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Mentre lei scriveva “grazie vita”, la salute le si spegneva, mentre il suo libro usciva a giugno sugli scaffali delle librerie, lei se ne andava per sempre.
Le scelte che non hai fatto di Maria Perosino (Einaudi, 2014) bisognerebbe leggerlo dalla fine, dall’ultima riga che va oltre l’ultima pagina e chiude una storia, anzi una vita, e sbarazza il solito abito triste che si indossa per guardare le scelte non fatte. Le scelte che non hai fatto fa alzare lo sguardo, tendenzialmente basso e mesto quando è rivolto al passato non vissuto, e chiede dove sta scritto che le scelte non attuate sarebbero state migliori di quelle fatte e vissute. Forse è solo una questione di mistero, di fascino per il non raggiunto, di scarto che, chissà, se era da buttare davvero.
Ma non lo sapremo mai, sappiamo solo cosa è successo e solo questo possiamo mettere in fila.
Maria Perosino, con quel suo elucubrare lieve e profondo, ti accompagna nella passeggiata dei pensieri, ti porta a spasso, con lei ci provi, prima timidamente e poi con più coraggio (è lei a dartelo) a girarti indietro e a guardarti quando eri a un bivio. Le vedi tutte lì davanti, nitide, le cose che non hai fatto, l’altra metà di ciascuna scelta che non è mai stata un piano B di scorta perchè l’hai lasciata per abbracciare altro che è diventato, amore, lavoro, amici, ricordi, storia personale.
Beati i risoluti, quelli che riescono a scegliere senza fremiti, senza ritrarre anche un solo istante la mano prima di lanciare quel sasso. Per Maria Perosino, invece, le scelte, “le due opzioni non sono mai vestite una di bianco e una di nero, sono due nuances di grigio. E si finisce per scegliere quella che convince di più non noi stessi per intero, ma, appunto, il 51% di noi”.
Indietro resta il 49%, minoritario e perdente, ma pur sempre di un certo peso se ci ha tenuti in ballo fino all’ultimo, spesso pronto a bussare alle porte della memoria per ricordare che sarebbe potuto essere qualcosa.
In questo ultimo libro di Maria Perosino c’è tanta vita vissuta, anche quella degli altri che le sono passati vicino o vicinissimo e che lei osserva al punto da riflettere se le persone, nel loro percorso, vadano avanti progredendo e infilando la vita oppure espandendosi in chissà quanti inizi. Maria si classifica fra questi, più inizi che finali, una che considerava il futuro “sinonimo di felicità”.
Nel futuro ci stanno anche i sogni che diventano per lei materia quasi plastica, bisogna averli davanti agli occhi per capire quando è meglio abbandonarli o crederci davvero: “c’è un punto, nella vita, in cui s’infrangono i sogni? O di colpo si avverano?”.
Forse nè l’uno nè l’altro, alcuni sogni si scolorano col tempo, di altri, invece, ci si accorge che sono già realtà. Ancora una volta, vita.

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Riccarda Dalbuoni

È addetto stampa del Comune di Occhiobello, laureata in Lettere classiche e in scienze della comunicazione all’Università di Ferrara, mamma di Elena.

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno. L’artista polesano Piermaria Romani si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE
di Piermaria Romani


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