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23 maggio 1969: scoppia la ribellione Rosariazo contro la dittatura militare. 

Entro la fine degli anni ’40, l’industrializzazione guidata dalla sostituzione delle importazioni stava raggiungendo i suoi limiti. Le concessioni per la classe operaia e la sua forza istituzionalizzata limitavano il tasso di sfruttamento e ostacolavano i profitti. L’apparato statale necessario al clientelismo peronista, con il suo esercito di impiegati impiegati nei sindacati, negli ospedali, nelle scuole, ecc., costituiva un onere crescente per la realizzazione del plusvalore a livello nazionale. L’arcaico commercio agricolo dell’Argentina, i cui profitti costituivano ancora la principale fonte di finanziamento per lo Stato, e che erano sfidati dalla concorrenza dei paesi occidentali più avanzati, iniziò a imporre limiti sempre più pressanti al sistema peronista. Per cercare di sopravvivere, Pedron doveva cercare investimenti esteri e soprattutto doveva disciplinare la classe operaia. I compromessi che Pedron cercava non piacquero alla classe alto borghese del paese. Nel settembre 1955 un colpo di stato militare sostituì Peron, giocando populisticamente anche sulla delusione dell’opinione pubblica per gli accordi con la Standard Oil (accordi con gli USA per lo sfruttamento del petrolio fonti in Patagonia).
Lo scopo del nuovo governo militare era innanzitutto quello di ridefinire gli equilibri di potere tra datori di lavoro e lavoratori, poiché, secondo la federazione dei datori di lavoro dell’industria metallurgica, i luoghi di lavoro erano “come un esercito in cui le truppe danno gli ordini e non i generali”.

C’è stata una forte risposta dei lavoratori di base alle nuove misure economiche. Tra il 1955 e il 1959 circa quattro milioni di giornate lavorative furono perse ogni anno a causa degli scioperi. Nel 1959 i giorni persi per scioperi salirono a dieci milioni. I lavoratori non hanno esitato a considerare occupazioni, sabotaggi e uso di esplosivi. Nonostante la lotta nel ’60 furono introdotti il lavoro a cottimo, e imposte nuove accelerazioni.

La tensione sociale era altissima, ma il movimento ebbe un rallentamento. Anni di battaglie, anche violente, ma nessuna conquista ancora. In mezzo a quella crescente tensione sociale però, una lotta studentesca travolse il paese nel 1966. Un nuovo regime militare prese il potere lo stesso anno e distrusse il movimento, ma non riuscì a fermare il processo di politicizzazione nelle università che era iniziato con esso. La radicalizzazione degli studenti e il loro coinvolgimento nelle lotte operaie sarebbero stati infatti un elemento importante nelle successive vicende insurrezionali del 1969.
Come successe in molte zone del mondo, quelli furono anni di alleanza tra studenti e operai, tra idealisti e realisti. Diversamente da le altre lotte, in Argentina i moti rivoluzionari di quegli anni furono sia lotta di classe, ma anche lotta contro un regime militare politico.

Il nuovo governo militare, guidato dal generale Ongania, si presentò inizialmente come ideologicamente corporativo e il suo colpo di stato fu accolto favorevolmente dalla maggior parte dei sindacati. Gli studenti cercarono di mettere in guardia su ciò che sarebbe successo dopo, ma la loro voce fu repressa nella violenza.  Ma nel 1967 le politiche economiche del governo si spostano verso la liberalizzazione e la razionalizzazione, adottando politiche antinflazionistiche che portano al crollo delle imprese non competitive, riducendo le barriere all’ingresso di capitali stranieri, e tagliando i poteri e le risorse dei sindacati.

Dal 1968 gli operai insorsero di nuovo in un crescendo di scioperi culminati con grandi eventi insurrezionali nel 1969, il Cordobazo. La tensione nella città industriale di Cordoba si è sviluppata principalmente attorno alle questioni dell’abolizione della settimana lavorativa di cinque giorni e dell’istituzione delle quitas zonales, regioni in cui i padroni potevano pagare meno del salario concordato a livello nazionale, che comprendeva la regione di Cordova .

Questo stesso giorno, il 23 Maggio 1969, il più grande sciopero di questi anni scoppiò a Rosario, nella regione di Cordoba. Uno sciopero che era prima di tutto guerra alla dittatura militare, guerra a alla violenza e brutalità della polizia militare, e anche lotta di classe. Il paese fu sequestrato e difeso sulle barricate dalla polizia, che uccise molti militanti.
Sebbene le insurrezioni furono violentemente represse con la violenza, lo Stato dovette ripristinare la contrattazione collettiva con i sindacati e moderare le loro nuove politiche economiche. Furono le prime conquiste in un paese che prima non ne aveva.

La lotta in Argentina non si ferma, e da allora non è si è mai fermata. Numerose sono state le conquiste, ma ancora numerose sono le tutele che mancano. Questo Paese, questi lavoratori e studenti, sono l’esempio che la lotta paga, e che non bisogna indietreggiare mai.

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Filippo Mellara

Abito a San Lazzaro (BO) e sono uno studente universitario di scienze della comunicazione. Impegnato socialmente nel cercare di creare un futuro migliore, più equo e giusto per tutti. Viaggiatore nel mondo fisico e spirituale, ritengo che la ricerca del sé sia anche la ricerca del NOI. Cresciuto tra Stato e Rivoluzione e Bertolt Brecht.

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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