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27 giugno 1980

La partenza del volo di linea IH870 della compagnia aerea Itavia era prevista per le 18:15, dall’aeroporto di Bologna-Borgo Panigale e diretto all’aeroporto di Palermo-Punta Raisi.
Durante la calda estate bolognese si imbarcarono sul volo civili e lavoratori, famiglie e bambini diretti verso le mete estive, studenti fuorisede intenti a tornare a casa alla fine dell’anno accademico.

Quello stesso giorno, il 27 giugno 1980, dopo quasi due ore di viaggio, alle 20:59, l’aereo scomparve dai radar all’altezza di Ustica.
Le ricerche da parte dei soccorritori cominciano la notte stessa. I primi ritrovamenti arrivano alle prime ore dell’alba. Inizialmente vengono avvistati alcuni detriti del DC-9 galleggiare sul Mar Tirreno, e successivamente i sommozzatori trovano i resti dell’aereo sul fondale marino, e con esso gli 81 morti: 77 passeggeri e 4 membri dell’equipaggio.

Le prime ricostruzioni dell’aeronautica militare parlano di uno sfortunato incidente, di un cedimento strutturale dell’aereo. Sono in molti a credere a questa versione, soprattutto in seguito alla rapida smentita arrivata dalla compagnia aerea. I familiari, molti giornalisti e un’apposita commissione d’inchiesta la pensano diversamente dalla versione ufficiale dell’aeronautica.
Il DC-9 è esploso in volo. Rimane da stabilire quali siano state le cause dell’esplosione. Vengono formulate diverse ipotesi riguardo la natura, la causa e le dinamiche dell’incidente: i militari sostengono la tesi di un attentato terroristico, ipotizzando una bomba in bagno o nella stiva. Ma la tesi più battuta, per giunta accettata con valenza in sede legale, riguarda il coinvolgimento del DC-9 in uno scontro a fuoco tra aerei francesi, americani e libici.

Cominciano i processi che nel corso di trent’anni si concludono con un nulla di fatto sul piano penale. In sede civile, tuttavia, la Corte di Cassazione nel 2013 condanna lo stato italiano a risarcire i parenti delle vittime e dichiara che non solo il DC-9 fu abbattuto, ma che vi furono numerosi tentativi di depistaggio da parte dell’Aeronautica militare.

E proprio dell’Aeronautica militare fanno parte numerosi soldati morti in circostanze poco chiare tra il 1980 e il 1995, tutti stranamente collegati alla strage di Ustica. Sono 12 i decessi, di cui alcuni veramente sospetti.
Roberto Boemio, ad esempio, viene ucciso il 12 gennaio 1993 a Bruxelles durante una rapina. La morta del militare avvenne poche settimane prima della testimonianza che avrebbe dovuto fare. La cosa forse più sospetta fu però che in quella rapina non venne rubato nulla, e rimase ucciso solo il militare italiano.
Altrettanto sospetta è la morte di due piloti della Nato, i colonnelli Mario Naldini e Ivo Nutarelli. Questi morirono il 28 Agosto 1988 nella collisione tra due aerei durante un’esercitazione delle Frecce Tricolori avvenuta proprio nella base militare di Ramstein. La sera della strage di Ustica erano entrambi in volo e inviarono un segnale di “emergenza generale” da sopra il territorio italiano.
Soprattutto ci sono i numerosi casi di suicidio di militari presenti quella sera del 27 giugno. Il primo è quello del maresciallo Alberto Dettori, il 31 marzo 1987, trovato impiccato a Grosseto in una “posizione innaturale”, secondo il referto della polizia scientifica. Il maresciallo, la sera della strage di Ustica, era in servizio presso il radar di Poggio Ballone. Un altro suicidio sospetto è quello del maresciallo Franco Parisi, il 21 dicembre del 95. Questo avvenuto addirittura pochi giorni prima della deposizione che il maresciallo avrebbe dovuto fare in merito al ritrovamento di un Mig libico in Sila, probabilmente collegato con la vicenda di Ustica.

Sotto la pressione di un’opinione pubblica che aveva ormai capito la complicità dello stato, una dichiarazione sembra aprire la strada verso la verità. Nel febbraio del 2007, l’allora (al tempo della strage) Presidente del Consiglio Francesco Cossiga dichiarò che l’aereo fu abbattuto da un missile sparato da un caccia francese, il quale mirava a un Mig libico che viaggiava coperto dalla scia dell’aereo civile.
A distanza di quarant’anni dalla strage, sembra sicuro che la scia del DC-9 quella sera fu seguita da un aereo militare libico per sfuggire ai controlli radar. Ipotizzando la presenza di Gheddafi a bordo di quel velivolo, due caccia, uno americano della NATO e uno straniero, si misero al suo inseguimento e ingaggiarono una battaglia non autorizzata, causando così l’abbattimento del DC-9.

Ancora oggi l’Aeronautica militare nega tale versione dei fatti, confermata anche dall’allora presidente del consiglio, nonché da anni di indagini. Nonostante l’evidente complicità dello Stato, e numerosi tentativi di insabbiamento, a distanza di quarant’anni ancora la verità non è stata acclarata, e i colpevoli di questa strage non sono stati puniti.

In copertina: il museo della tragedia di Ustica con i rottami dell’aereo Itavia recuperati in mare (foto Wikimedia Commons)

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Filippo Mellara

Abito a San Lazzaro (BO) e sono uno studente universitario di scienze della comunicazione. Impegnato socialmente nel cercare di creare un futuro migliore, più equo e giusto per tutti. Viaggiatore nel mondo fisico e spirituale, ritengo che la ricerca del sé sia anche la ricerca del NOI. Cresciuto tra Stato e Rivoluzione e Bertolt Brecht.

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno. L’artista polesano Piermaria Romani si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE
di Piermaria Romani


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