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“Abbiamo respirato, anche se pur in superficie, la visione di un “nuovo” cattolicesimo dove il sentimento vede il mondo diviso tra il bene e il male, tra il giusto e l’ingiusto, tra deboli e forti, tra ricchi e poveri”.

Questa la parte conclusiva di un editoriale del Corriere della sera, uscito alcuni mesi fa, dedicato al premier e all’eredità democristiana, e che pare abbia interessato non pochi.
Anche negli ultimi tempi si sono sentiti alcuni allineamenti: come il rivivere la vicenda degasperiana nella prossima Festa nazionale dell’Unità; come il dare una fortissima discontinuità alla futura presidenza in Emilia Romagna alle prossime elezioni regionali; come rimettere in discussione il vecchio modello che gli amministratori sindaci, ancora timbrati, resistono a mantenere e che potrebbe essere facilmente rimosso (basterebbero due decreti e regolamenti attuativi immediati) accorpando Comuni, Municipalizzate e partecipazioni ed assimilabili.
Se quei quaranta punti dicono qualcosa, e lo dicono perché raccolti col consenso popolare, forse si può dire, con dei rivoluzionari atti di governo, che da qui inizia la nuova sinistra del Pd.
Questo Pd sembra somigliare in tutto alla Dc: l’ampia base sociale, un interclassismo ammodernato, un pluralismo post-ideologico, democrazia, giustizia, crescita e solidarietà nello stesso largo contenitore, l’attenzione agli ultimi e agli esclusi, un partito nazione, ritrovate convergenze tra moderati e riformisti, un nord con il sud ed altro ancora.

Forse è e potrà essere anche così. La sintesi, forse, supera la soglia perché le storie dei due partiti sono diverse: il quadro internazionale è andato oltre la caduta del Muro di Berlino, ci sono stati profondi cambiamenti economici e sociali, la Chiesa di Francesco ha un volto e uno sguardo più aperto sul mondo, ed altro ancora.
Il paragone, però, non deve essere visto come un male, come non è un male che la storia degli ultimi cinquant’anni abbia collocato l’Italia tra i primi cinque Paesi al mondo per crescita, benessere, ricchezza, reddito e sviluppo diffuso.
Certo, anche quando si cresce moltissimo e con disordine possono anche sorgere ingiustizie, disuguaglianze, torti sociali, vizi pubblici e privati, dualismi geopolitici, sacche di povertà e perdite di valori e di solidarietà. E’ stato un tempo lungo e complesso, anche per le vicende degli uomini, dei gruppi dirigenti del Paese, di storture e malversazioni, di privilegi e delinquenze, di attività malavitose anche diffuse, di conflitti tra i popoli e le nazioni, di guerre e del contesto post bellico con la Guerra fredda e della divisione del mondo in due blocchi, anche con il terzomondismo.
Non è una giustificazione, ma solo l’elenco di pezzi di storia vissuta, di cui ognuno di noi porta il peso, la responsabilità, ma anche le tantissime virtù e i nostri radicati umanesimi. Se in questo spaccato proviamo a ricercare i punti forti che uniscono, per poter guardare oltre, forse quel confronto tra Pd e Dc potrà essere lasciato ai politologi e, certamente, il parlarne ci può aiutare nell’andare avanti.

Si dice che oggi occorre “deglobalizzare” e “riglobalizzare”, in altri termini bisogna ricondurre alcune questioni politiche alle scelte dei territori e, contemporaneamente, ricercare una maggiore equità fra nord e sud del mondo.
Ciò non significa contrapporre la nostra storia e la nostra sensibilità a quella degli altri, ma si tratta di animare il dibattito politico e le realtà locali con l’operosità e l’attenzione ai principi che ci sono propri, consapevoli della responsabilità di tradurli nella mediazione culturale e politica.
Ben sette decenni di storia, partendo da Camaldoli, come lo stesso Papa Francesco ha sottolineato recentemente, dimostrano il grande valore di quelle elaborazioni di alta cultura politica che ancora oggi, con gli opportuni ammodernamenti, possono essere di grande utilità al Paese e all’Europa intera.

Oggi, pur nelle diverse condizioni storiche, siamo di nuovo a un passaggio d’epoca, ad un nuovo riformismo. Le sollecitazioni sociali, economiche, la dimensione sovranazionale dei problemi, le straordinarie accelerazioni dell’universo tecnologico e scientifico richiedono un cambio di paradigma dello sviluppo. E il primo degli impegni deve essere un ricominciare insieme, sostituendo a egoismi e furbizie la generosità e l’intelligenza.
Sappiamo, infine, che anche altre storie, altri umanesimi, altre culture politiche possono e debbono stare in quel ricominciare insieme, un messaggio che speriamo possa essere accolto.

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Enzo Barboni


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Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

Periscopio è quindi un giornale popolare, non nazionalpopolare. Un quotidiano “generalista”,  scritto per essere letto da tutti (“quelli che hanno letto milioni di libri o che non sanno nemmeno parlare” F. De Gregori), da tutti quelli che coltivano la curiosità, e non dalle elites, dai circoli degli addetti ai lavori, dagli intellettuali del vuoto e della chiacchiera.

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