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di Laura Fogagnolo

E’ un’interessante pubblicazione ‘Porto Ferrara‘ che chiude gli anni settanta in città. Un mensile d’informazione culturale che ha l’esordio interno alla CoopStudio nel gennaio ‘82, poi, dal numero due del marzo dello stesso anno, l’intera progettazione grafica sarà curata da Claudio Gualandi come libero professionista. Tiratura: cinquemila copie.
E’ un odore di polvere stantia quello che coglie le narici, quando si sfogliano le pagine di questa rivista dal taglio innovativo, unita ad un superbo corredo fotografico.
Anime redazionali ne sono: Luciano Bertasi, Mario Fornasari, Stefano Tassinari, Giuliano Guietti, Sandra Pareschi, Marco Tani, Alberto Tinarelli e Marilena Zaccarini, coadiuvati da una nutrita compagine di collaboratori fissi e saltuari che si alternano nel dibattito sull’attualità, sulle problematiche sociali nonché sul ruolo del sindacato e sulla cultura con incursioni nella critica cinematografica, teatrale e musicale.
Sono le voci e le espressioni dei futuri quadri professionali e dirigenziali dell’Ente Locale, dell’Università unite a quella del Sindacato.
In una nota rivolta alla critica dietrologica, il comitato redazionale afferma testualmente che “la pubblicazione nasce come iniziativa aperta, luogo di espressione e confronto di posizioni diverse dentro la sinistra. Suo scopo è di contribuire ad un innalzamento del dibattito politico e culturale della città e della provincia”.
Gli articoli economici registrano la grave crisi aziendale dell’allora Montedison, uscita da una Cassa Integrazione di dieci mesi nel 1981, quando si paventavano cinquecento licenziamenti per ridimensionamento nel Petrolchimico. L’ex sindacalista, segretario provinciale della Federazione Lavoratori Chimici, e futuro Sindaco della città nella seconda metà degli anni novanta, Gaetano Sateriale auspicava l’apertura di un dibattito culturale sulle scelte di politica industriale e sulle trasformazioni che il tessuto sociale stava subendo.
Negli stessi anni la Berco, l’industria metalmeccanica di Copparo, dopo aver conosciuto uno sviluppo senza precedenti dal ’75 all’80, a causa della saturazione dei mercati e del blocco delle opere pubbliche nei Paesi occidentali, era afflitta da una caduta e da una grave crisi che sboccava nella proposta di riduzione di mano d’opera di centosettantotto unità e l’avviamento alla Cassa Integrazione di duemila operai.
Sorge inevitabilmente, dalla lettura degli articoli economici, una riflessione amara sul destino e sulla sorte della classe operaia oggi, a quasi quaranta di distanza, che ci interroga sul futuro e sulle mutazioni in corso della forza lavoro.
Risolleva, per fortuna, l’umore la lettura dell’articolo di Francesco Monini sulla mostra: Ferrara a Parigi dal diciannove aprile alla fine di maggio dell’82. Rivolta al pubblico cosmopolita di Parigi, l’esposizione rappresentava un assaggio di Ferrara che permetteva alla città di affacciarsi al mondo e di incrementare l’industria turistica, mentre le aziende di casa se la passavano male.
Si delineano, in quegli anni, le direttrici della promozione turistica della città che daranno frutti duraturi con le grandi mostre di Palazzo dei Diamanti, patrocinate dal genio di Franco Farina, e le iniziative culturali che faranno conoscere Ferrara a livello europeo ed internazionale.

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Redazione di Periscopio


Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

Periscopio è quindi un giornale popolare, non nazionalpopolare. Un quotidiano “generalista”,  scritto per essere letto da tutti (“quelli che hanno letto milioni di libri o che non sanno nemmeno parlare” F. De Gregori), da tutti quelli che coltivano la curiosità, e non dalle elites, dai circoli degli addetti ai lavori, dagli intellettuali del vuoto e della chiacchiera.

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Francesco Monini
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