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Quali sono gli effetti della bruttezza, soprattutto di quella specie di bruttezza che si confronta e si oppone all’etica? Questi effetti sono sicuramente disgustosi e a volte terribili come il più feroce di tutti: quello che ha distrutto non solo le testimonianze della bellezza, sporcando e infierendo contro l’arte e i musei, case della bellezza. ma che ora, spostando il tiro, si spinge a uccidere e a terrorizzare i giovani cristiani, nella casa del sapere che è l’università cristiana del campus di Shabaab a Garissa…
L’odio per la cultura e l’ossessione della Storia. La più bieca tra le forme di bruttezza che sporca e la ragione e il sentimento. Il crasso velo di ignoranza che si fa scudo di un grido: è la guerra che lo vuole e così “vi colpiremo ancora!” Ignobile.

Ma nel nostro mondo occidentale altre forme di bruttezza rimangono impunite quasi giustificate da un pensiero che a livello razionale suona altrettanto disgustoso della violenza esercitata sulle opere d’arte o sulle persone di altre religioni. Il bullismo esercitato nella scuola di Cuneo da un gruppo di studenti in gita che non si limitano ad esercitare in una specie di sadico rituale, una violenza di gruppo verso un compagno ubriaco e semincosciente, ma a filmarlo, a scattare selfie e documentazione di una azione sporca e disgustosa. Depilazione delle gambe, bruciature, scherzi sessuali fino a cospargere d’urina il corpo ormai diventato oggetto del compagno steso in una vasca da bagno; fino a decorare quella povera carne di caramelle. Ma ancora, come nella violenza jaihadista, la fa da padrona la scrupolosa documentazione filmica di questa vicenda perché la vera realtà non può fare a meno di quella parallela, virtuale ma ormai per gran parte di noi, vita “vera”.

Ma ancora il peggio deve avvenire. Gli eroi di tanta impresa, scoperti, interrogati, puniti dai professori e dalla preside ora vengono difesi da qualche genitore che ha trovato eccessiva la pena inflitta in quanto sarebbe stato giusto che i ragazzi se la fossero vista tra di loro Una ragazzata, insomma. A questo si vorrebbe fosse ridotto il ruolo della scuola ormai fortino espugnato dall’”altra realtà” virtuale.

“Ai nostri tempi” c’era sì il bullismo, la violenza come disperato tentativo di ribellarsi alla costrizione di un sapere che veniva indotto con il potere esercitato dalla struttura stessa della scuola. E basti pensare a quello che accadeva nelle scuole inglesi o in quelle irlandesi o anche in certi istituti privati italiani, ma la democrazia aveva aperto un dialogo che eccetto alcuni casi immediatamente denunciati non scalfivano l’interazione tra docenti e discenti perché gli insegnanti detenevano non la potestas ( ovvero il potere militarmente inteso) ma l’auctoritas un potere che viene dall’essere dispensatori di sapere.

Cosa è rimasto di questa scuola che umilia gli insegnanti e li rende comunque ricattabili dalla realtà virtuale? Suona dunque eroica la sentenza e la punizione comminata dalla preside di Cuneo e dal corpo insegnante. Il risultato però è vanificato dal virtuoso genitore che trova l’episodio uno scherzo e ritiene eccessivi i metodi di repressione del bullismo.
Così la bellezza del sapere, la scuola educatrice di vita si trasforma nella banale e pessima idea convenzionale di “così fan tutti” .

E meno male che questa gloriosa impresa non è stata commessa da extracomunitari sicuramente dichiarati degna di quella fascistica idea del “Oh bongo bongo bongo stare bene solo al Congo” a cui tanti militanti leghisti sembrano credere.

La bruttezza poi si esercita come violenza indotta verso i detentori della bellezza. Si veda la fine immonda fatta dall’ultimo discendente della più ricca stirpe americana: i Getty. Trovato morto e dissanguato oscenamente nudo dalla cintola in giù. I Getty che avevano eretto i templi della bellezza con i loro musei e che erano finiti dentro le spire della paranoia col vecchio che si era creato una specie di difesa invalicabile anche qui pensando a una realtà altra dove gli echi della vita reale non dovevano entrare anche quando la mafia taglia l’orecchio in Italia a un suo nipote e lui vorrebbe fargli pagare il riscatto o a quest’altro distrutto dalla droga.

E cosa possono fare contro questi esempi il delicato potere e l’”aura” che spirano da un quadro, da una statua, da un libro? Un altro anche se diverso esempio di violenza.

E’ giusto che la biblioteca di Storia dell’arte della Gnam di Torino debba essere aperta solo una mattina a settimana perché non ci sono i soldi per tenerla aperta? E impedire così lo studio della bellezza?

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Gianni Venturi

Gianni Venturi è ordinario a riposo di Letteratura italiana all’Università di Firenze, presidente dell’edizione nazionale delle opere di Antonio Canova e co-curatore del Centro Studi Bassaniani di Ferrara. Ha insegnato per decenni Dante alla Facoltà di Lettere dell’Università di Firenze. E’ specialista di letteratura rinascimentale, neoclassica e novecentesca. S’interessa soprattutto dei rapporti tra letteratura e arti figurative e della letteratura dei giardini e del paesaggio.

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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