sarà resa tutta la libertà, tutto l’amore. Non per voi, non per i vostri corpi mortali, ma per il vostro spirito vivente nelle vostre creature.
Giù il cappello, se volete che i figli dei morti partiscano in un’era migliore, coi vostri figli, il pane del lavoro.

L’invito va accolto, anche ora, da chi trae profitto dalla violenza passata e presente e dalla profonda diseguaglianza economica e sociale. La diseguaglianza è alla base – lo ricorda sempre Pontara – del malessere della società, che giunge fino alla barbarie nazista. I privilegiati trovano sempre volonterosi scellerati al loro servizio. La maggioranza volta la testa per non vedere, sperando di non essere vittima. Poi si unisce ai plaudenti. Una presa di coscienza, il rispetto alle vittime sono dunque preliminari alla costruzione di un percorso di liberazione. Verità e riconciliazione è la lezione che si viene dal Sudafrica. Intanto bisogna sapere opporsi in tempo. Nella notte dei cristalli, 9-10 novembre 1938, 267 sinagoghe furono distrutte, non quella di Schiederwindt. Fece scudo con il proprio corpo il Presidente della Provincia. Di fronte alla sua decisione le squadre d’assalto si ritirarono.

Questo articolo è recentemente apparso sull’edizione in rete della storica rivista del Movimento nonviolento [www.azionenonviolenta.it]

In copertina: i funerali di Giacomo Matteotti (wikimedia commons)

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Daniele Lugli

Daniele Lugli (Suzzara, 1941), amico e collaboratore di Aldo Capitini, dal 1962 lo affianca nella costituzione del Movimento Nonviolento di cui sarà presidente nazionale dal 1996 al 2010, e con Pietro Pinna è nel Gruppo di Azione Nonviolenta per la prima legge sull’obiezione di coscienza. La passione per la politica lo ha guidato in molteplici esperienze: funzionario pubblico, Assessore alla Pubblica Istruzione a Codigoro e a Ferrara, docente di Sociologia dell’Educazione all’Università, sindacalista, insegnante e consulente su materie giuridiche, sociali, sanitarie, ambientali – argomenti sui quali è intervenuto in diverse pubblicazioni – e molto altro ancora fino all’incarico più recente, come Difensore civico della Regione Emilia-Romagna dal 2008 al 2013. È attivo da sempre nel Terzo settore per promuovere una società civile degna dell’aggettivo ed è e un riferimento per le persone e i gruppi che si occupano di pace e nonviolenza, diritti umani, integrazione sociale e culturale, difesa dell’ambiente. Nel 2017 pubblica con CSA Editore il suo studio su Silvano Balboni, giovane antifascista e nonviolento di Ferrara, collaboratore fidato di Aldo Capitini, scomparso prematuramente a 26 anni nel 1948.

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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