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Di scatologia; relativo a scritto o discorso che tratta di escrementi, o che comunque ha contenuto e tono osceno, volgare. E’ molto in voga sia a livello popolare che istituzionale tanto da divenire imprescindibile nelle battaglie, o meglio zuffe, che scuotono le sedi del potere politico e i partiti che a loro volta diventano divulgatori del nuovo verbo scatologico. Si prenda il maestro di color che sanno, il Salvini difensore dei poveri, dei migranti, dei rom che, scagliandosi contro la legge anti tortura, e intervenendo al raduno del Sap (un sindacato autonomo di polizia i cui aderenti hanno applaudito freneticamente i poliziotti accusati della morte di Federico Aldrovandi), chiarisce secondo i principi classici della scatologia: “Se poi un delinquente lo devo prendere per il collo  e si sbuccia il ginocchio… cazzi suoi”, detta con voce chiara e decisa mentre un filo della solita bavetta gli esce dall’angolo della bocca.

Impazza la moda della maglietta che sveste più che riveste e che porta a un momento di involontaria ironia quando urlando ma con un brivido di sensuale complicità e/o di speranza la non folgorante Maria Mussini del gruppo Misto chiede all’attonito presidente Grasso, che l’invita a togliersi la maglietta d’ordinanza: “Che faccio presidente, mi spoglio? Volete uno streaptease?”. E da qui la risposta strepitosa di Grasso che la conforta non a spogliarsi ma a rivestirsi…
Oltre le magliette si guardino le mises: la ministra Giannini rigorosamente vestita da sera in completo verde giada abbraccia la Boschi in lilla e, si nota, tra gli afrori degli evidentemente sudaticci pentastellati, una severa guardiana della legalità grillina che parla con voce stentorea in camicetta bianca e sciarpone nero da trenta gradi sottozero denunciando i delitti  commessi dal Pd.
Ci sarebbe da commentare sul filo del bon ton: Ma va’ di moda lo stile “lavandaia”?
E mentre si dovrebbe protestare contro la non mai troppo deprecata “buona scuola” l’opposizione si trasforma in una fiera dell’ovvio e del mostruoso: funerali, versacci, campanelli, grida sull’orlo dell’isteria. E’ questo lo scenario conclusivo dei nostri rappresentanti istituzionali? Che vergogna, che infima qualità di pensiero e d’azione!
E mentre si sarebbe dovuto smontare il piano scuola o criticarlo con severità e argomenti convincenti l’unica cosa che si è stati capaci di proporre è un teatraccio ormai in disuso perfino negli angoli più retrivi di questo nostro paese (poveretto lui!)
La severità non sarebbe mai troppa nel denunciare questa scalata di volgarità. Da  notare che  ho bandito “escalation” ormai trito riferimento al sempre più esangue e povero lessico politico, optando per l’omonima versione italiana. L’inquietante viso del Maestro Casaleggio si affaccia dalle pagine dei quotidiani e dai media  incorniciato dalla minacciosa cascata di capelli grigi tenuti sotto una coppola vagamente sinistra.L’obliquo messaggio a cui rinvia il silenzio o il tweet colpisce inesorabilmente i fedeli che osano alzar la testa, diventando così il manifesto di un potere “popolare” che nasconda la sua “jacquerie” (mi si passi la parola cólta) d’accatto nelle confuse idee di chi comanda e di chi è all’opposizione.
Sentirsi almeno umiliati da questo improvviso rigurgito di un pensiero politico che si rivolge agli istinti primordiali di un popolo che ha bisogno di essere confortato nelle sue paure e ossessioni mi pare dovrebbe essere necessario. Ma si sa! Così parlano gli “intellettuali”, vil razza dannata che si masturbano mentalmente senza offrire “fatti” . Come del resto accade per quei maestri e professori, secondo la vulgata dei genitori che ascoltano i lamentini dei loro bambini e concludono senza appello che questi fannulloni d’insegnanti poco facciano o insegnino.
Sì è chiaro: è una generalizzazione. Una parte del paese richiede ancora di agire secondo il principio dell’etica. Ma è una minoranza che non riesce a farsi sentire. E che il premier Renzi accenda la miccia di una reazione offesa e dichiari  che una volta lasciata la politica vuol andare a fare il professore,  immediatamente  si risponde alla romana “ Ma professore de chè???”
La terra desolata delle nostre speranze non deve però lasciarci solamente avviliti. Sappiamo anche trovare momenti di riscatto come questa notte la partita sui migranti che Renzi ha saputo avviare con la Comunità europea proponendo una soluzione poi accettata con dignità e buon senso.
In questo caso il monicromo grigio vestito di rappresentanza che indossava ha saputo sostituire ben degnamente jeans slavati e camicia bianca aperta.
Così ondulando tra discorsi impietosamente aggressivi, pieni di paura e senza alcuna traccia di essere elaborati, ma affidati al consenso acritico degli “itagliani” e la sottile capacità di servirsene per ottenere voti o scelte politiche, la nostra fragile barchetta petrachesca non trova porto o sicuro rifugio.
D’altra parte come ci si può affidare a persone che scaricano come spese sostenute per la loro attività amministrativa UN euro per comprarsi il chewing-gum, detto ai miei adolescenziali anni di formazione fiorentina la “cingomma”?
Aleggiano e si spandono come un vento vivificatore,  così evidentemente eversive e di sinistra, quelle parole che Francesco Bergoglio nella sua enciclica ha saputo indirizzare al mondo e che per noi non credenti rappresentano il momento più alto di un discorso di sinistra: “O Dio dei poveri, aiutaci a riscattare gli abbandonati/e i dimenticati di questa terra/ che tanto valgono ai tuoi occhi.”
Alla faccia dei populisti d’accatto.

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Gianni Venturi

Gianni Venturi è ordinario a riposo di Letteratura italiana all’Università di Firenze, presidente dell’edizione nazionale delle opere di Antonio Canova e co-curatore del Centro Studi Bassaniani di Ferrara. Ha insegnato per decenni Dante alla Facoltà di Lettere dell’Università di Firenze. E’ specialista di letteratura rinascimentale, neoclassica e novecentesca. S’interessa soprattutto dei rapporti tra letteratura e arti figurative e della letteratura dei giardini e del paesaggio.

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

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