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Presto di mattina. Una luce amica

Luce amica

I magi vanno a Betlem
e la stella li guida:
alla sua luce amica
cercan la vera luce.
(Inno dei primi vespri dell’Epifania)

Ecco “quelli della via”: i magi, migranti di speranza, primizia dei popoli dolorosamente in cammino verso la luce.

“Quelli della via”, ci ha ricordato l’evangelista Luca negli Atti degli Apostoli, erano anche detti i credenti in Gesù prima di essere chiamati per la prima volta ad Antiochia cristiani (At 9,2; 19,9; 19,23; 22,4; 24,14; 24,22). Così, tutti cercano nella luce un’amicizia, una libertà nello sguardo, una via che porti al bene della luce.

A che cosa potremmo paragonare questa luce amica? Mi sono detto che in fondo pure lei come noi è “in via”, perché luce sconfinante dentro l’umano sconfinamento nel mistero.

Ecco, ho pensato, la fede è per tutti una luce amica, un credere sperando, quel lasciarsi gettare di continuo in avanti oltre il buio per scoprire ancora luce: quella luce che chiama luce.

Luce amica è per tutti il Vangelo, il buon annuncio: «una luce risplende nelle tenebre e le tenebre non l’hanno vinta» (Gv 1,5). E ciò, perché come ci ha ricordato don Primo Mazzolari, «il vangelo è il riconoscersi di Cristo in ogni uomo».

Il terzo Vangelo: un racconto aperto

Stando così le cose ho pensato che una presentazione del vangelo narrante di Luca, che sarà letto nelle domeniche di quest’anno, ci aiuti a cogliere questa presenza misteriosa, questa “luce in via” che è il Gesù del vangelo dentro ogni vita.

Scrive il biblista Jean-Noël Aletti che «la principale virtù del racconto lucano non sta nei procedimenti a cui invita l’esegeta. Se la Buona Novella non si riduce, grazie a Dio, alla Scrittura, la magia di questo racconto consiste nel non stancare mai il credente che lo rilegge», perché si narra di una storia solidale che si fa carico di altre storie intrecciandosi ad esse in un comune cammino d’uomini.

Una storia infinita, che non ci distrae dalle responsabilità del presente anche quando parla di un passato di sogno narrando dell’infanzia di Gesù, dei pastori svegliati dagli angeli, dei magi eterni migranti, ma è come gettata in avanti sino a dispiegare dentro le nostre storie una trama di relazioni e legami di salvezza generativi di speranza.

Una storia dove il più grande è colui che serve e il primo e l’ultimo di tutti (Lc 22, 24). Una storia che anche quando parla della trascendenza di Dio, di ciò che sta in alto, lo declina verso il basso, dai tetti in giù: «Gloria a Dio nell’alto dei cieli e pace in terra agli uomini amati da Dio», cantano ai pastori gli angeli.

E gli amici di un paralitico «non trovando modo d’introdurlo a causa della folla, salirono sul tetto e, fatta un’apertura fra le tegole, lo calarono giù con il suo lettuccio, in mezzo alla gente, davanti a Gesù» (Lc 5, 19) per guarirlo anche grazie all’intuito della loro fede. E quando in croce il condannato che gli era accanto disse: «Gesù, ricòrdati di me quando entrerai nel tuo regno», incredibile e inimmaginabile la risposta anche per i più credenti: «In verità io ti dico: oggi con me sarai nel paradiso» (Lc 23, 42).

«Il racconto lucano – scrive Aletti – non separa la grandezza divina dalle strade che essa ha voluto imboccare: misericordia, rispetto dello spessore della nostra umanità, paternità di Dio che si è rivelata definitivamente in estremi di tenerezza e semplicità», (L’arte di raccontare Gesù Cristo. La scrittura narrativa del vangelo di Luca, Queriniana, Brescia 1991, 203).

Luca compone il suo vangelo attingendo come a un canovaccio narrativo al vangelo di Marco, un’altra sua fonte, detta “fonte Q”, sono i “Detti di Gesù”. Infine troviamo nel vangelo altri testi esclusivi, quasi la metà del racconto, e diverse parabole che attinge da tradizioni preesistenti ma da lui conosciute.

Personaggi: alla ricerca di un interprete

Come accade anche ai lettori del testo, i personaggi del vangelo di Luca vengono ridonati a loro stessi dall’incontro con Gesù. Essi scoprono una identità e un destino nuovi; sperimentano che ritorna a scorrere la vita là dove si era drammaticamente e irreversibilmente fermata, spenta.

La gloria di Dio si manifesta attraverso la novità generativa e liberante della parola: «Àlzati e va’; la tua fede ti ha salvato!» (Lc 17,19); «Quello rispose: “Chi ha avuto compassione di lui”. Gesù gli disse: “Va’ e anche tu fa’ così”» (Lc 10, 37); «La tua fede ti ha salvata; va in pace!» (Lc 7,50; 8,48). L’esistenza viene sorpresa, consolata, sorretta, riaperta a nuovi orizzonti; c’è sempre un’ulteriorità possibile, una nuova aurora o una stella dalla luce amica che fa ritrovare il cammino.

In Luca ci sono personaggi in relazione, si aprono spazi di libertà e di reciprocità: c’è un vedere ed un essere visto, un ascolto ed un essere ascoltati. Non ci sorprendono dunque i numerosi parallelismi tra due o più personaggi: Giovanni Battista e Gesù, i discepoli di Emmaus e il Risorto che si accompagna a loro, Gesù e Zaccheo, dal cui intreccio dialogico germoglia, viene alla luce, la singolarità cristologica di Gesù, l’identità nascosta del Figlio amato.

Non da ultimo l’inizio del vangelo lucano chiama in causa il lettore stesso che condivide il ruolo dell’illustre “amico di Dio”, Teòfilo a cui è indirizzato il Vangelo, così come il libro degli Atti degli Apostoli. Anche tutti gli altri lettori che verranno dopo di lui e apriranno quelle pagine sono convocati all’ascolto di colui che nella sua persona è la novità di Dio, il suo buon annuncio agli uomini, pure loro segretamente amati:

«Poiché molti hanno cercato di raccontare con ordine gli avvenimenti che si sono compiuti in mezzo a noi, come ce li hanno trasmessi coloro che ne furono testimoni oculari fin da principio e divennero ministri della Parola, così anch’io ho deciso di fare ricerche accurate su ogni circostanza, fin dagli inizi, e di scriverne un resoconto ordinato per te, illustre Teòfilo, in modo che tu possa renderti conto della solidità degli insegnamenti che hai ricevuto lo questo comporta»; (1, 1-4).

Lo stesso fa iniziando l’altro suo libro gli Atti degli Apostoli che con il Vangelo formano un’unica opera: «Nel primo racconto, o Teòfilo, ho trattato di tutto quello che Gesù fece e insegnò dagli inizi fino al giorno in cui fu assunto in cielo, dopo aver dato disposizioni agli apostoli che si era scelti per mezzo dello Spirito Santo», (1, 1-2).

Si narrano le storie degli altri evangelizzatori, tra cui lo stesso Luca, com’è rivelato dalla circostanza che quattro sezioni del libro iniziano con il pronome “noi”: «Ma, quando furono passati quei giorni, uscimmo e ci mettemmo in viaggio, accompagnati da tutti loro, con mogli e figli, fino all’uscita della città. Inginocchiati sulla spiaggia, pregammo, poi ci salutammo a vicenda; noi salimmo sulla nave ed essi tornarono alle loro case» (At 21, 1-18).

Come mettere in opera il Vangelo

At 14,7: «là andavano evangelizzando».

Carlo Maria Martini ha sottolineato nel vangelo di Luca una finalità evangelizzatrice. Ma come far conoscere, oggi, la buona notizia di Gesù? Come portare tra le genti il vangelo? Quale profilo e stile dovrà avere colui che è mandato come i discepoli ad annuncialo?

«I passi di Luca caratteristici − il tipo di sentenze di Gesù che Luca ama raccogliere, le insistenze particolati del suo Vangelo − derivano, con tutta probabilità, dai gruppi di evangelizzatori che giravano la Palestina e la Siria (Luca era quasi certamente uno di loro), e che avevano un particolare interesse a chiarire a se stessi il ministero evangelizzante che facevano. Era il “loro” problema, da qui il loro taglio nel leggere la vita di Gesù, nel raccogliere le sue parole, nel metterle in ordine.

Proprio per questo, Luca ha sentito il bisogno di continuare con gli Atti, in modo da dare una serie di esempi di evangelizzazione e proseguire la messa in opera di un Vangelo − nel quale appare, in particolare, la forza evangelizzatrice di Gesù e la sua educazione degli evangelisti − con un secondo volume nel quale ci fossero esempi concreti di evangelizzazione nella Chiesa primitiva. Il Vangelo secondo Luca è, perciò, il più adatto per specchiarsi nella propria azione evangelizzatrice» (L’evangelizzazione in Luca. Meditazioni, Àncora, Milano 1984, 21).

Per Luca, poi, l’evangelizzazione è sempre accompagnata dalla presenza dello Spirito del Risorto: l’altro Consolatore lo chiama Gesù in Giovanni. È lui che dimora nel vangelo; è lui l’esegeta presso i discepoli, che dispiegherà ogni volta la sceneggiatura, la trama del testo e, di volta in volta, darà la comprensione delle parole e la forza per attuarle nella vita in quel momento, e annunciarle lungo la via.

Per questo è detto ancora negli Atti: «Di questi fatti siamo testimoni noi e lo Spirito Santo» (At 5, 32). Lo spirito del Risorto è così “in via”, è compagno di viaggio e guida. È l’Altro interprete, primo lettore dello spartito evangelico, nonché ispiratore e tessitore dei cammini plurali e molteplici della vita dei cristiani.

Il racconto lucano del ministero di Gesù si articola in tre parti: 1. l’annunzio del regno a tutto Israele, cominciando dalla Galilea 4,14–9,50; 2. il grande viaggio verso Gerusalemme 9,51–19,28; 3. gli ultimi giorni in Gerusalemme, la passione e la resurrezione 19,29–24,53.

Il grande viaggio del vangelo

Al capitolo 9,51 ha inizio il grande viaggio di Gesù. È una sezione che ha soltanto Luca e non è il banale resoconto geografico di un viaggio, ma egli intende narrare l’itinerario stesso della sequela esistenziale di Gesù: la natura creativa, caleidoscopica del discepolato e dell’esperienza cristiana.

Un viaggio dunque in compagnia dei Dodici e di tutti gli altri personaggi, nessuno nel vangelo resta una comparsa. Un itinerario in cui ci si forma alla mentalità della fede, ad essere annunciatori del vangelo educandosi al pensiero di Cristo, al distacco e alla libertà del cuore, all’abbandono di sé al Padre, alla cura dei piccoli e dei poveri, al senso del servizio e del portare la croce, alla preghiera come intimità con il Padre (Lc 11, 1-4); al perdono: «Perdonate e vi sarà perdonato; date e vi sarà dato; una buona misura, pigiata, scossa e traboccante vi sarà versata nel grembo, perché con la misura con cui misurate, sarà misurato a voi in cambio». (Lc 6,37-38).

E ancora camminando insieme e si scopre la gioia già presente nelle piccole cose, “in via”: «In quella stessa ora Gesù esultò di gioia nello Spirito Santo e disse: «Ti rendo lode, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli» (Lc 10, 21-24). Sottesa ai passi è infatti la gioia incontenibile che irromperà il mattino di Pasqua.

Pagina dopo pagina si impara a vedere la storia come Lui, a giudicare la vita come Lui, a scegliere e ad amare come Lui, a sperare come insegna Lui, a vivere in Lui la comunione con il Padre e lo Spirito Santo (RdC n. 38).

Annota ancora Martini: «I discepoli vivono con Gesù, vedono come lui reagisce a proposito di una situazione, come parla, come si comporta. Annuncio e vita si intrecciano. Gesù fa e insegna: questo è fondamentale per l’educazione evangelica. Il Vangelo si impone per connaturalità affettiva col Signore e con coloro che lo vivono. Per questo quando si parla di “scuola di discepolato”, nella tradizione della Chiesa, è sempre un discepolato vivo: maestro-discepolo» (ivi, 94).

Non si può servire a due padroni

C’è come un filo rosso che attraversa tutto il vangelo di Luca: il rapporto dei cristiani con la ricchezza. E l’unico uso corretto della ricchezza che ci viene trasmesso è quello di uno strumento per farsi amici i poveri (Lc 16,9).

È solo in Luca la parabola del ricco innominato e del povero di nome Lazzaro, ed è preceduta da questo detto di Gesù: «Nessun servitore può servire due padroni, perché o odierà l’uno e amerà l’altro, oppure si affezionerà all’uno e disprezzerà l’altro. Non potete servire Dio e la ricchezza. I farisei, che erano attaccati al denaro, ascoltavano tutte queste cose e si facevano beffe di lui. Egli disse loro: “Voi siete quelli che si ritengono giusti davanti agli uomini, ma Dio conosce i vostri cuori: ciò che fra gli uomini viene esaltato, davanti a Dio è cosa abominevole”» (Lc 16,10).

Introducendo le Beatitudini, Luca mostra Gesù circondato dalla folla che vuole toccarlo per essere guarita, e si ferma sul particolare del suo sguardo. Egli guarda i discepoli alzando gli occhi dal basso, come a esprimere la sua collocazione esistenziale tra i poveri e gli affitti. E quello è il luogo privilegiato, anche per discepoli, da cui annunciare il vangelo: «Ed egli, alzàti gli occhi verso i suoi discepoli, diceva: «Beati voi, poveri, perché vostro è il regno di Dio. Beati voi, che ora avete fame, perché sarete saziati.  Beati voi, che ora piangete, perché riderete» (Lc 620-21).

Qui Luca si riferisce ai poveri tout court, che sono tali soprattutto su un piano sociologico ed economico, cioè privi di mezzi economici adeguati, e quindi emarginati e oppressi. Diversamente da Matteo, il Gesù lucano si rivolge ad essi in seconda persona plurale: una forma letteraria verosimilmente più antica e quindi forse più fedele al modo di parlare di Gesù stesso.

Giuseppe Pontiggia lettore di Luca

«Quando il testo ci prende e in qualche modo ci riguarda, è perché l’autore sta parlando a noi e non alle nostre controfigure culturali» (G. Pontiggia, Il giardino delle Esperidi, Mondadori Ebook, Milano 2020, 113). Basterebbe anche solo questo testo a farmi sentire il suo autore una luce amica.

L’incontro con il mistero è nei testi di Luca invito e attitudine a non temere di prenderlo con sé, di camminarci dentro perché è un mistero accessibile a tutti, perché è la sorgente del nostro stesso mistero, perché ci precede anche nel fare strada verso una nuova tappa. Così anche il lettore tornerà a leggere è dirà come i due di Emmaus: «“Resta con noi, perché si fa sera e il giorno è ormai al tramonto». Egli entrò per rimanere con loro» (Lc 24,29).

Scrive Pontiggia: «Per me non c’è la fede, ma c’è il mistero. Il mistero, lo dicono anche i fisici, quanto più lo studi tanto più si dilata… Anche la ragione, la consapevolezza, la lucidità non fanno altro che dilatare quest’area del mistero, ci portano su quel la soglia oltre la quale, tu dici: c’è la fede. Sarebbe una risposta appagante e definitiva. In mancanza di questa, io trovo la consapevolezza del mistero. Per me, il Vangelo è un’esperienza abissale, nel senso che non ha termine» (Una lettera dal paradiso, Interlinea, Novara 2017, 6-7).

Più che “appagante e definitiva” io direi che la fede è una risposta affidabile, sì, e capace di rincuorare; ma aperta, gettata sempre in avanti dentro il mistero dell’altro che la chiama fuori, anch’essa strapiombante sull’abisso.

Essa è come la scrittura: ti ci affidi, ti incammini con essa senza sapere prima dove andrai. Dice negli Atti degli Apostoli Paolo: «Ed ecco ora, avvinto dallo Spirito, io vado a Gerusalemme senza sapere ciò che là mi accadrà. So soltanto che lo Spirito Santo, di città in città, mi attesta che mi attendono catene e tribolazioni» (20, 22-23).

La fede è “pro-getto” nel senso etimologico di mettere in opera, far avanzare qualcosa che non c’è ancora. È dunque sorpresa, lotta, aridità, senso dell’abbandono, ma pure attrazione, stabilità ispirazione creatrice, movimento al modo in cui credo Pontiggia intenda l’arte dello scrivere.

Scrivere, come credere amando, è un venire alla luce

Egli spiegherà il senso di questa esperienza abissale circa la lettura del vangelo in una conversazione del 1995 con F. Ferri: «Il punto che differenzia il cristianesimo rispetto alla speculazione orientale è l’idea dell’amore, il concetto di caritas, di fratellanza. Percepito anche dagli antichi, questo concetto di coerenza totale dell’uomo e della terra sotto il segno dell’amore si manifesta nel modo più potente con la parola di Cristo.

Cristo porta chiaramente, nel mondo, la percezione di quell’amore “che muove il sole e l’altre stelle”, adombrata nel platonismo, elusa e apparsa in forma metaforica nel taoismo. La sua novità rivoluzionaria è questa. lo sono profondamente colpito dal Vangelo. Per me il Vangelo è un’esperienza abissale, nel senso che non ha termine» (Opere, I Meridiani, Mondadori, Milano 2004, CVI).

In Una lettera dal Paradiso vi è pure una riflessione sul Vangelo di san Luca che definisce «come storia sacra e racconto umano», una doppia lettura: quella del credente e «quella dell’altro lettore» che intravede in esso non solo la trama di una vicenda umana, ma in essa «vi intravvede a tratti controluce l’irruzione dell’inconoscibile – ovvero quei «misteri del regno di Dio» che alla fede dei discepoli sono accessibili, mentre agli altri solo in parabole [Luca 8, 9-10]» (ivi, 57).

Scrive ancora Pontiggia: «Questa doppia vista, che trasforma ogni volta la lettura dei Vangeli in una esperienza incomparabile, trova in quello di Luca una intensificazione ulteriore. Luca infatti è l’unico evangelista che, in un proemio modellato sulla storiografia greca, si presenta come autore, responsabile in prima persona del proprio testo. Non ha assistito però agli eventi che narrerà e il suo compito sarà di raccogliere i racconti di quelli che sono stati testimoni oculari e ministri della parola» (ivi, 57-58). E il nostro facendo propria «la definizione luminosa» data da Gianfranco Ravasi dirà di Luca «l’evangelizzatore della speranza, della libertà e della gioia» (ivi, 60).

La via della doppia vista

Luca stesso incarna la doppia vista del lettore, primo lettore dei vangeli e scrittore del suo: «Luca infatti, ellenista colto di Antiochia, incarna già nelle sue radici quel lettore duplice cui si rivolgerà la sua opera. Che non è riservata solo al pubblico interno della Chiesa, ma a un pubblico più vasto e variegato di cristiani di matrice pagana o di potenziali credenti. Lo rivelano il taglio storico e letterario del proemio, estraneo allo stile biblicistico dei Vangeli, e l’universalismo sempre sottolineato della Buona Novella, che tende costantemente ad avvalorare in Cristo il Salvatore di tutto il genere umano» (ivi, 59).

Pontiggia lettore di Luca scorge tra i testi raccolti dall’evangelista «scelte narrative che appartengono soprattutto al suo talento di scrittore. Come quelle che indugiano, ad esempio, sulla gestualità e sui silenzi. Dettagli non ignoti alla tradizione, ma non in modi così intensi e decisivi. L’economicità dello stile – intesa come corrispondenza mirabile di fini e mezzi – trova nel linguaggio dei Vangeli la sua espressione più alta. E questa è una delle ragioni che hanno concorso a renderli memorabili.

Luca, nell’appropriarsene, vi aggiunge particolari di una intimità che non può non essere segreta e che solo il narratore sa divinare… Vorremmo cogliere il suo dono di artista nelle parole indimenticabili che i due discepoli rivolgono allo straniero, sulla strada di Emmaus (Luca 24, 13-29), e che i credenti nella speranza rivolgono a Cristo da duemila anni: Resta con noi perché si fa sera e il giorno è ormai tramontato» (ivi, 61; 63)

«ma all’improvviso è tutto paesaggio di luce, luci nutrono e
nutrono montagne, fiumi, fiancate rocciose, grandi fiumi
calmi escono alla luce in luoghi carsici, luci attraverso l’acqua
creano corone reali, movimenti, esseri»
(Brigitte Trotzig, Nel fiume di luce. Poesie 1954-2008, Oscar Mondadori, Milano 2008, 177).

Cover: immagine tratta da https://pixabay.com/it/images/search/free%20image/

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Andrea Zerbini

Andrea Zerbini cura dal 2020 la rubrica ‘Presto di mattina’ su queste pagine. Parroco dal 1983 di Santa Francesca Romana, nel centro storico di Ferrara, è moderatore dell’Unità Pastorale Borgovado che riunisce le realtà parrocchiali ferraresi della Madonnina, Santa Francesca Romana, San Gregorio e Santa Maria in Vado. Responsabile del Centro di Documentazione Santa Francesca Romana, cura i quaderni Cedoc SFR, consultabili anche online, dedicati alla storia della Diocesi e di personaggi che hanno fatto la storia della chiesa ferrarese. È autore della raccolta di racconti “Come alberi piantati lungo corsi d’acqua”. Ha concluso il suo dottorato all’Università Gregoriana di Roma con una tesi sul gesuita, filosofo e paleontologo francese Pierre Teilhard de Chardin.

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