Le banche non hanno più voglia di fare le banche
Le banche non hanno più voglia di fare le banche
Una volta era tutto più semplice. Se entravi in un ufficio postale era per fare un vaglia o una raccomandata. Se entravi in un’agenzia assicurativa era per sottoscrivere una polizza. E se ti recavi in banca, era per fare un versamento, un prelievo o un bonifico. Oggi la posta ti vende contratti telefonici e l’assicurazione ti propone apparecchi per la rilevazione dei pedaggi autostradali. E la banca fa di tutto per convincerti a sottoscrivere polizze assicurative. Come mai? Perché sembra quasi che faccia un lavoro diverso rispetto al passato?
Per rispondere a questa domanda dobbiamo partire da lontano. Dalla nascita delle prime banche, che in Europa risale al medioevo. Pensiamo a quello che poteva essere lo scenario quando le banche ancora non c’erano. Da un lato avremmo avuto il mercante che si trascinava appresso il suo forziere pieno di monete, sapendo che l’unica cosa che poteva farci era cercare di tenerle al sicuro e non farsele rubare. Dall’altro avemmo trovato un giovane garzone in una bottega artigiana, che avrebbe desiderato avviare una sua attività, ma non avrebbe mai potuto farlo perché non disponeva delle somme da investire per mettersi in proprio. Le banche nacquero per intermediare: la loro attività consisteva nel raccogliere e custodire le monete del mercante, sgravandolo dai rischi e riconoscendogli anche un interesse, e nell’usare parte di quelle monete per finanziare il giovane artigiano e permettere la nascita di una nuova attività. Si trattava, fin dalla nascita, di una funzione fondamentale per l’economia: invece di restare rinchiusi, i soldi venivano messi in circolo creando lavoro e ricchezza per la collettività. Una funzione talmente importante da far dedicare all’attività bancaria un articolo della Costituzione, il 47, che parla di tutela del risparmio e controllo del credito. Nessun’altra attività economica è menzionata in Costituzione.
Per secoli la principale fonte di guadagno per le banche è stato il “margine d’ interesse”, cioè la differenza tra gli interessi riconosciuti ai depositanti e quelli incassati da chi chiedeva finanziamenti. Il problema è che prestare soldi non è un’attività così semplice. Bisogna ricordare che si tratta di somme che appartengono ad altri, quindi è necessario tenere sempre disponibile una riserva sufficiente ad accontentare le persone che vogliono ritirare i loro soldi. E poi bisogna mettere in conto la possibilità che una parte dei prestiti non venga rimborsata: ma in questo caso è la banca a doversi fare carico delle perdite. Vi immaginate se un cliente andasse a ritirare i suoi risparmi e si sentisse rispondere: “Guardi, siccome avevamo usato il suo deposito per un mutuo che è stato rimborsato a metà, possiamo restituire solo metà della somma che ci aveva versato” ? Ovviamente il sistema crollerebbe in un attimo. Quindi, per prestare denaro, le banche devono accantonare somme sufficienti a coprire le perdite che potrebbero verificarsi, e non gravare sui clienti. In sintesi: prestare denaro costringe le banche a rispettare due vincoli: liquidità (devono essere in grado di restituire i soldi ai depositanti) e capitalizzazione (devono avere riserve adeguate a far fronte ad eventuali perdite su crediti).
Inevitabile che nel tempo le banche si impegnassero a cercare fonti di guadagno più semplici da ottenere. E progressivamente hanno scoperto le commissioni. Commissioni sugli incassi, sulla compravendita di titoli, sui pagamenti POS… Soldi che arrivavano in modo differente, ma pur sempre commisurati all’attività bancaria. Gli istituti bancari hanno cominciato a farci la bocca, cercando strade anche piuttosto fantasiose per incrementare sempre più il flusso commissionale. Così, nel corso degli anni, c’è stato un periodo in cui le banche vendevano di tutto: televisori, biciclette, robot da cucina. Poi hanno provato con l’oro, e i diamanti. Alla fine hanno trovato il loro business ideale nelle polizze assicurative. Apparentemente la soluzione perfetta: le banche, con le loro filiali diffuse su tutto il territorio nazionale (in realtà sempre meno, ad onor del vero) e con l’elevata professionalità dei loro dipendenti rappresentano la rete distributiva ideale: non è un caso se oggi tutti i grandi gruppi bancari hanno come partner commerciale una importante compagnia assicurativa. Per questo le banche stanno cambiando la loro natura, tanto da ostentare con orgoglio la qualifica di “bancassicurazione”.
Non c’è nulla di male nel fatto che le banche vendano le polizze. Come detto hanno l’organizzazione e le competenze per farlo al meglio. Il problema è un altro. Mettiamoci nei panni di un banchiere: perché impegnarsi a concedere un prestito, che bloccherà quote di capitale per anni, che potrebbe anche non rientrare, che frutterà un interesse limitato, quando in una mezz’oretta si può vendere una polizza, incassare la commissione e non dover impegnare un solo centesimo? Un ragionamento che le banche hanno cominciato a fare sempre più durante i lunghi anni di tassi bassi, spostando progressivamente la loro attività dal credito al mondo delle commissioni. E questo ha fatto sì che fossero sempre più restìe a concedere credito, in modo particolare alle piccole aziende. Avendo chiarito prima il motivo per cui le banche sono nate, diventa evidente che le banche non hanno più voglia di fare le banche.
Ad oggi le commissioni rappresentano circa un terzo degli introiti delle aziende bancarie, che puntano ad incrementare questa percentuale. E questa non è una buona notizia, perché significa che in futuro le difficoltà nell’accesso al credito aumenteranno. E’ un fenomeno sul quale dovrebbe intervenire la politica, sempre molto attenta quando si parla di fusioni ed incorporazioni, perché punta a non perdere la propria influenza sui CdA, ma decisamente distratta quando si tratta i controllare che le banche svolgano la loro funzione fondamentale per l’economia. Controlli ai quali, per effetto del già citato articolo 47, sarebbero obbligati.
Quindi se la banca mi propone una polizza, va benissimo, può anche essere una proposta che mi è davvero utile, a patto che contemporaneamente non smetta di fare la banca. E non si arrivi al paradosso che, se chiedo un prestito, la banca me lo conceda malvolentieri e lo faccia solo perché lo vede come un’ occasione per propormi una polizza da abbinargli: in quel caso non è più la polizza ad essere accessoria al finanziamento, ma il finanziamento che diventa accessorio alla polizza.
Cover photo: Bank of Italy Pasadena, 1928, https://hdl.huntington.org/digital/collection/p15150coll2/id/2649/
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