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Presto di mattina. Donna di sol vestita

Donna di sol vestita

«Un segno grandioso apparve nel cielo: una donna vestita di sole, con la luna sotto i suoi piedi e, sul capo, una corona di dodici stelle. Era incinta, e gridava per le doglie e il travaglio del parto» (Ap 12, 1).

In Giovanni, l’identità della donna misteriosa è oggetto di molteplici interpretazioni, rese ancor più varie dal riferimento numerico alle dodici stelle che le fanno da corona. Chi le interpreta come le dodici tribù d’Israele, vede nella donna l’antico popolo di Dio in cammino nel deserto. Altri, come il nuovo popolo di Dio, ovvero l’assemblea cristiana raccolta attorno ai dodici apostoli con Maria.

Del resto, “donna” è chiamata Maria nel vangelo di Giovanni, sia alle nozze di Cana, sia dal Figlio sotto la croce. Troviamo così corrispondenza, una vera evoluzione tra la madre di Gesù nel quarto Vangelo e quella nominata nel capitolo 12 dell’Apocalisse. La “madre di Gesù” detta “donna” enigmaticamente già in Gv 2,4 fa pensare pure alla Chiesa, della quale Maria, Gesù e i discepoli insieme (cfr. Gv 2,12), rappresentano la primizia.

Colui che fa sorgere il suo sole sui buoni e sui cattivi la riveste del suo amore, come di un abito di sole. È la raffigurazione dell’alleanza piena e feconda; la luna sotto i suoi piedi è segno che la donna non è in balia del tempo, ma ne è uscita fuori, in un tempo altro, un tempo qualificato, dinamico e tuttavia compiuto: l’eternità.

Alle parole dell’Apostolo Giovanni si addicono quelle poetiche del precursore dell’umanesimo e della letteratura italiana. Il riferimento è a Francesco Petrarca (1304-1374), l’autore de Il Canzoniere, che Pietro Bembo agli inizi del ’500 indicò come modello di eccellenza stilistica.

Il Petrarca, ricordando il primo incontro con l’amata nella chiesa di S. Chiara ad Avignone, così lo descrive:

Erano i capei d’oro a l’aura sparsi
che ’n mille dolci nodi gli avolgea,
e ’l vago lume oltra misura ardea
di quei begli occhi, ch’or ne son sì scarsi…
Uno spirto celeste, un vivo sole
fu quel ch’i’ vidi…
(Canzoniere di Francesco Petrarca, a cura di G. Contini, Einaudi, Torino 1965, n. 90, 118).

E, scorrendo da cima a fondo il Canzoniere, scopriamo che esso termina con un canto alla “Vergin bella, che di sol vestita”.

Vergin bella, che di sol vestita,
coronata di stelle, al sommo Sole
piacesti sí, che ’n te Sua luce ascose,
amor mi spinge a dir di te parole:
ma non so ’ncominciar senza tu’ aita,
et di Colui ch’amando in te si pose.
Invoco lei che ben sempre rispose,
chi la chiamò con fede.
(ivi, n. 366, 443),

L’istinto del cuore: «Per Te spera la nostra carne oscura»

Ma veniamo più vicini a noi.

chiudere gli occhi e guardare elena bonoPer Elena Bono, (1921-2014) scrittrice e traduttrice, poetessa e drammaturga, la poesia ha stile francescano, è “sorella dell’uomo”, e fu, scoprendo il legame tra l’amore e la sofferenza, che cominciò ad essere cristiana, anzi terziaria francescana. Solo nel 2007 poi, E-book 2014, viene pubblicata l’Opera omnia, Poesie (Le mani editore) e per il centenario della nascita ne viene editata una raccolta: Chiudere gli occhi e guardare. Cento poesie per cento anni, (Ed. Ares, Milano 2021).

Il padre di Elena grecista e latinista l’aveva avviata allo studio dei classici e della mitologia, ma si dedicò anche allo studio le filosofie orientali. Determinante per la sua scrittura fu poi il dramma della guerra, l’esperienza della resistenza partigiana e l’apertura della fede come nostalgia di Dio.

E nessuno comprende
che non è il morire
la virtù degli eroi
ma restare tra noi
quanto vien loro comandato.
Vivere umanamente tra gli umani, soffrirne tutte le pene
più una:
nostalgia
nostalgia di Dio
(I dioscuri del Quirinale).

In una lirica alla Madonna del Belvedere, dipinto in S. Maria dei Servi a Siena, Elena Bono vi vede ritratta la condizione di marginalità delle donne, ma sperimenta che anche l’esclusione e il silenzio possono divenire uno spazio di ascolto, oltre i linguaggi monopolizzati e istituzionalizzati dagli uomini: «Luna luna non piangere perché sei sola. Il cuore più solitario di tutti/ a tutti appartiene» (in Conforto).

Madonna di Belverde,
giardino di ombre
fresche nell’aria…
o solitudine verdesognante
o silenzio che ascolti
il silenzio di Dio”
(OpOmn 2007: 161).

Drammatico è il profilo di un’altra Maria, quella di Magdala, unita sotto la croce alla madre nel medesimo destino, quello di un dolore che ascolta, entrambe: donne in ascolto dell’istinto del loro cuore.

Maria Maddalena
I soldati ridevano:
“Ehi la bella dagli occhi rossi”.
Ma lei non la riuscirono a strappare
da quella croce,
che vi stava con le unghie confitta,
singhiozzando senza voce.
E poi si mise ad asciugargli i piedi
coi suoi capelli
Li asciugava dal sangue
e non osava
alzare gli occhi per guardarlo in viso
(OpOmn, 2007: 233).

Al n. 18 della Costituzione conciliare Gaudium et spes leggiamo: «In faccia alla morte l’enigma della condizione umana raggiunge il culmine. L’uomo non è tormentato solo dalla sofferenza e dalla decadenza progressiva del corpo, ma anche, ed anzi, più ancora, dal timore di una distruzione definitiva. Ma l’istinto del cuore lo fa giudicare rettamente, quando aborrisce e respinge l’idea di una totale rovina e di un annientamento definitivo della sua persona. Il germe dell’eternità che porta in sé, irriducibile com’è alla sola materia, insorge contro la morte».

Nell’imminenza della festività dell’Assunzione, scorrendo le pagine di queste poesie, non mi sarei mai aspettato di trovarne all’improvviso una che potesse esprimere in due righe, al modo di un haiku, il segno grande apparso nel cielo della donna vestita di sole e coronata di stelle che diviene soglia per la speranza umana.

Per l’assunzione di Maria
Perché il tuo corpo è tra le stelle
spera, Maria, la nostra carne oscura.
(Alzati Orfeo, Garzanti, Milano 1958, I32).

Dormitio virginis il nome antico dell’Assunta innalzata

Dormitio dice insieme koimesis sonno, pausatio riposo, transitus passaggio, dies natalis nascita al cielo.

Donna di speranza, che camminò nella fede, nel segno di una provvidenza di amore Maria «avanzò nella peregrinazione della fede e serbò fedelmente la sua unione col Figlio sino alla croce» (Lumen Gentium 18).

Per questo Maria è donna degli inizi e di ogni fine, custode di ogni fede in cammino, colei che indica la via e mostra la meta; nell’erranza sa cosa sia la sosta e il raccoglimento. È la stella mattutina, che trascina fuori tutta la notte, facendola riposare nella luce dell’aurora.

Ora è entrata nella sua morte come prima ancora era entrata nella la morte del Figlio: Maria morta due volte, come ogni madre a cui strappano via il figlio. Così ella muore nel desiderio del sepolcro che nella fede riconosce come la casa nuova del Risorto, la loro casa aperta sull’infinito, ove lei in lui riposa.

Dormono stanchi gli occhi nel volto brunito; ora Maria dorme e ascolta come un tempo il figlio bambino nella casa di Nazaret semmai la chiamasse ancora dall’altra stanza; attende la sua parola che le dice: “Il cuore pronto muovi alla fonte vivente che giunta è per te l’alba, Maria viso grazioso che rifrange dolce in un ultimo Fiat l’eco eterno del tuo Magnificat”.

Uomini, non chiudete quella porta di pietra
o lasciatemi entrare.
Donne, voi lo sapete
che quella è la mia casa
di cui sempre parlavo,
è la mia casa nuova
per me e mio figlio.
Ben la conosco poi che
quante volte
io la vidi nel sogno.
O dolce casa
io bacio le tue porte
che mi facciano entrare
con mio figlio.
Sempre dalle altre case
il mio figlio partiva
per un lungo cammino,
qui viene per restare
con la sua stanca madre
e stanco cuore.

La morte di Maria
S’addormentano gli occhi
stanchi
e il lieve
volto appassito.
Ed ora è come
quelle lontane notti
che sorridente
dubitosa
ella dormiva ed ascoltava
se dalla stanza accanto
la chiamasse il bambino.

L’aspettante cuore muovi
Che appena è l’alba
Muovi alla tua fontana
O fanciulla Maria
Viso d’oliva.
(Chiudere gli occhi e guardare).

Si alzò e andò in fretta

Quale invito a compiere le salite del cuore, l’Assunzione comincia sempre dalla terra; essa ha la forma di una dedizione alla terra, all’umano. Racconta Luca che, dopo il consenso all’annuncio dell’angelo, Maria «si alzò e andò in fretta verso la regione montuosa, in una città di Giuda. Entrata nella casa di Zaccaria, salutò Elisabetta. Appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, il bambino sussultò nel suo grembo. Elisabetta fu colmata di Spirito Santo ed esclamò a gran voce: «Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo!» A questo saluto Maria rispose con il canto del Magnificat.

Si alzò e andò in fretta”. È questo il movimento nuovo e sempre antico della fede: il levarsi e il protendersi verso l’altro nella forma di una diaconia di amore, dove l’andare in fretta non rimanda ad uno stato di ansietà ma, al contrario, di sollecitudine. La parola è composta da sollus = tutto, intero e dalla particella citus = pronto, in movimento fuori e dentro, intento interamente, con piena attenzione, con commozione anche, mossa dall’amore. Questo movimento del credere, della fede come amore e come speranza che principia con l’alzarsi in fretta, viene espresso nel testo di Luca con uno dei verbi usati per esprimere la risurrezione del Cristo.

Si alzò” traduce il greco anastãsa, dal verbo ’anistemi, rialzarsi, essere rialzato e raffigura la fede, come quella piccola risurrezione nel quotidiano, ad ogni ora, di giorno e di notte: la Pasqua dell’estate così è chiamata anche l’Assunzione di Maria, la sua Pasqua, che declina ed attua la fede nel Risorto come quell’abbassamento che innalza, quello svuotamento che riempie, quel perdersi che è un ritrovarsi, quel servire che libera, quel distacco che unisce: la fede voce che abita il suo silenzio.

Canto quel tutto che s’acquista
Tutto perdendo
Io nuda voce
In te nudo silenzio.
(ivi)

Per leggere gli altri articoli di Presto di mattina, la rubrica quindicinale di Andrea Zerbini, clicca sul nome della rubrica o il nome dell’autore.

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Andrea Zerbini

Andrea Zerbini cura dal 2020 la rubrica ‘Presto di mattina’ su queste pagine. Parroco dal 1983 di Santa Francesca Romana, nel centro storico di Ferrara, è moderatore dell’Unità Pastorale Borgovado che riunisce le realtà parrocchiali ferraresi della Madonnina, Santa Francesca Romana, San Gregorio e Santa Maria in Vado. Responsabile del Centro di Documentazione Santa Francesca Romana, cura i quaderni Cedoc SFR, consultabili anche online, dedicati alla storia della Diocesi e di personaggi che hanno fatto la storia della chiesa ferrarese. È autore della raccolta di racconti “Come alberi piantati lungo corsi d’acqua”. Ha concluso il suo dottorato all’Università Gregoriana di Roma con una tesi sul gesuita, filosofo e paleontologo francese Pierre Teilhard de Chardin.

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Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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