di Nello Scavo
Pubblicato da Avvenire il 18 agosto 2023
Il partito di Matteo Salvini aveva attaccato una parrocchia di Saronno. Sentenza definitiva. Ora la Lega rischia una montagna di denunce e risarcimentri per l’uso improprio del termine «clandestino»
Chi arriva in Italia per chiedere protezione non può essere chiamato «clandestino», neppure in un manifesto politico. Lo ha sancito la Cassazione che ha respinto un ricorso della Lega, ricordando al partito di Matteo Salvini che la libertà di fare politica «non può essere equivalente, o addirittura prevalente, sul rispetto della dignità personale degli individui».

La sentenza, depositata il 16 agosto, conclude una vicenda iniziata nel 2016 quando per contrastare l’assegnazione di 32 richiedenti asilo a un centro di assistenza messo a disposizione da una parrocchia di Saronno, la Lega aveva convocato una manifestazione affiggendo cartelli per i quali ora il partito dovrà pagare un risarcimento: «Saronno non vuole i clandestini. Vitto, alloggio e vizi pagati da noi. Nel frattempo, ai saronnesi tagliano le pensioni e aumentano le tasse, Renzi e Alfano complici dell’invasione».

Le associazioni Asgi e Naga avevano agito in giudizio davanti al tribunale, affermando che qualificare i richiedenti asilo come clandestini costituisce «molestia discriminatoria», un comportamento idoneo a offendere la dignità della persona e a creare un clima umiliante, degradante e offensivo. I giudici di primo e secondo grado avevano già accolto le ragioni delle associazioni, condannando la Lega a pagare anche un risarcimento del danno. Ma il partito di Matteo Salvini aveva poi proposto il ricorso in Cassazione, perdendo anche quest’ultimo.

Secondo la Corte «gli stranieri che fanno ingresso nel territorio dello stato italiano perché corrono il rischio effettivo, in caso di rientro nel paese di origine, di subire un “grave danno”, non possono a nessun titolo considerarsi irregolari e non sono dunque “clandestini”». La Corte ha anche respinto la tesi degli avvocati della Lega che invocavano il diritto del partito politico alla libera manifestazione della propria posizione. I giudici hanno dovuto ricordare che «il diritto alla libera manifestazione del pensiero, cui si accompagna quello di organizzarsi in partiti politici, non può essere equivalente o addirittura prevalente, sul rispetto della dignità personale degli individui».

Per la Lega e per Matteo Salvini vi è ora il serio rischio di dovere affrontare decine di cause giudiziarie e una montagna di risarcimenti, poiché la decisione della Cassazione diventa integrante nella giurisprudenza. In questi anni decine di interventi pubblici di esponenti leghisti hanno adoperato la terminologia bocciata dalla Cassazione, e che spesso è stata usata sui social network anche dai vertici del partito.

«La sentenza, benché riferita a una vicenda di anni fa, dice molto anche alla politica di oggi – commenta l’avvocato Alberto Guariso che aveva presentato le denunce con il collega Livio Neri, entrambi di Asgi – e in particolare sulla inaccettabile consuetudine di continuare a usare il termine “clandestini” per coloro che arrivano sul nostro territorio, comunque arrivino, per cercare protezione: persone con una dignità da rispettare e non clandestini».