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di Achraf Kibir

LONDRA – Prepariamoci a una Brexit dura, durissima. Quasi sei mesi dopo il referendum del 23 giugno, Theresa May ha finalmente espresso la linea che intende adottare sulla Brexit: sarà un divorzio “hard” anziché “soft”. Martedì a Lancaster House, il Primo Ministro britannico ha scelto di uscire completamente dal mercato unico, di non dipendere più dalla Corte Europea di Giustizia (riacquistando il controllo completo sull’immigrazione), piuttosto che fruire dell’accesso al mercato unico europeo e dell’unione doganale. “Non un piede dentro e uno fuori”, ma una vera e propria presa di posizione Thatcheriana. O quasi. La futura politica sull’immigrazione resta infatti tutt’ora incerta: nel suo discorso Theresa May dichiara di non voler garantire unilateralmente e indiscriminatamente i diritti di residenza degli europei oltre manica, ma rimane vaga sulle misure concrete da adottare, conscia dell’importanza del flusso di talenti provenienti dall’estero. Una cosa però è certa: la minaccia di dumping fiscale da parte di Londra in caso di misure di ritorsione europee alla Brexit mette con le spalle al muro il Club dei 27. Due sono le strade praticabili dall’Europa: o trova un terreno d’intesa con Londra (la quale, tramite le parole della Prima Ministro, si è detta disposta a rinegoziare gli accordi di libero scambio con l’Unione Europea – o con i singoli Governi – in determinati settori strategici, come quello automobilistico o aeronautico) oppure l’Inghilterra potrebbe allargare i suoi orizzonti verso la Cina, il Brasile, l’Australia e gli Stati Uniti. In particolare, il Regno Unito beneficerà a pieno dell’arrivo alla Casa Bianca di un euroscettico come Donald Trump. Almeno si è fatta chiarezza, direbbe qualcuno. Ma il discorso di Theresa May eleva Londra in una posizione di forza nel braccio di ferro delle negoziazioni, anche se per il Regno Unito i frutti della Brexit, semmai si dovessero concretizzare, verranno alla luce molto lentamente. E fino ad allora May avrà bisogno dell’Europa. Sarà perciò interessante osservare le prossime mosse del Vecchio Continente.

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Redazione di Periscopio

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Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno. L’artista polesano Piermaria Romani si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE
di Piermaria Romani


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