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Guido Barilla è uno dei più influenti imprenditori europei, presidente della Barilla, della quale spesso mettiamo in tavola i maccheroni. In una recente intervista al quotidiano La Stampa, che potete leggere a questo link (https://www.lastampa.it/economia/2021/06/11/news/barilla-ragazzi-rinunciate-ai-sussidi-e-mettetevi-in-gioco-1.40377847),

Barilla ha dichiarato: “Molte persone scoprono che stare a casa con il sussidio è più comodo rispetto a mettersi in gioco cercando lavori probabilmente anche poco remunerati….C’è un atteggiamento di rilassamento da parte di alcuni che io spero termini perché invece serve l’energia di tutti”. E poi ha fatto un appello ai giovani: “Rivolgo un appello ai ragazzi: non sedetevi su facili situazioni, abbiate la forza di rinunciare ai sussidi facili e mettetevi in gioco. Entrate nel mercato del lavoro, c’è bisogno di tutti e specialmente di voi”. In effetti, credo che i suoi figli potrebbero farlo: cercare lavori poco remunerati. Mettersi in gioco, come dice con questo sconcertante topos linguistico utilizzato, chissà perchè, sempre da gente col culo parato. I suoi figli (ben cinque bocche da sfamare) potrebbero mettersi in gioco, a 600 euro mese per 10/12 ore al giorno di lavoro precario: farebbero persino un figurone. Tanto con papà riuscirebbero comunque a mettere su l’acqua per i maccheroni. Con parsimonia, dal momento che il  patrimonio personale di Guido dopo il 2019 è sceso (di poco) sotto il miliardo di dollari. Del resto, non crederete mica che Guido si sia messo in gioco con un soldo di cacio in tasca: prima di diventare dirigente della Barilla, campava all’università coi soldi del padre Pietro, a sua volta nipote del fondatore dell’azienda di famiglia.

Un’altra che la pensa allo stesso modo, dal basso della sua storia di pasionaria coi soldi dei mariti (numerosi, mai uno che facesse il ferroviere o il bagnino), è Daniela Santanchè, che se la prende col reddito di cittadinanza che fa stare in poltrona i ragazzi, invece di spaccarsi la schiena sui suoi ombrelloni per la stessa cifra. Guai poi a parlarle di contratti da rispettare e di paga minima, le viene l’orticaria.

Dentro questo quadro non poteva mancare la quintessenza del parassitismo travestito da laboriosità, tal Matteo Salvini, che non ha mai fatto un lavoro in vita sua tranne il leghista, mestiere peraltro nel quale gli va riconosciuto un certo talento, a dispetto del viale del tramonto che ha ormai imboccato – del resto, tutto ha un inizio e una fine. Il vate della gente semplice e operosa del Nord non ha perso tempo per illustrare il suo ultimo sillogismo: se lo Stato ti dà 600 euro per oziare in poltrona e un ristoratore ti offre la stessa cifra per fare il cameriere, “la soluzione la lascio intuire”, dice il genio. Ovviamente il problema non sta nel fatto che fare il cameriere d’estate a 600 euro mese, per servizi da 10 ore al giorno mediamente, significa essere pagato 3 euro all’ora: un terzo della paga oraria di un lavoratore agricolo in regola, ma giusto la cifra che danno ai clandestini per tirare su pomodori, tanto per capire chi è che guadagna (anche in termini di propaganda) dalla cosiddetta “immigrazione clandestina” in Italia.

Quando leggo cose come queste mi viene nostalgia dei tempi in cui al povero Giovannino Agnelli facevano fare sei mesi da operaio sotto copertura alla Piaggio, per capire cosa producevano quelli che da lì a poco sarebbero stati i suoi operai. Un altro stile, persino nel familismo. Il capitalismo nepotista italiano ha sempre tramandato il potere a figli e nipoti; la sfida, quella vera, del “mettersi in gioco” a 600 euro, quella l’ha sempre lasciata ai figli della plebe. Adesso lo fa senza un velo di ritegno, senza un briciolo di savoir faire, senza un’oncia di decoro. Che gente oscena.

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Nicola Cavallini

E’ avvocato, ma ha fatto il bancario per avere uno stipendio. Fa il sindacalista per colpa di Lama, Trentin e Berlinguer. Scrive romanzi sui rapporti umani per vedere se dal letame nascono i fiori.

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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