“Nelle radici delle parole, nell’origine dei termini linguistici si nasconde una rappresentazione del mondo, una forma di pensiero e perfino un destino”.
Inizia così l’articolo Le radici della pace di Gianpaolo Caprettini sull’Indipendente.
E non potrei essere più d’accordo.
Da diverso tempo mi occupo di maternità surrogata e mi batto contro questa pratica che considero aberrante. Proprio su Ferraraitalia ad aprile 2020 avevo scritto un articolo sul perché sono contro la maternità surrogata, e dimostravo come le parole contenute nei contratti e dunque promosse dalla legge che regolamenta tale pratica, sono parole disincarnate, perdono le loro radici originarie, causando la crisi del linguaggio e contribuendo a distruggere il senso stesso di essere umano.
Quando scrissi questo articolo eravamo nel pieno del primo lockdown e da allora lo stravolgimento delle parole è aumentato in maniera esponenziale. La narrazione della pandemia è stata segnata dalla perdita di senso delle parole. Come se vivessimo in una babele, parole di senso comune sono diventate parole che acquistavano significati diversi a seconda di chi le ascoltava, creando scompiglio e incomunicabilità.
Questo processo, che sembra appunto molto recente, in realtà è in azione da parecchi decenni e, a mio modo di vedere, è stato costruito a tavolino con grande pazienza e determinazione dall’ideologia neoliberista, mondialista, globalista e finanziaria, che fonda i suoi principi sul transumanesimo, che punta a trasformare il senso stesso di umanità e, in nome della cancellazione della sua fragilità, a farne una macchina onnipotente grazie all’intelligenza artificiale.
Basti pensare al fatto che oggi la differenza dimoformica, quella differenza ontologica biologica dei corpi, viene cancellata in nome di un sentire – io sono ciò che mi sento nel pensiero – rinnegando la realtà biologica e le parti di corpo invisibili (quelle interne a noi).
La famosa dicotomia “cogito ergo sum” di Cartesio contrapposta al ”sum ergo cogito” di Anna Maria Van Shurman, (poeta, filosofa e scienziata eccellente, poco conosciuta, ma contemporanea a Cartesio) invece di trasformarsi in una olistica visione dell’umano raggiunge, ai giorni nostri nelle democrazie occidentali, l’apice a favore della tesi cartesiana e cancella il sapere ancestrale dei corpi, proprio come vuole il transumanesimo.
Ora, durante la pandemia, questo assioma cartesiano è diventato un diktat. È della settimana scorsa il comunicato della Corte Costituzionale che anticipa la decisione sul dibattimento sull’ammissibilità dell’obbligo vaccinale decretato durante il periodo pandemico.
La Consulta ha prontamente ribadito che le decisioni prese dal governo Draghi non sono incostituzionali. Ora come semplice cittadina ho seguito il dibattimento (per fortuna visibile in diretta). Le argomentazioni scientifiche ma anche quelle a carattere logico e di diritto, portate dagli avvocati che avevano impugnato le leggi che decretavano l’obbligo vaccinale per certe categorie, mi sono parse molto chiare.
Con dati alla mano, argomentazioni legate al diritto naturale, di senso logico, anche una profana e non preparata nel campo giuridico, quale sono io, ha potuto seguirne la traccia senza trovarci alcuna contraddizione, mentre le argomentazioni degli avvocati a sostegno delle azioni del governo sono state fumose, astratte e tutte caratterizzate dal ridondante ribadire il dovere della collettività a perseguire un bene collettivo più alto, di cui il Padre Stato, o forse meglio dire lo stato padrone, è il decisore.
Non stupisce la celerità del comunicato della Corte Costituzionale a difesa dell’operato del governo. Fa male, però constatare che per l’ennesima volta le istituzioni non sono più garanti dei diritti delle cittadine e dei cittadini. La celerità delle decisione a mio parere mette in risalto quanto il potere si senta braccato dal dilagare della verità e tenti in qualsiasi modo di fermarne la corsa.
Eppure resta importante che il dibattimento sia registrato e che tutti possano ascoltare le ragioni portate da ambo le parti. Forse per la prima volta da anni ho sentito forte e chiaro chi usava una lingua che aveva radici comuni con la mia e in questa babele ho ritrovato casa nella lingua madre, una parola che risuona nelle mie viscere.
Come femminista so quanto il principio di autodeterminazione sia alla radice del mio sentire e faccia parte di un sentire non solo legato al logos, ma anche a quello materico. Sono le femministe che, nel loro enorme lavoro di disvelamento delle parole che riguardano le donne e i loro corpi, sono riuscite a rendere sempre più concreto e semplice da comprendere il diritto inalienabile e naturale all’autodeterminazione.
La legge 194 è un esempio dell’enorme lavoro fatto. Allora, al contrario di oggi, il dibattimento sui corpi delle donne ha portato alla conclusione che nessuna autorità esterna può entrare nel campo del sentire biologico e biografico dell’individuo fino ad obbligarlo a un agire sul suo corpo che non corrisponda alla sua coscienza profonda.
Questa consapevolezza è una conquista dell’umanità che spaventa il transumanesimo, perché riconosce all’individuo un ortus conclusus, uno spazio di libertà che appunto nessuna ‘ragione collettiva’ può invadere senza che questo sia vissuto come un abuso.
Il sistema patriarcale, che ha fondato il suo potere sulla legiferazione dei corpi delle donne, subì, allora, un colpo quasi mortale, e come reazione ha perseguito una propaganda di mistificazione dei significati della parola, che è causa della babele che oggi ci avvolge.
Eppure la lingua madre è una lingua che nasce dalle viscere e che oggi muove le pance di moltissimi. Come un vulcano in procinto di eruttare ribolle sotto le nostre membra ed è pronto a fuoriuscire con tutta la sua lava incandescente. Ci hanno provato, in pandemia, a zittire quella voce interiore, ma hanno fatto male i conti.
Troppe le parole disincarnate che continuano a circolare e che oggi, superata la grande paura, cozzano con la vita dei più. E così, nonostante la pressante propaganda, qua e là si aprono dei varchi a un ripensamento delle narrazioni main stream, all’uso delle parole e dunque alla rappresentazione del mondo.
L’enorme lavoro di ricerca di quegli avvocati per affrontare il dibattimento ne è la dimostrazione, ma non è l’unica. Penso ad esempio allo sconvolgente ma garbato documentario di Paolo Cassina Invisibili, che raccoglie le testimonianze dei danneggiati dal vaccino contro il Covid-19. Un documentario carico di umanità, di un’umanità sofferente, che con enorme dignità chiede di essere riconosciuta.
Viviamo tempi estremi, siamo a un bivio epocale, come dice bene Susanna Tamaro, ma siamo in tempo ancora per dire no alla parola disincarnata, e riattivare l’energia nascosta ma miracolosa della parola sacra.
“Il verbo si è fatto carne” non è una trovata letteraria dell’evangelista San Giovanni, ma è una “forma pensiero” e il destino dell’umanità.
Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.
Se già frequentate queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.
Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani. Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito. Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.
Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta. Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .
Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line, le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.
Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e di ogni violenza.
Periscopio è quindi un giornale popolare, non nazionalpopolare. Un quotidiano “generalista”, scritto per essere letto da tutti (“quelli che hanno letto milioni di libri o che non sanno nemmeno parlare” F. De Gregori), da tutti quelli che coltivano la curiosità, e non dalle elites, dai circoli degli addetti ai lavori, dagli intellettuali del vuoto e della chiacchera.
Periscopio è proprietà di un azionariato diffuso e partecipato, garanzia di una gestitone collettiva e democratica del quotidiano. Si finanzia, quindi vive, grazie ai liberi contributi dei suoi lettori amici e sostenitori. Accetta e ospita sponsor ed inserzionisti solo socialmente, eticamente e culturalmente meritevoli.
Nato quasi otto anni fa con il nome Ferraraitalia già con una vocazione glocal, oggi il quotidiano è diventato: Periscopio naviga già in mare aperto, rivolgendosi a un pubblico nazionale e non solo. Non ci dimentichiamo però di Ferrara, la città che ospita la redazione e dove ogni giorno si fabbrica il giornale. e Ferraraitalia continua a vivere dentro Periscopio all’interno di una sezione speciale, una parte importante del tutto.
Oggi Periscopio ha oltre 300.000 lettori, ma vogliamo crescere e farsi conoscere. Dipenderà da chi lo scrive ma soprattutto da chi lo legge e lo condivide con chi ancora non lo conosce. Per una volta, stare nella stessa barca può essere una avventura affascinante. Buona navigazione a tutti.
Tutti i contenuti di Periscopio, salvo espressa indicazione, sono free. Possono essere liberamente stampati, diffusi e ripubblicati, indicando fonte, autore e data di pubblicazione su questo quotidiano.
Francesco Monini
direttore responsabile
Chi volesse chiedere informazioni sul nuovo progetto editoriale, può scrivere a: direttore@periscopionline.it
QUOTIDIANO INDIPENDENTE l'informazione verticale
È bello sapere che ci sono persone così profonde che non si accontentano solo di superficialità come purtroppo fa la maggior parte. Grande Roberta!