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13 giugno 1936
August Landmesser rifiutava il saluto ad Hitler per amore della moglie e delle figlie

August Landmesser, operaio navale ad Amburgo, padre e marito, antinazista ed unico tra centinaia e centinaia di persone a rifiutare il saluto ad Adolf Hitler.
Era questo stesso giorno, il 13 giugno del 1936, e il Fuhrer era arrivato all’arsenale di Amburgo per l’inaugurazione della nave Horst Wessel. Al suo passaggio furono centinaia le braccia che si alzarono al cielo: operai, impiegati, dirigenti e proprietari, tutti a salutare il Fuhrer. Tutti tranne Landmasser. Sguardo deciso e braccia incrociate. Un semplice gesto immortalato in una foto che rese celebre la storia dell’antinazismo di August per amore della famiglia.

Landmesser fu membro del Partito Nazionalsocialista Tedesco dei Lavoratori dal 1931 al 1935. Come molti fu costretto a iscriversi al partito solo per riuscire a trovare un lavoro. Non condivise mai le idee che stavano alla base del terzo reich, ma le necessità soggettive lo spinsero a dover fare quel gesto di cui tanto si pentì.
Quando August si innamorò di Irma sapeva benissimo che era ebrea. Consapevole di star violando le neo-approvate Leggi di Norimberga – le leggi che postulavano la superiorità della razza ariana – nel 1935 il giovane operaio si sposò con Irma Eckler.
Il matrimonio non venne ovviamente riconosciuto dalle autorità di Amurgo e le due figlie, Ingrid (1935) e Irene (1937), non poterono adottare il cognome del padre proprio a causa delle leggi raziali. Pochi mesi dopo la nascita della secondogenita, August cercò di portare la famiglia in Danimarca. Quando però la famiglia arrivò il confine, la Gestapo li bloccò e invitò August ad abbandonare l’ebrea e le due figlie per non avere alcun tipo di problema.
August però l’amava davvero e non ebbe paura delle conseguenze, scelse di non abbandonare la propria famiglia.

Nel 1938 la Eckler fu arrestata dalla Gestapo e internata nel campo di concentramento di Fuhlsbüttel ad Amburgo. Spostata nei campi femminili di Oranienburg e Ravensbrück, fu assassinata il 28 aprile del 1942 nell’istituto sanitario di Bernburg dai medici nazisti a causa della presunta malattia mentale della quale soffriva. August venne inizialmente arrestato e incarcerato insieme alla moglie. Fu scarcerato il 19 gennaio 1941 e assegnato ai lavori forzati presso la società Püst, in un’azienda aeronautica e casa motociclistica tedesca.

Negli anni successivi cominciarono le sconfitte dell’esercito nazista al fronte. Nel 1944, proprio a causa della penuria di uomini alle armi, Landmesser, nonostante i precedenti penali, fu arruolato nella Wehrmacht e assegnato a un battaglione di disciplina, il 19º Battaglione penale di fanteria della famigerata Strafdivision 999. Dopo pochi mesi al fronte August venne prima dichiarato disperso in Croazia durante operazioni militari, e solo successivamente risultò morto in un scontro a fuoco, ma il corpo mai ritrovato.
Le bambine nel frattempo vennero divise: Ingrid fu affidata alla nonna paterna, mentre Irene fu condotta dapprima in un orfanotrofio poi assegnata a dei parenti.

Quella foto, scatta quel 13 giugno del ’36, divenne la foto di un pezzo di storia. August Landmesser come molti fu costretto a vendere i propri ideali per provare a sopravvivere, per aspirare ad avere una casa, una famiglia e una parvenza di dignità. Proprio in quei momenti neri della storia, in cui le difficoltà si fanno più concrete e reali, i gesti come quelli di Landmesser che si ribellò al regime per amore sono capaci di riscrivere la storia.

Ogni lunedì, per non perdere la memoria, seguite la rubrica di Filippo Mellara Lo stesso giorno. Tutte le precedenti uscite [Qui]

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Filippo Mellara

Abito a San Lazzaro (BO) e sono uno studente universitario di scienze della comunicazione. Impegnato socialmente nel cercare di creare un futuro migliore, più equo e giusto per tutti. Viaggiatore nel mondo fisico e spirituale, ritengo che la ricerca del sé sia anche la ricerca del NOI. Cresciuto tra Stato e Rivoluzione e Bertolt Brecht.

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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