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Oggi meno sai di informatica, più sei ai margini non solo dell’informazione, ma anche della società. Basti pensare ai tanti anziani che non capiscono un’acca di computer. Dobbiamo renderci conto che il cosiddetto ‘digital divide’ (divario digitale) è un problema sociale e politico e come tale va affrontato. Insomma: la nuova piramide sociale si costruisce sull’istruzione informatica, sull’accesso alla Rete, sull’utilizzo degli strumenti.

Attenzione, però. Da alcuni anni le aziende della Silicon Valley promettono abbondanza, prosperità, riduzione delle disparità e una nuova società in cui tutto sarà condivisibile e accessibile. Ma siamo sicuri che Google, Amazon, Facebook, Twitter e compagnia non siano invece l’ultima incarnazione del capitalismo – ancora più subdolo, perché mascherato dietro le suadenti parole della rivoluzione digitale – e l’ennesima versione dell’accentramento di potere economico e politico nelle mani di pochi? Evgeny Morozov, autore dei “Signori del silicio”, sostiene che di democratico, rivoluzionario e “smart” in tutto questo c’è ben poco. C’è invece la svendita sull’altare del profitto dei nostri dati personali, della nostra privacy e soprattutto della nostra libertà. Ormai siamo registrati in ogni nostra mossa; non fai in tempo a compiere una ricerca sul web che subito sei tempestato di sollecitazioni commerciali nel settore che hai esplorato: abiti, orologi, libri o prosciutti, poco importa.

L’unica forma di difesa è un uso critico e consapevole della Rete. Ma un uso critico presuppone a monte un plafond culturale che non tutti hanno. I giovani poi, “bevono” più o meno tutto ciò che viene loro propinato e sono in questo senso più facilmente condizionabili. E allora non è questo un’altro episodio, un altro aspetto di quella offensiva che anni fa fu scatenata, per esempio, dalle televisioni di Berlusconi? Il capitale – un capitale sempre più irraggiungibile e misterioso – non ha mai avuto interesse a che i sudditi siano istruiti, perciò autonomi.

Non è il caso, per questo, di mettersi a fare i luddisti, ma sicuramente la rivoluzione informatica nasconde molti, troppi trabocchetti. E anche la cosiddetta “democrazia di rete” è da maneggiare e da interpretare con molta, molta cura.

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Franco Stefani

Franco Stefani, giornalista professionista, è nato e vive a Cento. Ha lavorato all’Unità per circa dieci anni, poi ha diretto il mensile “Agricoltura” della Regione Emilia-Romagna per altri 21 anni. Ha scritto e scrive anche poesie, racconti ed è coautore di un paio di saggi storici.

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Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno. L’artista polesano Piermaria Romani si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE
di Piermaria Romani


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