Skip to main content

 

La Pasqua non è qui; il sepolcro è vuoto, nessuno dentro; la pietra è ribaltata, le fasce sciolte, il sudario ripiegato in un angolo, quasi lo si fosse riordinato prima di partire per un viaggio. Tanto che viene da chiedersi se la Pasqua, anziché una meta da raggiungere, sia piuttosto l’inizio di un cammino.
Credo proprio di sì.
Come il vangelo è una via, quella di Gesù, così la Pasqua è mettersi in via con Gesù. È lei che detta l’agenda ai discepoli, li incrocia per un momento, per poi sfuggire loro, precedendoli altrove e lasciando solo indizi del suo passaggio, affinché possano di nuovo mettersi sulle sue tracce.
Ma dove cercarla? In quale direzione? Quali avvisaglie ce la rivelano?

Per rispondere basterebbe riflettere sul fatto che la Pasqua altro non è che l’epilogo di quella storia che Gesù scelse per descrivere l’essenza della sua vita: quella del chicco di grano caduto in terra, che se non muore rimane solo, ma se muore porta molto frutto. Per questo sarebbe inutile cercare a Pasqua Gesù nel sepolcro. Come il chicco di grano, la sua vita non è più nella terra, ma è migrata nella spiga e da qui è passata oltre, attraverso la farina e l’acqua e le mani che hanno impastato, entrando nella fornace ardente che l’ha cotta per diventare un fragrante pane. Di più: un pane spezzato che di nuovo continua, di mano in mano, a consegnarsi ad altre mani, dividendosi in frammenti ma restando un solo pane, come una moltiplicazione incontenibile, un fiume di pane come quella prima volta sul monte con tanta gente seduta sull’erba; un dono per tutti, tanto che quella volta ne avanzarono dodici cesti pieni.
È questa la memoria della Pasqua: una consegna che si custodisce disperdendola moltiplicandola, un dono per chi vuole imitare il maestro continuando a frangere pane.

“Per tutti è Pasqua!”, nel suo avanzare audace verso tutti e sorride don Primo Mazzolari sentendosi citato: «Per tutti, anche per i molti che non partecipano al sacramento, il mistero della Pasqua, è una consegna. In tempi neghittosi ci sprona all’audacia: in tempi disamorati ci suggerisce la pietà: in tempi di odio ci inclina al perdono: in tempi folli e disperati ci restituisce al buon senso e ci guida verso la speranza. […] Quando sentono parlare di pace, i cristiani sanno bene di che cosa si parla, poiché il desiderio che è nel cuore di tutti è il dono che è nell’incontro pasquale» (La Pasqua, Vicenza 1964, 54 e 69).
Lo spirito del Risorto è come il vento: soffia dove vuole e ne senti la voce, ma non sai di dove viene e dove va. Così è di chiunque è nato dalla Pasqua, (Cf. Gv 3,8).

Pasqua non è più qui, perché vive e testimonia della ridondanza del dono, dell’eccedenza di un evento che non si è concluso, di un gesto di donazione che non ha mai cessato di essere praticato; continua a riversarsi da quella prima Pasqua in ogni altra pasqua in cui la vita si offre. Come le acque che scaturiscono da una sorgente, e all’inizio sono poca cosa, tanto che ad attraversarle ci si bagna appena i piedi, ma poi diventano, di onda in onda, un fiume che attraversi solo navigandolo, così la Pasqua è là dove scorre e arriva il fiume: è là dove giungono le sue acque per risanare e portare nuova vita.

«Egli non è qui ‒ disse l’angelo alle donne ‒ presto andate a dire ai suoi discepoli: “È risorto dai morti, ed ecco, vi precede in Galilea; là lo vedrete”. Ecco, io ve l’ho detto”», (Mt 28,6-7): Pasqua è là.
«Yhwh Sâmmâh/ Là è il Signore», (Ez 48,36) è questa l’ultima parola del libro di Ezechiele, profeta e sacerdote del popolo deportato in esilio. Il cuore del suo annuncio, la visione di un ritorno a Gerusalemme, sta tutto in quel “Là è il Signore”, parola chiave per dire tutto il senso del suo messaggio, in cui descrive una nuova dimora per Dio, non più tra le mura ristrette nell’antico tempio, ma in una dimora ampia quanto l’universo e quanto ogni cuore umano: una nuova creazione, là sarà il luogo della sua dimora. Nella sua ultima visione Ezechiele racconta di una fonte simile a quella di Siloe nella città di Gerusalemme, ma non umile e modesta come quella. Simbolo della potenza vivificante di Dio della sua gloria, egli vede una nuova fonte le cui acque, filtrando da sotto la porta del tempio, vanno crescendo enormemente e da rigagnolo diventano fiumana, portando beneficio non solo alla città santa ma così da rendere fertile anche la parte desertica, le regioni dell’Arabia portando vita e pesca nel Mar Morto. Un’acqua così abbondante da far germogliare e crescere e fruttificare alberi da frutta ogni mese e le cui foglie verranno usate come medicine. La Pasqua trova in questa visione la sua forma fluida, il suo dinamismo, lo stesso dell’acqua e dello spirito, dono che è pure un effluvio che discende a generare un cuore nuovo: «vi darò un cuore nuovo, metterò dentro di voi uno spirito nuovo, toglierò da voi il cuore di pietra e vi darò un cuore di carne. Porrò il mio spirito dentro di voi e vi farò vivere» (Ez 36, 26-27).

Come l’acqua in quelle terre mediorientali è preziosissimo dono e non va negata a nessuno, così la Pasqua è dono libero, gratuito per tutti, non privatizzabile, perché la Pasqua generata dallo Spirito del Risorto è un bene pubblico, non finalizzabile a strategie e obiettivi umani. Essa non va nemmeno incanalata, perché più la costringi, più essa esonda dai confini, attraversa i limiti che le gerarchie sociali e anche religiose le vorrebbero imporre. Pasqua dono di grazia manifesta se stessa come gratuità di un amore generativo di una esperienza di reciprocità.

Non è allora difficile intuire quali indizi ci segnalino oggi la presenza della Pasqua. Essa è là dove Cristo sfama ed è sfamato, disseta ed è dissetato, visita ed è visitato in carcere, in ospedale, accoglie ed è accolto ai confini e alle frontiere di terra e di mare. Pasqua è una conversione, un’interruzione del cammino conosciuto verso quello che non so; è un abbandonare il proprio posto, ancorché buono (Jon Sobrino), per lasciarsi condurre dal vangelo, dove Dio vuole essere incontrato “là dove è”; con la sola certezza che stiamo sempre iniziando un nuovo cammino, non da soli ma nella compagnia mite e silenziosa del Risorto.

Vi è una chiesa in uscita perché vi è una Pasqua in uscita.
In questo tempo, chiamiamolo pure di secolarizzazione in cui sembra di stare in balia di un fenomeno regressivo di riduzione dello spirito, di umiliazione della creazione in favore dell’economico, dell’impersonale, di relazioni a bassa intensità di presenza; in questa situazione di una nuova secolarizzazione, dove è in atto una mutazione del processo che ora avviene più in profondità, passa dall’esterno all’interno del vivere, dalle idee alle affezioni più intime sfiduciandole, transita dalle istituzioni sociali alla vita interiore sempre più erosa di tessuto spirituale, di memoria delle origini e quindi della stessa capacità di immaginare un futuro degno e umano; in questo scenario esistenziale la via percorribile per ribaltare le sorti è quella del dono: lo stile dell’umano perdersi e risorgere a Pasqua.

Credo che la strada per far tornare il vento nelle vele, anzi nello spinnaker di poppa del credere e del vivere nello spirito di Gesù, per ritrovare anche una chiesa e il suo dono, chiesa ferita nella sua capacità di immaginazione, di affezione, di pervasività narrativa, educativa e ministeriale, sia la via mistica, un immergersi di nuovo nel mistero pasquale per ricevere e praticare la sua forma.
«Solo recuperando una visione mistica penso che avremo delle energie ecclesiali. Sono stato affascinato dall’idea che la Chiesa possa rifondarsi nella ridondanza del dono. Il problema della Chiesa in uscita è: cosa esce? C’è qualcosa che può uscire? Altrimenti cadiamo nell’ennesima forma retorica ecclesiastica e teologica. La carità che la Chiesa esercita all’esterno non può che essere l’effluvio di una carità esercitata all’interno… La Chiesa media l’ospitalità in Cristo ma chiede accoglienza. Sempre di più penso che mettersi nella condizione dell’ultimo di tutti è ciò che permette che non ci sia solo quel popolo ma tutti i popoli» (Roberto Repole, Chiesa e teologia, https://www.agensir.it/ quotidiano/2021/3/13/). È guardando alla Pasqua sorgente di inesauribile creatività che le nostre comunità cristiane potranno guarire di quella «ferita dell’immaginazione» (Michael Paul Gallagher) e partecipare agli altri il sogno di Dio realizzatosi a Pasqua nella gratuità di un dono.

Nel racconto di Nathan Zach, La grande aquila si narra di un’aquila impagliata, imbalsamata e appesa al muro, come un trofeo. Ma che con l’andare del tempo fu sempre più ignorata da tutti quelli della famiglia in cui era entrata: era ormai come una vecchia e ingiallita stampa alla parete e sentita come qualcosa di ingombrante da disfarsene prima o poi. Tutti tranne che per uno, Yotam, il figlio più piccolo: «Era rimasta fissa al muro della veranda fra la stanza da letto e la cucina le ali spiegate di qua e di là il piumaggio ben teso sul corpo, gli artigli estratti pronti a conficcarsi nella carne del nemico ormai vicino. E invece no. Nessuno pensava più a lei come a un’aquila tutti la consideravano ormai soltanto una specie di arazzo». Pure la domestica aveva paura di toccarla anche soltanto con il piumino. La decisione alla fine venne con le pulizie di Pasqua, imbiancare le stanze, rinnovare gli arredi, togliere ingorbi e le cose che avevano fatto il loro tempo. Così anche il destino dell’aquila fu segnato, ma nessuno per un motivo o per un altro si decideva a prendere l’iniziativa (per i particolari vi rimando al libro: L’omino nel pane ed altre storie, Donzelli, Roma 2003).

Solo Yotam pensava al modo di salvarla dalla rottamazione. Perché una volta si accorse che, guardando all’aquila impolverata, questa guardava lui «tremendamente». Così dapprima prese il piumino per togliere la polvere, ma al vederla così rinsecchita pensò a una doccia «Senza pensarci su due volte, prende uno dei tanti secchi che si ritrova intorno, lo riempie di acqua del rubinetto, dal bagno, e butta addosso all’aquila tutta l’acqua del secchio». Subito, non accadde niente ma all’improvviso: «“improvvisamentissimamente” l’aquila abbassa la sua testa e la affonda dentro il secchio con l’acqua pulita. Questa vecchia aquila beve. Beve un sacco. Beve come non ha mai bevuto in vita sua. Beve come se non sapesse che cosa significa bere». Sentiva sempre più che i suoi occhi lo guardavano. Ma come aiutare un’aquila inchiodata al muro?

Avvicinandosi si accorse però che i chiodi erano con il tempo caduti, solo un poco di colla la tratteneva ancora alla parete. Così la staccò dal muro e lentamente l’aquila cominciò a respirare ed ad ogni respiro il petto si allargava sempre più come un palloncino quando lo gonfi. «Adesso l’aquila muove un po’ la testa, poco poco. Muove la testa verso la finestra chiusa. Di nuovo, senza pensarci su, Yotam va a spalancare la finestra. L’aquila è ormai sul davanzale. Guarda Yotam. Yotam la guarda. Occhi gialli di fronte a occhi castani, scuri scuri, quasi neri. Allora improvvisamente l’aquila dispiega le ali. Ehi, che grandi ali ha quest’aquila, quando non è appiccicata o inchiodata al muro. Un piccolo slancio, e quelle gigantesche ali portano il corpo dell’aquila fuori dalla finestra, ormai. Un colpo d’ali soltanto, ed eccola sopra gli alberi, ormai. Di laggiù, rivolge ancora una volta a Yotam i suoi occhi gialli. Poi, su su là in alto, quasi come un pallone che si è liberato del filo, scompare». Abbassando lo sguardo verso terra Yotam scorse una pozzanghera con all’interno una grande piuma, una piuma d’aquila, una piuma normale, grossa, fantastica. L’aveva lasciata l’aquila, forse come un dono, un grazie, ma anche come traccia di un incontro da non dimenticare, la compagnia di un ricordo che avrebbe reso lieve i passi del suo cammino, come fosse sollevato su ali d’aquila.

Per leggere gli altri articoli di Presto di mattina, la rubrica di Andrea Zerbini, clicca [Qui]

 

tag:

Andrea Zerbini

Andrea Zerbini cura dal 2020 la rubrica ‘Presto di mattina’ su queste pagine. Parroco dal 1983 di Santa Francesca Romana, nel centro storico di Ferrara, è moderatore dell’Unità Pastorale Borgovado che riunisce le realtà parrocchiali ferraresi della Madonnina, Santa Francesca Romana, San Gregorio e Santa Maria in Vado. Responsabile del Centro di Documentazione Santa Francesca Romana, cura i quaderni Cedoc SFR, consultabili anche online, dedicati alla storia della Diocesi e di personaggi che hanno fatto la storia della chiesa ferrarese. È autore della raccolta di racconti “Come alberi piantati lungo corsi d’acqua”. Ha concluso il suo dottorato all’Università Gregoriana di Roma con una tesi sul gesuita, filosofo e paleontologo francese Pierre Teilhard de Chardin.

PAESE REALE

di Piermaria Romani

PROVE TECNICHE DI IMPAGINAZIONE

Top Five del mese
I 5 articoli di Periscopio più letti negli ultimi 30 giorni

05.12.2023 – La manovra del governo Meloni toglie un altro pezzo a una Sanità Pubblica già in emergenza, ma lo sciopero di medici e infermieri non basterà a salvare il SSN

16.11.2023 – Lettera aperta: “L’invito a tacere del Sindaco di Ferrara al Vescovo sui Cpr è un atto grossolano e intollerabile”

04.12.2023 – Alla canna del gas: l’inganno mortale del “mercato libero”

14.11.2023 – Ferrara, la città dei fantasmi

07.12.2023 – Un altro miracolo italiano: San Giuliano ha salvato Venezia

La nostra Top five
I
 5 articoli degli ultimi 30 giorni consigliati dalla redazione

1
2
3
4
5

Pescando un pesce d’oro
5 titoli evergreen dall’archivio di 50.000 titoli  di Periscopio

1
2
3
4
5

Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

Periscopio è quindi un giornale popolare, non nazionalpopolare. Un quotidiano “generalista”,  scritto per essere letto da tutti (“quelli che hanno letto milioni di libri o che non sanno nemmeno parlare” F. De Gregori), da tutti quelli che coltivano la curiosità, e non dalle elites, dai circoli degli addetti ai lavori, dagli intellettuali del vuoto e della chiacchiera.

Periscopio è  proprietà di un azionariato diffuso e partecipato, garanzia di una gestitone collettiva e democratica del quotidiano. Si finanzia, quindi vive, grazie ai liberi contributi dei suoi lettori amici e sostenitori. Accetta e ospita sponsor ed inserzionisti solo socialmente, eticamente e culturalmente meritevoli.

Nato quasi otto anni fa con il nome Ferraraitalia già con una vocazione glocal, oggi il quotidiano è diventato: Periscopio naviga già in mare aperto, rivolgendosi a un pubblico nazionale e non solo. Non ci dimentichiamo però di Ferrara, la città che ospita la redazione e dove ogni giorno si fabbrica il giornale. e Ferraraitalia continua a vivere dentro Periscopio all’interno di una sezione speciale, una parte importante del tutto. 
Oggi Periscopio ha oltre 320.000 lettori, ma vogliamo crescere e farsi conoscere. Dipenderà da chi lo scrive ma soprattutto da chi lo legge e lo condivide con chi ancora non lo conosce. Per una volta, stare nella stessa barca può essere una avventura affascinante.  Buona navigazione a tutti.

Tutti i contenuti di Periscopio, salvo espressa indicazione, sono free. Possono essere liberamente stampati, diffusi e ripubblicati, indicando fonte, autore e data di pubblicazione su questo quotidiano.

Francesco Monini
direttore responsabile


Chi volesse chiedere informazioni sul nuovo progetto editoriale, può scrivere a: direttore@periscopionline.it