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Il ministro Sangiuliano ha detto che Dante era di destra. Un’affermazione azzardata in quanto nel Trecento più che destra-sinistra c’erano guelfi (lui era dei bianchi) e ghibellini. Sarebbe come dire che i domenicani erano di destra e i francescani di sinistra (che se le davano di santa ragione non solo sul piano teorico). Un politico esiliato da Firenze in tempi in cui gli avversari erano sempre nemici.

Lo studioso marxista Edoardo Sanguineti scrisse che Dante era un po’ reazionario, forse perché credeva nella Chiesa cattolica, nella spiritualità e negli ultimi decenni il “cristianesimo” è stato più difeso dalla destra che dalla sinistra.

Se a questo pensa il neo ministro Sangiuliano non ha tutti torti, anche se il comunista Tullio De Mauro, ministro dell’Istruzione (linguista e amico di Asor Rosa con cui diresse il Dipartimento di filologia e linguistica a La Sapienza di Roma) disse nel 2001 che il vangelo doveva essere materia di studio in lettere e non nell’ora di religione, in quanto il cristianesimo è un elemento fondante e identitario della nostra cultura europea.

Per questo si fatica a classificare Dante “di destra”, il quale fu anche un feroce critico verso quel capitalismo nascente, fatto di banchieri e mercanti. In tal senso fu “visionario” di quello che sarebbe accaduto in particolare dopo il 1492 e il 1999 e difensore della “bona vita” e di valori cristiani e spirituali (oggi poco di moda) e criticò il “progresso”.

Oggi sarebbe in buona compagnia perché molti autori (tra cui Panikkar) considerano il “progresso” un mito del novecento che oggi mostra tutti i suoi limiti nella distruzione della Natura, cioè il ramo su cui siamo seduti. La favola del “progresso” si è trasformata in quella della crescita infinita, che, in realtà, l’unica cosa che sa far crescere è il denaro. Tutto il resto cala: dalle relazioni umane, alla qualità della vita, all’armonia che avevamo nella comunità e con la natura e le altre specie sulla Terra.

Dante (come altri mistici) lo intuì (allora c’era ancora l’intuizione come senso che la tecnologia ha distrutto) e ci avvertì che saremmo entrati nella “selva oscura 2.0”, e quindi non è un caso che nell’Inferno non ci fosse la Natura. Non penso che la sua profonda spiritualità avrebbe apprezzato un cambiamento con modalità violente, piuttosto si sarebbe ispirato alla non violenza di Gandhi o Capitini, ma certo era un radicale come Gesù, che rovesciò i banchi dei mercanti nel tempio.

Dante e Francesco d’Assisi hanno evidenziato come assolutizzare il denaro e la “mercatanzia” porta l’umanità all’Inferno. Cristo, buttando fuori i mercanti dal tempio (uno dei rarissimi esempi di un Cristo non “pacifico”), critica in modo durissimo non solo i Farisei, i Sadducei e il Sinedrio, ma anche la logica di potenza degli imperi (allora Roma). Dante pagherà con l’esilio (anche se ora è da tutti acclamato), una pietra scartata, come lo furono Gesù Cristo, Francesco d’Assisi, Pasolini, Raimon Panikkar, per citarne alcuni.

Un messaggio di Dante era quello di tornare a riunificare spiritualità e politica, sapendo che spesso il politico viene mangiato e sussunto dall’economico. Dante non era un nostalgico della società feudale e la sua speranza era in una futura Europa Unita sotto il segno della spiritualità (papato) e della politica. L’idea era la felicità terrena unita alla felicità extraterrena, mentre oggi è l’economia che tutto guida in un tragico monismo.

Dante seguiva il pensiero di Aristotele, per il quale l’economia era la buona “amministrazione della casa” (oikos), mentre la “produzione di maggior ricchezza” era la crematistica, che, se si pratica sotto il governo dell’economia è buona ma, quando si rende autonoma e fa della ricchezza il proprio fine (come oggi), degenera. Per Dante la ricchezza è un mezzo, non il fine della vita umana, che diventa “contro natura” perché distrugge l’armonia tra uomo e ambiente.

Max Fischer (editorialista del New York Times) ha scritto che “il capitalismo sta mangiando gradualmente tutto”. Si pensi alle nostre scuola e sanità diventate gradualmente aziende, dove le parole prevalenti sono: investimenti, spese, debiti, crediti (ora sicurezza) che non hanno nulla a che fare con l’educazione. Per gli scienziati del “panel clima” l’attuale sistema è insostenibile, anche nelle versioni edulcorate di “green” o “verde” o “compatibile” (come si dice in questi giorni a Davos).

Dante capì che la sua epoca (XIII e XIV secolo) vedrà iniziare il capitalismo nella forma della finanza e della cupiditas, la lupa che sbrana e che immiserisce. Dante non vede ancora la catastrofe climatica ma intuisce qualcosa perché nell’Inferno non c’è nulla di Natura.

Nel 1492 ci sarà un ulteriore accelerazione con la “scoperta” dell’America, che in realtà si dovrebbe chiamare la conquista dell’America e che porterà a 300 milioni di uccisioni e ad uno spostamento di materie prime e ricchezza immenso verso l’Europa. Già in quei secoli avvenne un cambio climatico pazzesco.

I giovani sono nativi digitali, ma noi tutti siamo nativi capitalisti e non ci rendiamo più conto di una narrazione dominante che abbiano interiorizzato, come le “magnifiche sorti e progressive” che sono anche il colonialismo post 1492 o il razionalismo di Cartesio (cogito ergo sum), in cui tutto è calcolo e quantità, un uomo oggi ossessionato dalla sicurezza, mentre la verità è semmai “sono, quindi penso” o, come avrebbe detto Dante “amo e quindi sono”.

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Andrea Gandini

Economista, nato Ferrara (1950), ha lavorato con Paolo Leon e all’Agenzia delle Entrate di Bologna. all’istituto di studi Isfel di Bologna e alla Fim Cisl. Dopo l’esperienza in FLM, è stato direttore del Cds di Ferrara, docente a contratto a Unife, consulente del Cnel e di organizzazione del lavoro in varie imprese. Ha lavorato in Vietnam, Cile e Brasile. Si è occupato di transizione al lavoro dei giovani laureati insieme a Pino Foschi ed è impegnato in Macondo Onlus e altre associazioni di volontariato sociale. Nelle scuole pubbliche e steineriane svolge laboratori di falegnameria per bambini e coltiva l’hobby della scultura e della lana cardata. Vive attualmente vicino a Trento. E’ redattore della rivista trimestrale Madrugada e collabora stabilmente a Periscopio.

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Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
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(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE
di Piermaria Romani


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