La ragnatela dei ‘mandarini’
che blocca il cambiamento
“Nell’era della globalizzazione i mandarini della burocrazia costruiscono labirinti di norme e misurano il tempo con la clessidra”.
In più circostanze della politica abbiamo gradito la presenza dell’elefante nella cristalleria, un mobiletto vetrato da ogni lato dove pregiati cristalli trovano, sovente, dimora; una cristalleria immaginata nella pubblica amministrazione dove quell’elefante (renziano) aveva dato speranza ma che ultimamente ci appare un po’ stanco.
Da cento giorni si è passati a mille giorni, forse pensando di recuperare, anche in salute, e così, dandogli un po’ di tempo, abbandonando la clessidra, di poter stanare quei burocrati pieni di supponenza, per essere gentili, e che bloccano ogni aria e vento nuovi, come sinetizza il ‘Corsera’ nella citazione riportata in capo al pezzo.
Sì, stiamo parlando dei burocrati, anzi per meglio dire dei mandarim, dei mantrim, dei guan, dei man, dei mandaren, e non importa da dove provengono le loro espressioni, quello che ci pare interessante è che sono un gruppo sociale, ormai disseminato un po’ ovunque, e per saperne di più, ecco cosa si dice di loro:
Mandarini
Antichi funzionari dell’Impero cinese. Nella Cina imperiale i mandarini erano i potenti e rispettati funzionari dello Stato che per secoli garantirono il buon funzionamento dell’impero e il controllo delle autorità sulla società. Per diventare mandarini bisognava superare un esame molto difficile che si basava sulla cultura generale e sulla conoscenza dei testi confuciani.
Gli esami
Il termine mandarini (dal portoghese mandarim) fu coniato nel XVII secolo dai viaggiatori portoghesi per designare i funzionari civili e militari dell’Impero cinese (Cina, v. anche Cina, storia della). Probabilmente si trattò di un adattamento al portoghese del termine malese mantri, a sua volta del sanscrito mantrin, che significa «consigliere». Da allora in poi in Europa fu comunemente usato per indicare la casta dei ko-han (questo è il vocabolo cinese).
Per diventare funzionari imperiali bisognava partecipare a un rigoroso concorso pubblico e superare esami molto difficili. Il concorso era aperto ai sudditi di ogni ceto sociale, ma erano favoriti i giovani delle famiglie delle classi più elevate, che potevano garantire ai figli un’adeguata istruzione. La selezione si basava sulla cultura generale e sulla conoscenza dei testi del VI e V secolo a.C. del filosofo Confucio, della letteratura e della storia. La cultura era considerata, infatti, uno dei requisiti essenziali di un buon funzionario.
I compiti
Ai vincitori era assegnato il governo di una provincia, dove era loro proibito avere possedimenti personali. Non potevano governare la stessa provincia per più di tre anni, per evitare che consolidassero posizioni di dominio e sviluppassero interessi personali. I mandarini erano divisi in una gerarchia articolata in nove ranghi, identificati da bottoni di diverso colore cuciti sul copricapo. Il loro compito, simile a quello dei moderni tecnocrati, era di garantire l’efficienza della macchina dello Stato e prendere decisioni sagge per il buon andamento della vita civile ed economica del territorio.
Ai mandarini erano affidati la riscossione delle imposte, l’amministrazione della giustizia, l’organizzazione della polizia e il controllo dell’ordine pubblico, la realizzazione e manutenzione delle opere pubbliche e delle infrastrutture (canali, strade, ponti, dighe, sistemi d’irrigazione). Essi dovevano attrezzare e proteggere la comunità contro i rischi di inondazioni e i periodi di siccità, molto frequenti in Cina.
Si trattava di un lavoro di natura esclusivamente intellettuale: fin dai tempi del pensatore Mencio (IV – III secolo a.C.) la cultura cinese divideva gli uomini in coloro che ‘pensano’ e coloro che ‘faticano’. I primi devono governare e comandare, i secondi ubbidire e mantenere i governanti con il proprio lavoro. Le unghie lunghissime che i funzionari-letterati si lasciavano crescere erano il simbolo del rifiuto e disprezzo per ogni genere di lavoro manuale.
Un gruppo privilegiato
I mandarini costituivano un gruppo ristretto e privilegiato, che conduceva una vita agiata in lussuose residenze e godeva di grande prestigio sociale. Fu anche la compattezza e l’influenza di questa casta che impedì all’Impero cinese, vastissimo e tormentato da guerre civili e ribellioni, di disgregarsi. Molti ricchi proprietari terrieri cercarono di crearsi un dominio personale e i contadini organizzarono frequenti ribellioni contro un sistema che li costringeva alla miseria. In questa caotica situazione i mandarini salvaguardarono principi come il culto dello Stato e dell’ordine, il senso della disciplina e il rispetto dell’autorità, che erano l’essenza della tradizione confuciana. Essi impedirono anche che l’affermazione di religioni alternative al confucianesimo, come il taoismo, diffondesse valori pericolosi per la stabilità dell’impero.
Contribuirono anche a garantire all’Impero un forte controllo su tutti i ceti della società, per cui in Cina non poté svilupparsi un capitalismo simile a quello occidentale: i ricchi mercanti erano controllati dallo Stato e non ebbero mai la libertà di cui disponevano i capitalisti in Europa. L’influenza dei mandarini sulla cultura e nella società cinese è testimoniata dal fatto che, in una nazione caratterizzata da una grande varietà di dialetti, fu proprio la loro «lingua burocratica» (in cinese guanhua) che diventò la lingua ufficiale dell’Impero, da cui deriva il cinese ufficiale odierno.
Con questo breve spaccato, lasciamo al lettore di attualizzare quel lontanissimo tempo cinese e affrontarlo nell’oggi, per capire quante difficoltà si dovranno incontrare per rimuovere le incrostazioni nella Pubblica amministrazione e, soprattutto, con quegli apicali, anche il gradino sotto, che ostacolano e provano continuamente ad ostacolare ogni atto del cambiamento.
Se ci riuscissero a “cambiare verso”… ma debbono fare presto, a cominciare dai piccoli e grandi Comuni, dalle piccole e grandi Regione, piccole e grandi aziende municipalizzate, fino a quei benedetti e maledetti ministeri di cui non se ne può più. Se ci riuscissero, segnerebbero un tempo nuovo per la politica e una parte della speranza incamerata nell’anima del Paese.